POLITICA E COSTI – Spicca la pagliuzza e non la trave

di Claudio Romiti

Il nostro Paese, tra i tanti record negativi, è tristemente famoso per appassionarsi a questioni di pura lana caprina, concentrando l’attenzione dei più su problematiche di grande valore simbolico ma di scarsa importanza sostanziale, come l’attuale diatriba sugli stipendi dei parlamentari.

Ancora una volta si urla e si strepita per la pagliuzza, restando completamente ciechi di fronte alla vera e propria trave che grava sul sistema: i costi reali della politica. Costi reali di cui i pur ricchi emolumenti di chi è in qualche modo agganciato ai tanti carrozzoni pubblici, quindi non solo i rappresentanti eletti dal popolo, costituiscono solo una parte della nostra statalizzata propensione allo spreco.

A questo proposito ricordo una recente puntata di Report, il programma di inchiesta di Rai3 condotto da Milena Gabanelli, in cui si analizzavano i privilegi delle cosiddette authority italiane, presenti in numero senza pari nel mondo. In particolare, è emerso che l’attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Antonio Catricalà, nelle vesti di presidente dell’Antitrust, ha percepito 450. 000 euro all’anno di stipendio, oltre ad 8.000 euro al mese in qualità di membro del Consiglio di Stato, anche se -si diceva nel citato programma- in 20 anni il nostro non ha mai messo letteralmente piede in questa sorta di corte suprema della giustizia amministrativa.

Ma questo sarebbe solo uno dei tanti esempi, diffusi in ogni angolo del Paese, nei quali attraverso una decisione di natura politico-burocratica, ergo ineccepibile sul piano della legalità formale, una schiera crescente di personaggi ottengonbo con un tratto di penna poltrone e ricchi privilegi, pagati a caro prezzo da un contribuente che fa sempre più fatica a comprendere i mille rivoli in cui si disperde la colossale spesa pubblica.

Ora, sull’esigenza che occorra una forte ondata di moralizzazione in tutto il vasto mondo che ruota intorno alla politica siamo, almeno a parole, un po’ tutti d’accordo. E’ invece sulle ricette che si nota una sostanziale differenza tra una dominante cultura becero-statalista, rappresentata ai massimi livelli dalla sinistra storica e dai suoi addentellati sindacali, ed una visione minoritaria che si rifà ai dettami del più autentico liberalismo.

In breve, mentre per il pensiero cosiddetto progressista sarebbe possibile, attraverso una opera di moralizzazione collettiva, aggiustare il “giocattolo rotto” di un sistema pubblico dominato da un diffuso accaparramento di privilegi personali sempre più ingiustificati, per i pochi veri liberali di questo Paese l’unica strada per ridurre gli appetiti della classe politica e burocratica è quella di una drastica eliminazione delle competenze, che vuol dire anche meno poltrone, che la stessa classe politica e burocratica esercita nei confronti della società nel suo complesso.

In altri termini, se per la sinistra, riprendendo in questo il mito dell’uomo nuovo propagandato per anni dai regimi comunisti, è possibile trovare la pietra filosofale di un uomo pubblico solo dedito agli interessi collettivi, e per questo parco sul piano degli emolumenti personali, per un liberale l’idea che qualcuno possa evitare abusi spendendo i soldi degli altri non sta nè in cielo e nè in terra.
Anzi, l’esperienza di questi lunghi anni di crescente statalismo, testimoniato da una spesa pubblica in perenne ascesa, dovrebbe dimostrare che, a partire dalla più oscura poltrona dispersa sul territorio, la propensione a fare i “signori” con i quattrini altrui rappresenta un tratto oramai acquisito nella cosa pubblica ad ogni livello.

D’altro canto, non c’è molto da scandalizzarsi se in questa caccia collettiva ad un posto al sole anche il parlamentare abbia fatto la sua parte acquisendo nel tempo privilegi degni di un mandarino. Mi sembra normale e fisiologico che nell’ambito di un consesso di rappresentanti in cui passano decisioni di spesa per circa il 54% del Pil si cerchi di ritagliare una qualche fetta di questo colossale “giro” d’affari.

Tuttavia, il problema non sta nella cresta che il ceto politico esercita sulla spesa, bensì nella quantità assolutamente spropositata della spesa medesima. E su questo piano la sinistra speranza che possa nascere un “homo novus” in grado di abbattere i privilegi pur continuando a spremere una così ingente quantità di risorse è destinata a naufragare nel mare profondo delle illusioni perdute.

Claudio Romiti