ROMA 7 FEB – Ricordo, con quella strana lucidità che mi coglie nei momenti di forte incazzatura, un
Clinton di tanti anni fa. Riferendosi all’Italia, diceva:”piccolo è bello”.
Considerate le sue “priapistical performances” nella Sala Ovale, nessuno pensi a un momentaneo pentimento…
Sembrava, allora, che la strategia del “piccolo è bello” fosse la panacea per le imprese.
Oggi, nulla è rimasto di “grande” in Italia; mentre appare evidente, nel mondo della globalità, che, se non diventi grande, sei destinato a “fare la terra per i ceci”, come si diceva una volta nelle campagna umbra.
Passano gli anni e le stagioni, le mode vanno e vengono.
Non riusciamo, da tempo immemorabile, a salire per primi sull’autobus della storia.
Per noi, solo posti in piedi, se va bene.
I “piccoli” imprenditori cadono anche perché lo Stato trattiene nei suoi forzieri circa 90 miliardi a loro dovuti; mentre Equitalia li morde alla gola come cane da combattimento; e le banche comprano titoli pubblici a breve scadenza, anziché
dare ossigeno alle imprese.
Le grandi aziende estere non investono da noi per i noti motivi: Statuto dei lavoratori, incertezza del diritto, criminalità
mafiosa, burocrazia lentissima, farraginosa e incomprensibile.
L’economia va male?
La risposta è quella che vediamo in questi giorni.
Il Professore, col suo eloquio flautato, non sta certo mandando consumatori nei negozi.
Se la gente non compra, soprattutto perché non può, le aziende chiudono o falliscono.
Il “piccolo è bello” di una volta, è diventato il “piccolo è brutto” di oggi.
Professore, si dia una mossa! O ci troverà tutti irrigiditi nel “rigor Montis”, per aver voluto inseguire la culona teutonica,
che vuole vincere a tutti i costi (anche a quello della nostra pelle) le elezioni nel suo paese .
guglielmo donnini