L’euro: un convoglio destinato a sbandare alla prima curva

di Vincenzo Merlo

17 mag – Mentre e’ già iniziato il count down per l’uscita della Grecia dall’euro (eventualita’ data oggi, 17 maggio, al 75 x cento di possibilita’ dalla piu’ parte degli osservatori economici internazionali, a partire dalla Citybank), e’ forse opportuno fare alcuni ragionamenti sulla situazione in atto, le principali cause della crisi internazionale e le possibili vie di uscita.

Va detto innanzitutto che la crisi economica (sciaguratamente, e per i motivi che approfondiremo, ha il suo epicentro nell’Europa dell’euro) origina da due cause principali, che richiamano da un lato alla concorrenza asiatica (soprattutto cinese) che, basandosi sulla estrema contrazione dei costi di produzione, sta di fatto mettendo fuori mercato le economie dei Paesi occidentali, distruggendone le imprese; dall’altro alla crescente e devastante finanziarizzazione dell’economia che, agevolata dalla globalizzazione libero-scambista, ha di fatto ridotto ai minimi termini le sovranità nazionali, arrivando a determinare la sorte di interi popoli.

Circa il problema della aggressione economica asiatica verso la struttura produttiva occidentale, la tendenza in atto si e’ ulteriormente accentuata con l’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), ingresso favorito, senza alcuna contropartita, dalla dabbenaggine dell’intero quadro istituzionale occidentale, a partire dalla Commissione europea (dal 2001 al 2006 presieduta da Prodi), che di fatto ha posto le premesse per una sorta di suicidio industriale delle nazioni occidentali, e segnatamente di quelle europee.

La paga mensile media di un lavoratore cinese si aggira sui 150- 200 euro mensili, e certamente il sistema capital-comunista di Pechino non offre ai propri lavoratori le (sacrosante!) tutele in materia di diritti, di orari, di assistenza e previdenza che hanno reso migliore per tutti la vita nell’emisfero occidentale. Torno a ribadire che se non si risolve il nodo di questa concorrenza sleale asiatica (che spreme i propri lavoratori all’inverosimile, arrivando anche a forme di autentica schiavitù nei “laogai”), nessuna misura occidentale ( ne ‘ l’austerità , ne ‘ la tanta invocata crescita) servirà a qualcosa, di fatto solo rimandando il “redde rationem” con l’economia cinese.

L’altra causa della crisi globale, strettamente correlata alla prima, attiene, come si diceva, alla ormai devastante finanziarizzazione dell’economia, che travolge stati, popoli, sovranità nazionali. E’ chiaro che in questo contesto un ruolo fondamentale viene giocato dalle Banche, che negli ultimi anni, lungi dal concentrarsi sulla storica ” mission” di ricevere depositi e concedere prestiti, hanno spesso convogliato la loro precipua attività in investimenti speculativi sui cosiddetti derivati: quelle che sembravano fonti di facili guadagni si sono invece rivelate scommesse assai pericolose, creando di fatto un’economia di carta parallela a quella reale, ma rispetto a questa infinitamente più potente e incontrollata.

Se e’ vero che su ogni dollaro ” vero” (legato cioè ai beni e servizi effettivamente prodotti), ve ne sono in giro altri otto non legati a null’altro che alla speculazione, si evince che il sistema bancario internazionale ha posto le premesse per la dissoluzione economica dell’intero pianeta. Siamo cioè drammaticamente seduti, a causa della disinvoltura delle Banche, su un mare di carta senza valore, foriero di perenne situazioni di crisi.

Scrive Giulio Tremonti, nel fondamentale “Uscita di sicurezza” (Rizzoli): “Il processo si e’ compiuto con due atti fondamentali. Prima con il Gramm-Leach- Bliley Act (1999), che ha disposto la sostanziale abrogazione della vecchia legge Glass- Steagall ( 1933) che vietava la commistione tra banche ordinarie, banche d’affari e assicurazioni – così autorizzando le banche a mischiare credito, assicurazione e commercio, allentando i vincoli di leva a debito, riducendo le riserve a garanzia ecc-. Poi con l’approvazione, nel 2000, della legge che legalizzo’ i derivati.”

La crisi del 2007-2008, dunque, ha origine in un deficit di regole giuridiche (siamo negli anni 1999-2000, cioè nel periodo dell’Amministrazione Clinton), che ha di fatto spianato la strada a quella deregolamentazione bancaria che infinite sciagure sta apportando all’economia globale. Nel 2008 gli Stati hanno salvato le Banche, ma non le hanno obbligate a darsi maggiori regole e maggiori controlli, a cessare le loro attività “speculative”; queste, infatti, hanno ricominciato daccapo.

E, peggio ancora, i debiti privati sono stati trapiantati nei debiti pubblici. Che di fatto oggi rappresentano il problema dei problemi. Soprattutto in Europa, laddove si e’ creata una moneta comune senza avere alle spalle un’unione politica ( caso unico nella storia), senza adeguata protezione di una Banca centrale degna di questo nome, in grado cioè di fungere da prestatore di ultima istanza; di sostenere, cioe’, gli stati membri, anche fornendo loro la moneta necessaria nei momenti di bisogno.

Ecco perché la crisi internazionale sta colpendo con particolare durezza proprio l’area euro, esposta ai marosi della speculazione internazionale e della concorrenza sleale cinese senza un’adeguata e opportuna protezione. Gli stati che hanno adottato l’ euro hanno via via ceduto quote di sovranità nazionale (dapprima quella monetaria; ora, con il ” fiscal compact”, anche quella fiscale e di bilancio). Ritengo che tale processo abbia procurato più guai che altro.

Sovranità monetaria significa in buona sostanza che si può svalutare o rivalutare la moneta a seconda delle esigenze. Con l’euro e la Bce oggi nessuno stato dell’eurozona e’ libero di gestire la propria politica monetaria. L’euro ci ingabbia in un convoglio, alla cui testa (la locomotiva) sta la Germania, che va a duecento all’ora; dietro seguono gli altri vagoni, ognuno dei quali va ad una velocità diversa. Ultima la Grecia, che va a dieci all’ora. Come e’ possibile che il treno corra in modo equilibrato? Come e’ possibile comprimere queste enormi differenze in un’unica moneta? E’ evidente che la Grecia dovrebbe svalutare la propria moneta ( aumenterebbe le sue esportazioni e diminuirebbe le importazioni, riassestando la sua bilancia dei pagamenti). Ma la Germania ( nel cui DNA c’e ‘ la paura dell’inflazione, dai tempi di Weimar), non vuole svalutare l’euro. E allora e’ chiaro che alla prima curva (la prima crisi seria), il convoglio sia destinato a sbandare….

Vincenzo Merlo