Il peso insostenibile dello stato assistenziale

di Claudio Romiti

Come ha correttamente scritto Arturo Diaconale, il governo Monti sta percorrendo, per tentare di raddrizzare la nostra malandata baracca, la strada dei sacrifici, con molte tasse e ben pochi tagli alla spesa pubblica. Una strada piena di buone intenzioni che, di questo passo, ci condurrà diritti verso l’inferno.

E da questo punto di vista non credo che il tanto contestato declassamento italiano ad opera di Standard & Poor’s sia del tutto campato per aria; anzi! Il problema è che il Paese, occorre ribadirlo ancora una volta, è affetto da una combinazione di fattori i quali, in assenza di interventi molto profondi, rischiano di portare il sistema ad un vero e proprio collasso. Molto in breve, abbiamo un colossale debito pubblico, un eccesso di Stato sotto forma di alta spesa corrente e tasse ben oltre il livello di guardia e, dulcis in fundo, una economia che mostra i chiari segni di una recessione.

Ora, come si può pretendere che chiunque investa nei nostri titoli pubblici non si incarichi affatto di valutare la solvibilità di un Paese indebitato fino al collo e che, per sopramercato, non offre alcuna garanzia sul piano della crescita?! Un Paese il quale, ed è questa a mio avviso la cosa più seria, continua ad essere governato da gente, professori o politici che dir si voglia, che evita come la peste di affrontare la madre di tutte le problematiche: il peso insostenibile – sempre secondo una azzeccata definizione del direttore de L’Opinione – dello Stato burocratico-assistenziale.

D’altro canto, a partire dal più elementare organismo economico, quando si entra in una fase di vacche magre la prima cosa da fare è quanto meno contenere le uscite, salvaguardando nel contempo le potenzialità produttive dell’organismo medesimo. Sotto questo profilo, una famiglia in difficoltà economica non potrà mai pretendere di ottenere un prestito da un qualunque istituto finanziario se presenta un bilancio in cui, nel medio periodo, le sue spese complessive non saranno mai coperte dai redditi di tutti i suoi membri.

A quel punto solo rivolgendosi ai cosiddetti strozzini una tale famiglia di cicale avrà la possibilità di mantenere ancora per qualche tempo il proprio insostenibile tenore di vita. Ebbene, proseguendo nell’attuale china, l’Italia di Monti corre lo stesso rischio, ovvero quello di farsi strangolare da crescenti tassi d’interesse sul debito, causati da un andamento generale del Paese che produce una costante perdita di fiducia.

E hai voglia a lanciare appelli all’Europa, come ha fatto il premier in questi giorni, affinché – non si sa bene come – venga lanciata una scialuppa di salvataggio all’Italia. Un governo che ritiene di far ripartire la terza economia dell’Ue portando la pressione fiscale effettiva a ben oltre il 50% del Pil, senza toccare il molok di un sistema pubblico che spende il 54% del reddito nazionale, cosa può pretendere dai suoi partner continentali? Al massimo qualche incoraggiamento e pacche sulle spalle.

Personalmente, non investirei un centesimo nei titoli di uno Stato che, pure con il contributo del professor Monti, sta riuscendo nella diabolica alchimia di collettivizzare quote crescenti dei profitti privati, lasciando a chi lavora solo le briciole di una attività formalmente libera. Il tutto nel nome e per conto di un nefasto continuismo politico, posto a tutela di un sistema di – per così dire – coesione sociale che si basa su masse di nullafacenti i quali, attraverso i titoli più disparati, vivono completamente fuori da ogni logica produttiva.

In altri termini, immolare ciò che resta delle nostre risorse umane e materiale in favore dell’idolo burocratico-assistenziale potrò certamente convincere la sinistra massa di collettivisti che non sanno far altro che chiedere più stato e più politica per tutti, ma non certamente chi vuole investire in modo oculato i propri e gli altrui risparmi, agenzie di rating a prescindere.

Claudio Romiti