Il presidente avrebbe trovato l’accordo con Netanyahu. Attacco rimandato a dopo le elezioni in cambio di armi. Tempo in cambio di mezzi: questo sembra essere il vero accordo segreto raggiunto fra gli Usa e Israele a Washington la settimana scorsa.
A quattr’occhi è un’altra cosa, e anche due che, come si sa, non si sono particolarmente simpatici, alla fine un punto che salvaguardi gli interessi reciproci lo possono trovare, anche quando si parla di guerra.
Così Obama e Bibi, nelle more della gigantesca convention dell’Aipac: nell’arena dei tredicimila ospiti, Netanyahu, pure fra dichiarazioni di devozione all’alleanza con gli Usa, assicura che Israele non prenderà rischi di fronte all’impellenza del rischio atomico iraniano e agirà al momento giusto; Obama dichiarandosi il migliore amico di Israele pure avverte che gli Stati Uniti hanno intenzione di ritentare ancora la strada dei colloqui e delle sanzioni. Ma ambedue sanno che, con tutta probabilità, Obama sarà rieletto e certamente dovrà avere a che fare, nei prossimi mesi e anni, con un Israele in stile Bibi, ovvero, «never again».
Da qui, dalla necessità di andare d’accordo partendo da punti di vista diversi, il patto segreto della Casa Bianca; nonostante le smentite della presidenza c’è, pare, un punto fermo raggiunto da questi due leader dotati di un ego ingombrante, di una capacità speciale di difendere i loro argomenti in ottimo inglese, di una notevole disinvoltura ma anche del senso del tempo, che è immediato, drammatico e grave a causa delle feroci mire di Ahmadinejad e degli ayatollah.
Vedi, deve aver detto Bibi a Obama, noi vogliamo andare d’accordo con voi, ma da quando gli ayatollah accumulano l’uranio arricchito a Fordo, e tutte le fonti ci dicono che il tempo mancante alla bomba è fra tre mesi e un anno, non possiamo scherzare col fuoco. Qual è la tua linea rossa?
Obama ha detto forse di condividere le informazioni pessimistiche, ma di avere anche buone indicazioni sullo stato di disagio di un regime ormai spaccato in due e contestato nel profondo da una popolazione impoverita, privata dei diritti, stufa di essere vittima del fanatismo dei suoi capi, odiata da tutto il mondo. Forse in questa situazione le prossime sanzioni che bloccano il commercio e immobilizzano la banca centrale potranno finalmente portare su una buona strada, spera Obama, e ora non è il momento giusto… E qui Bibi capisce che stiamo parlando di qualcosa di fondamentale per Obama: il presidente americano sarà anche un idealista, ma certo non al punto di immolare la sua corsa elettorale, ancora sei mesi, su un attacco israeliano, una prova del fuoco di fronte alla sua opinione pubblica pacifista ma anche a quella patriottica e a quella ebraica che certamente si schiererebbero con Israele e pretenderebbero
uno schieramento senza obiezioni di sorta.
Bibi ascolta, capisce, e rilancia: aspetteremo fino alla
fine del 2012 se avremo in cambio le vostre nuove bombe a impatto profondo che
consentano di arrivare senza fallo nel cuore degli impianti nucleari, e gli
aerei che permettano il rifornimento in volo dei jet da combattimento. Obama è
un politico abbastanza disinvolto da giocare senza remore sulla necessità di
Israele di fermare il primo delinquente del mondo, e non si perita di chiedere
di farlo, ok, ma senza impicciare la sua campagna. Probabilmente minimizza gli
eventuali rischi di questa presa di posizione. Bibi d’altra parte segue una
regola che si impara per prima circa le operazioni segrete di Israele, dalla
distruzione del reattore di Ozirak, a Entebbe, alle eliminazioni dello sceicco
Yassin e di Rantisi: fallo quando puoi e non prima, gioca solo quando hai tutte
le carte in mano, quando hai i mezzi, le mappe, gli uomini pronti, quando si
presenta l’occasione e hai le armi giuste. Dunque, se Israele ha veramente
bisogno di quelle «bunker buster bomb» di Obama, c’è da giurare che aspetterà.
Sì, Bibi aspetterà finché può perché ha bisogno dei mezzi probabilmente promessi da Obama. Altrimenti, dovesse presentarsi un’occasione speciale di fermare la bomba di Ahmadinejad, e fosse davvero chiaro che l’operazione può avere un buon successo, la campagna di Obama aspetterà.
Fiamma Nirestein