Cinque miseri centesimi. Cioè, prova tu ad avere un debito di cinque centesimi con Equitalia. Alla signora Picchiri è successo, l’ha resa famosa. La storia l’ha raccontata l’Unione Sarda: era andata a saldare il debito reclamato dalla famosa (famigerata?) società di riscossione, 51 per cento dell’Agenzia delle Entrate e 49 dell’Inps. Lei sostiene che evidentemente l’impiegato ha sbagliato a trascrivere la cifra. Tant’è: «Signooora, lei ha versato cinque centesimi in meno di quanto indicato sul bollettino! Signooora, è una cosa gravissima!». Era il 2009. Quell’immaginaria monetina è nel tempo cresciuta, anzi s’è ingigantita. In breve il debito in questione è salito fino a 62,03 euro. Che significa 1.240 volte in più. Alla faccia degli interessi.
E questa è vicenda che si mantiene comunque su cifre basse. In altri casi, l’impersonale inflessibilità della società che qualcuno ha ingenerosamente ribattezzato “aguzzino fiscale” provoca traumi altroché dolorosi. Sempre in Sardegna, località Cortoghiana, frazione di Carbonia. Ecco, qui nel 1990 Salvatore Angelo Sairu – di professione agricoltore – e la moglie Rosalba Desogus accendono un mutuo agevolato per 82mila euro, legato alla loro fattoria. E niente, il lavoro non sempre va come deve, qualche rata viene saltata, le agevolazioni ritirate. Come di consueto, il debito assume col passare dei mesi una dimensione sproporzionata: nel 2003 Equitalia arriva a richiedere 220mila euro. Due anni dopo casa e terreni vengono messi all’asta, e acquistati per 153mila euro. I concittadini si mobilitano, improvvisano barricate davanti alla proprietà per impedire lo sgombero. Niente da fare: dopo tre rinvii, lo scorso 21 settembre decine di agenti con tanto di elicottero a supporto – manco si trattasse di pericolosi latitanti – circondano il covo dei contadini inadempienti ed eseguono il provvedimento. Peraltro, la stessa signora Desogus è stata poi in novembre protagonista di una clamorosa protesta, con sette donne in sciopero della fame proprio per protestare contro le modalità di riscossione. Ultima nota dalla Sardegna: è, questa, la regione che ha registrato il maggiore aumento proprio per quanto riguarda gli incassi di Equitalia, + 27,2 per cento fra 2009 e 2010.
Storie di vita vera, di carne e ossa e fatiche sprecate. Intendiamoci, qui non si tratta di prender le parti dell’evasore che scappa dal sacrosanto debito con la collettività. Dice: ma il fisco non può mica discernere, far differenze e magari favoritismi. Ma no, che non si tratta di questo: solo di tornare a guardare negli occhi le persone. Sentite questa dalla Liguria: c’è un uomo malato di Alzheimer, a suo carico viene compilata una cartella esattoriale da 63 euro. E non è che non vuol pagare, solo che – per l’appunto – è malato, e anche sua moglie è invalida. L’episodio risale a quando Equitalia era ancora Gestiline, e a prima che le leggi stabilissero dei tetti più stringenti per ipotecare le abitazioni (debiti al di sopra di 8mila euro e che comunque superino il 5 per cento del valore dell’immobile). Resta il fatto che per quei 63 euro la casa dell’uomo viene messa all’asta e aggiudicata. I figli della coppia hanno poi sporto denuncia. Ora sono indagati il direttore ligure di Equitalia e tre funzionari, che respingono le accuse.
In ogni caso, scorrendo le cifre si resta basìti: secondo Federcontribuenti, sarebbero circa 6 milioni le famiglie e almeno 1,5 milioni le imprese finite nel mirino della società. Irregolarità, certo. Imposte non pagate. Furbi che si mischiano a persone in effettiva difficoltà. C’è però da ricordare un altro dato: spulciando i numeri relativi ai contenziosi tributari – che dunque riguardano Equitalia ma non solo – emerge che, in primo grado, il 35 per cento dei verdetti è favorevole al contribuente, e in secondo grado (dunque si presume dopo un giudizio avverso al contribuente stesso) la percentuale sale al 44 per cento. In sostanza: più o meno una volta su tre risulta che il Fisco, di cui Equitalia è impietoso ambasciatore, cerca di far pagare tasse non dovute.
Lo scrivevamo prima: è questione di guardare davvero in faccia chi si ha di fronte (o dietro la cartella esattoriale). Lo afferma anche lo Statuto del contribuente, all’articolo 10: «I rapporti fra contribuenti e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede».
Sì, figuriamoci… Eccovi allora la storia raccontata qualche tempo fa dal Sole 24 Ore. Riguarda un commerciante di Bari. Titolare di debito con l’Erario, nel dicembre del 2009 ne chiede la rateizzazione. Peccato che, solo dodici giorni dopo, Equitalia gli comunica d’aver piazzato un’ipoteca su un suo immobile. Tanto per non smentire la proverbiale inettitudine della burocrazia italica, un mesetto dopo la stessa Equitalia comunica di aver accettato la rateizzazione. È a questo punto che il commerciante presenta ricorso: in caso di rateizzazione concessa, non è possibile iscrivere ipoteche. Niente, la pratica va avanti. Fino al verdetto della commissione tributaria, che dà ragione al commerciante. Peccato, però, che nel frattempo – riportiamo dalla sentenza – «l’iscrizione di un’ipoteca ha comportato per il ricorrente un grave danno all’immagine nel contesto relazionale sociale e soprattutto un incalcolabile danno economico»: in sostanza, l’uomo ha dovuto chiudere l’attività a causa «dell’impossibilità di accesso al credito che, soprattutto per un piccolo imprenditore, è linfa vitale, in particolare entro l’attuale congiuntura economica». Ecco, l’impressione è che non si tratti di un caso isolato.
da Libero di Andrea Scaglia