“Ho perso la mia libertà e sono diventato un prigioniero politico nel mio paese”. Si apre così l’autobiografia di Geert Wilders, il più controverso e popolare politico olandese, l’uomo più amato e odiato dei Paesi Bassi. Si intitola “Marked for Death”, segnato a morte. Uscirà negli Stati Uniti il primo maggio. Più che un testamento politico del leader europeo noto per la critica all’islamismo, il libro è un viaggio nell’incubo, una caccia all’uomo abituato a vivere alle pendici di un vulcano. Wilders racconta dell’ultima volta che ha visto casa sua a Venlo. Era il 2 novembre 2004, il giorno in cui venne ucciso il regista Theo van Gogh per mano di un giovane islamista: “Quel giorno neppure la scorta sapeva dove mi avrebbe dovuto portare, abbiamo vagato per ore in auto, in attesa di istruzioni. Alla fine siamo arrivati nei boschi al confine con il Belgio, in una vecchia caserma in disuso”. Lì Wilders trovò la moglie e Ayaan Hirsi Ali, la dissidente somala minacciata di morte come lui. “Non ci era consentito uscire, chiamare o incontrare nessuno, non avevamo radio o televisione. Io e mia moglie fummo portati in una cella frigorifera, c’erano soltanto due sedie e due letti singoli”. Ogni mattina, alle sette in punto, le luci al neon si accendevano sulle loro teste, come se fossero dei detenuti comuni. Dal 2004, Wilders si sposta in continuazione. “Da una località segreta all’altra. Abbiamo vissuto nelle carceri, nelle caserme, in appartamenti, in ville del governo. Un giorno di dicembre eravamo in una caserma. Suona l’allarme. Le guardie imbracciano i fucili. Un soldato, che stava facendo la doccia, esce nudo sul tetto. Era un falso allarme. Quando gli addetti alle pulizie venivano nella nostra stanza, dovevamo lasciarla in tempo senza che ci vedessero. Spesso neppure i soldati sapevano chi fossimo. Non potevo scendere di macchina senza camuffarmi con un impermeabile marrone e un cappello. Anche adesso quando viaggio all’estero, una squadra dei servizi segreti mi precede in avanscoperta”. Nel libro Wilders racconta di quando è morto il padre e lui non ha potuto stare che un paio di minuti con i membri della sua famiglia. Troppo rischioso. Racconta di come il Parlamento abbia dovuto collocarlo all’interno dell’Aula in un punto non visibile dal pubblico, per meglio tutelarlo da possibili attacchi interni. Spiega di come il suo convoglio di auto e agenti assomigli a quello del presidente afghano Karzai, e di come anche le penne vengano controllate prima di varcare la porta del suo ufficio. “Indosso un giubbetto antiproiettili ogni volta che parlo in pubblico. Non cammino più liberamente per strada da oltre sette anni. Quando vado al ristorante, la sicurezza deve prima setacciare il locale. Quando vado al cinema, l’ultima fila di sedie è riservata a me e ai poliziotti. Arriviamo che il film è già iniziato e ce ne andiamo prima che finisca”. La sua vita, conclude, “è come un film horror di serie B. Se vado in bagno, la polizia resta fuori dalla porta. Alcuni amici mi hanno detto che hanno i bambini piccoli, di non chiamarli più”. E’ stato ribattezzato “l’uomo invisibile”.
Giulio Meotti