di Claudio Romiti
Abbiamo veramente passato un week end di paura: prima il naufragio della Costa Concordia e, subito dopo, il declassamento del nostro debito sovrano ad opera di Standard & Poor’s. D’altro canto La impressionante vicenda della succitata Costa Concordia, una nave da crociera che ha stazza lorda quasi tripla rispetto al tristemente famoso Titanic, sembra veramente la metafora dell’Italia.
E se una incredibile colpevole leggerezza pare aver causato il naufragio del vanto della nostra marina mercantile, analogo atteggiamento rischia di mandare a picco un Paese che sembra non aver ancora compreso che non è più possibile vivere sopra le proprie capacità economiche. Da questo punto di vista, chi si trova al timone di uno Stato che continua a spendere oltre il consentito risulta cieco di fronte ai tanti scogli che si incontrano nell’attuale navigazione.
Primo fra tutti la perdita di fiducia da parte degli investitori in merito alla solvibilità del nostro debito pubblico. E su questo aspetto prendersela con il “dito” che indica la luna, ovvero le agenzie di rating, rappresenta solo un maldestro tentativo di trovare un alibi nei confronti di una cittadinanza molto confusa, ma non serve minimamente ad evitare che la “barca” vada a fondo.
D’altro canto se il governo Monti pensava di rassicurare i mercati in virtù, si fa per dire, di una ulteriore spremitura fiscale, i risultati sembrano deluderlo profondamente. Infatti, chi è chiamato a rinnovare i nostri titoli pubblici, chiede un interesse oramai proibitivo perché ritiene che un sistema affetto da un eccesso di spesa, cronicamente fermo sul piano della crescita non abbia molte chance di annullare il deficit di bilancio.
Sotto questo profilo la strada da percorrere è la stessa che la sparuta tribù di italici liberali consiglia da molti lustri: un taglio sostanzioso della spesa pubblica corrente, pena un’irrimediabile uscita dall’euro. E per questa sciagurata eventualità non ci sono scialuppe di salvataggio che tengano, men che meno quelle già mezzo affondate delle liberalizzazioni fasulle.
Claudio Romiti