Italia: il paese dove la giustizia “si fa”, non si amministra!

ROMA, 12 Mar – Le “eroiche” e “specchiate” toghe, senza colore, ma di tutti i colori (a patto che
siano le gradazioni del rosso) si stracciano le vesti per la sentenza della Cassazione sul caso Dell’Utri.
Non mi perderò, né trascinerò nel perdersi –
chiunque altro legga queste riflessioni – nelle acque limacciose del linguaggio tecnico-giuridico. Vorrei soltanto ricordare le dieci, cento, mille volte in cui i paladini togati della giustizia hanno invitato noi, vile plebaglia, asservita all’immondo Cavaliere dalle mille macchie, a non commentare, ma ad accettare le sentenze della magistratura.
Per certi magistrati, sono incommentabili le sentenze di condanna del Caimano e dei suoi vili accoliti; commentabilissime, invece, quelle di assoluzione, o di cassazione di una o più sentenze, che riguardino i medesimi e loschi figuri.
Così vanno le cose là dove “si fa giustizia”, quando invece si dovrebbe amministrarla secondo le regole dello Stato di diritto.
Quante volte gli italici templi dei “facitori di giustizia” sono stati condannati dai tribunali internazionali per il mancato rispetto dello Stato di diritto?
Il silenzio operoso non abita a casa di certi togati.
Che cuociano pure nel loro brodo, fino alla conclusione della programmata e “gloriosa” carriera; magari accompagnata, al momento della quiescenza, dal pistolotto del “resistere resistere resistere” di borrelliana memoria.
Siamo seri!

guglielmo donnini