Nel luglio del 2011, con l’accordo del Nord, il Sud Sudan dichiarava la sua indipendenza. Il Sud Sudan strappava così il controllo sul 75% dei giacimenti petroliferi sudanesi. Neanche un anno dopo si profila una guerra per l’oro nero.
di Staf Henderickx
08/05/2012
Il Sud Sudan che non ha sbocchi sul mare, deve, per esportare il suo petrolio, utilizzare gli oleodotti che attraversano il Sudan (la parte settentrionale, che ha mantenuto il nome prima della scissione), e che continua così a ricevere una significativa parte dei proventi sull’oro nero. Il Sud Sudan, tuttavia, si rifiuta di pagare il prezzo richiesto dal Nord per il trasporto. Alla fine dello scorso anno, il Sudan ha confiscato 800 milioni di dollari di petrolio nel Sud Sudan, che, per ritorsione, ha chiuso i rubinetti.
Il Sud Sudan ha peraltro firmato un accordo con l’Etiopia per la costruzione di un oleodotto per portare il greggio al mare, e un secondo contratto con il Kenya per la costruzione di un oleodotto verso il porto keniota di Lamu. Il Sudan perderebbe definitivamente una parte considerevole dei proventi petroliferi.
I disaccordi tra Nord e Sud insistono anche sulla linea di confine, nel tratto che attraversa importanti giacimenti petroliferi. I due governi continuano a sostenere i gruppi di ribelli nel campo avverso. In poco parole: ci sono tutti gli ingredienti per scatenare una guerra.
“Schiacciare l’insetto”
Tre settimane fa, l’esercito del Sud Sudan ha occupato il campo petrolifero di Heglig, che fornisce la metà della produzione al Sudan del Nord. Il giacimento è gestito da un consorzio che comprende la Cina, principalmente, ma anche la Malesia e l’India. Per l’attacco e la distruzione parziale delle infrastrutture di Heglig, il presidente sud-sudanese Salva Kiir ha comunicato chiaramente che il petrolio appartiene alla sua nuova patria. Nel frattempo, il Sudan ha bombardato città del sud del Sudan prossime ai confini. Omar al-Bahir il suo presidente ha dichiarato che il Sud Sudan è un “insetto che deve essere schiacciato”.
Questa guerra supera il livello sudanese regionale: nella regione infatti si contrappongono gli interessi delle superpotenze.
Cooperazione con la Cina
La Cina, che prende il 7% del suo petrolio dal Sud Sudan, ha tutto l’interesse per la stabilità e la pace in queste regioni petrolifere. Il conflitto attuale ha avuto come conseguenza che la produzione di petrolio nel Sud Sudan si riducesse da 85.000 a 60.000 barili al giorno; mentre la produzione del Sudan è scesa da 60.000 a 48.000. La Cina non desidera una escalation nel conflitto. Nel mese di marzo, una delegazione cinese si è recata sia in Sudan che nel Sud Sudan.
Il mese scorso, il presidente del Sud Sudan Salva Kiir è stato ricevuto a Pechino ed è ripartito con un sostegno di 6 miliardi di euro. Questo denaro verrà utilizzato per costruire strade, ponti, centrali elettriche, reti di telecomunicazioni e progetti agricoli. La Cina resta fedele a una politica di neutralità: firma contratti di cooperazione con tutti gli Stati africani, non interferisce negli affari interni di un paese e, in caso di conflitto, non prende posizione per una delle parti.
Lucrosi contratti in gioco
Questa politica di neutralità contrasta vivamente con l’interferenza politica degli Stati Uniti attraverso il pretesto dei “diritti umani, della libertà e della democrazia”. Per molti anni, gli Stati Uniti hanno condotto una campagna per fomentare il Sud e il Nord Sudan l’uno contro l’altro, e si sono dimostrati i più ardenti difensori dell’indipendenza del Sud Sudan. Divide et impera, dice il motto.
Alla proclamazione della nuova repubblica del Sud Sudan, la multinazionale statunitense Lockheed si è scapicollata, attraverso le sue due controllate, per prendere in carico lo sviluppo dell’esercito del nuovo stato. Nel mese di gennaio, Barack Obama ha inviato cinque ufficiali nel Sud Sudan insieme a una fornitura di armi “per aiutare il Sud Sudan a stare sulle sue proprie gambe.”
Poco dopo, Obama ha deciso di inviare 100 “forze speciali” in Uganda (paese confinante a nord con il Sud Sudan) per partecipare alla cattura di Kony, un noto signore della guerra. Le teste di cuoio hanno formato il nucleo di una truppa di 5.000 soldati africani. Il colonnello Felix Kulayigye, portavoce dell’esercito ugandese, ha affermato alla BBC che informazioni in suo possesso indicavano che Kony era sostenuto dal Sudan. Kony è probabilmente l’alibi per attraversare il confine in collaborazione con l’esercito ugandese. Per giunta, il capo militare dell’Uganda ha recentemente dichiarato che, in caso di conflitto tra i due Sudan, il suo paese avrebbe combattuto a fianco del Sud.
Creare miseria per un cambiamento di regime
Gli Stati Uniti avevano dichiarato in precedenza che avrebbero smesso di trattare il Sudan come uno “stato canaglia” se il paese avesse accettato l’indipendenza del Sud Sudan. Washington si è rimangiata questa promessa. È stato mantenuto il boicottaggio economico e viene esercitata pressione su imprese e banche europee perché vi aderiscano.
Nessuno potrà negare che l’attuale regime in Sudan è dittatoriale, ma, per quel che concerne i crimini e i saccheggi effettuati da truppe sud-sudanesi, gli statunitensi sono piuttosto compiacenti. Quando, appena formato, il giovane esercito del Sud Sudan fece irruzione – causando notevoli danni – in un campo petrolifero cinese in Sudan, Obama non condannò l’azione, al contrario reagì duramente alla risposta del Sudan.
Lo scorso novembre, gli Stati Uniti hanno esteso l’embargo commerciale contro il Sudan, decretato dal 1997. Questo blocco, che grava enormemente soprattutto sul popolo sudanese, ha lo scopo di indebolire il regime di Bashir per sostituirlo con un regime filo-occidentale. Una rivolta a Nord è possibile: l’aumento dei prezzi alimentari e del petrolio spingono i sudanesi a insorgere contro il regime. La popolazione soffre per la guerra, la fame, le malattie… E il denaro disponibile va in armi piuttosto che in istruzione, assistenza sanitaria o acqua potabile… In breve, questa miseria che schiaccia il popolo sudanese, del Nord e del Sud, è il risultato di una strategia che serve solo l’obiettivo degli Stati Uniti: contare su un solido approdo militare ed economico in questa regione ricca di petrolio.