IMOLA, 2 Aprile – La metodica non invasiva calcola in modo personalizzato il rischio di malformazioni cromosomiche del feto, razionalizzando l’accesso a villo ed amniocentesi.
Da qualche giorno l’Ausl di Imola garantisce, a tutte donne seguite nel corso della gravidanza dal Consultorio familiare e che pertanto entrano nel “percorso nascita aziendale”, la possibilità di accedere gratuitamente al test combinato, costituito da un prelievo di sangue e da una particolare ecografia ostetrica, i cui risultati, combinati tra loro attraverso calcoli specifici, forniscono la percentuale di rischio che il feto possa essere affetto da alcune anomalie cromosomiche: la trisomia 21 (Sindrome di Down), la trisomia 13 e la trisomia 18.
“Con l’avvio di questa nuova offerta attiva l’Ausl di Imola dà risposta al primo obiettivo individuato dalla delibera regionale 533/2008 sul percorso nascita, che mira ad una razionalizzazione dell’utilizzo delle indagini prenatali invasive (amniocentesi e villocentesi), riducendo così il rischio abortivo insito in questi esami – spiega la dr.ssa Anna Baroncini, genetista e direttore del Dipartimento materno infantile dell’Ausl di Imola -.
Da tempo si ricercano metodi per selezionare le gravidanze a rischio di trisomia con criteri diversi dalla sola età materna, che esprime un rischio generico e non personalizzato. Nel corso degli ultimi anni sono stati proposti numerosi metodi per determinare questo rischio. Tra questi, il più affidabile nel primo trimestre di gravidanza, è risultato essere la combinazione tra l’età materna, la misurazione ecografica della translucenza nucale fetale ed il dosaggio di due sostanze del sangue materno che possono essere alterate nelle gravidanze con feto affetto da queste alterazioni cromosomiche”.
In pratica, mentre fino ad oggi il Servizio sanitario pubblico offriva gratuitamente una villocentesi o un’amniocentesi solo alle donne dai 35 anni in sù, al fine di poter escludere con certezza la presenza di queste anomalie, ora sarà il test combinato ad identificare quelle a cui sarà garantito uno di questi esami.
Questa metodica prenatale non fornisce indicazioni diagnostiche, ma è in grado di identificare correttamente la presenza di anomalie cromosomiche fetali in 90 casi su 100 (sensibilità del 90%), mentre in 5 casi su 100 esso risulterà positivo anche in assenza di reali alterazioni genetiche (1 caso su 20 di falsi positivi) – aggiunge il Direttore della UO di Ostetricia e Ginecologia Dr Stefano Zucchini – La positività al test combinato, quindi, esprime esclusivamente un rischio statistico relativo alla probabilità della presenza di un’anomalia cromosomica, ma non indica sicuramente che vi sia. Viceversa un test negativo ci dice che la madre è a basso rischio statistico di avere un figlio affetto, senza però escluderlo totalmente. Il vantaggio è però importante, perché le donne che risultano a basso rischio, possono scegliere di rinunciare alla diagnosi invasiva, che dà un risultato certo, ma che comporta comunque un rischio di abortività tra lo 0,5% e l’1% (ossia su 1000 esami invasivi ci possono essere tra i 5 e i 10 aborti). Nei paesi in cui il test combinato è utilizzato in maniera estensiva, come la Danimarca o la Gran Bretagna, si è verificata l’alta predittività del test ed una sostanziale riduzione di diagnosi invasive e relativi rischi. Ad Imola, che è già centro di eccellenza per la genetica medica e che svolge in loco sia le villo centesi che le amniocentesi, siamo partiti da poche settimane con l’esecuzione del test combinato, ma il lavoro organizzativo che si è svolto in questi mesi è stato intensissimo e ha messo a confronto molti professionisti aziendali: i ginecologi del territorio, quelli ospedalieri, i laboratoristi ed i genetisti.
Si tenga presente che per effettuare la translucenza nucale i ginecologi
ecografisti devono ottenere e mantenere nel tempo attraverso verifiche
periodiche una certificazione professionale internazionale rilasciata dalla
“Fetal Medicine Foundation” di Londra, che in casi particolarmente complessi può anche essere contattata per consulenze di massimo livello”.
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Che cosa è il test combinato
Consiste nella valutazione, da parte di personale medico appositamente accreditato presso la Fetal Medicine Foundation di Londra della translucenza nucale fetale mediante esame ecografico da effettuare tra 11 e 13 settimane di gravidanza, associata al dosaggio sul sangue materno di due proteine, la PAPP-A e la free-ß-hCG.
La translucenza nucale è lo spessore del liquido raccolto a livello della nuca del feto ed è stato rilevato che il suo aumento può essere associato in modo statisticamente significativo alla presenza di alcune patologie tra cui la sindrome di Down.
La PAPP-A e la free-ß-hCG sono due proteine normalmente presenti in gravidanza che si possono trovare in quantità alterate nel sangue delle mamme con feto affetto dalla sindrome di Down.
I valori ottenuti da tali misurazioni vengono inseriti in un programma che calcola il rischio di presenza nel feto di trisomia 21 (sindrome di Down), 13 (sindrome di Patau) o 18 (sindrome di Edwards).
Anche in caso di gravidanza gemellare è possibile eseguire il test combinato. La sensibilità del test nella gravidanze gemellari è più bassa che nella gravidanze singole, in particolare nella gravidanze gemellari monocoriali in cui una translucenza nucale aumentata può indicare problemi specifici di questo tipo di gravidanze.
Il test risulta positivo quando indica un rischio di avere un figlio affetto da sindrome di Down pari o superiore a 1:300 alla data dell’esame. in questi casi il rischio di un aborto provocato dalla diagnosi prenatale invasiva può essere giustificato dal rischio di patologia cromosomica e la donna che lo desideri, può essere sottoposta gratuitamente al prelievo di
villi coriali a 11-13 settimane di gravidanza o all’amniocentesi a 15-18
settimane.
È opportuno sottolineare che il test non fornisce indicazioni diagnostiche: la positività esprime esclusivamente un rischio statistico relativo alla probabilità che il feto sia affetto ma non ci indica che il feto è affetto sicuramente da sindrome di Down. Viceversa un test negativo ci dice che la
madre è a basso rischio statistico di avere un figlio affetto, senza però
escluderlo con certezza.