MILANO, 2 gGen 2012 – E’ stato uno dei primi a dubitare della “morte naturale” di don Verzé. Ora, nel giorno dei suoi funerali, Vittorio Sgarbi torna in un’intervista con
Affaritaliani.it sul tema, rivelando che “don Verzé era una persona controcorrente, che aveva sostenuto pubblicamente l’utilità del preservativo e dell’eutanasia”. Tanto da non risultare gradito alla Chiesa. “Alla fine ha deciso. Non ci sarebbe nulla di strano nel fatto che avrebbe indotto i suoi
medici a dargli un caffè velenoso, letale. Insomma, che abbia voluto accelerare la propria dipartita. Questo sarebbe coerente con le sue idee”.
Vittorio Sgarbi, veniamo subito al punto. Lei ipotizza che la morte di Don Verzé non sia stata… “naturale”? C’è una storia da raccontare, che racconterò. Quella di un don Verzé che è peggio di Pannella. O meglio, a seconda di come la si vuole intendere.
Si spieghi. Era favorevole al preservativo, era per una Chiesa che non intervengano su questioni che riguardano la malattia, era per l’eutanasia. Se Dio è grande, allora comprende anche la scienza. Questo è quello che pensava don Verzé ed è quello che penso anche io. Se Dio è grande non si può
preoccupare per un pezzo di gomma, e quindi don Verzé pensava che dove c’è una malattia il preservativo va usato. Non solo. In uno dei suoi libri si è pronunciato a favore dell’eutanasia.
Preservativo, eutanasia, riconoscimento della scienza nella sua totale razionalità… C’è di che far arrabbiare la Chiesa. Esatto. Nulla di strano che tra l’età e lo sconforto, don Verzé abbia indotto i suoi medici a dargli un caffé velenoso, letale. Insomma, che abbia voluto accelerare la dipartita. Lo dico perché è un sospetto che viene tra la morte e la messa all’asta dell’ospedale. In questo naturalmente il gesto non va visto in termini di sconforto, come un suicidio, ma in termini socratici. Con il suo gesto
rafforza le sue opinioni in termini di eutanasia.
Lei intende la sua morte come una liberazione…Esatto. Una cosa simile a quella di Lucio Magri. A oltre novanta anni, come si muore è
poco più di un pettegolezzo, ma l’addio di don Verzé rientra in modo armonioso con le sue dichiarazioni contro la Chiesa ufficiale, che peraltro lui non ha mai abbandonato.
E’ stato un estremo atto di protesta? Più che di protesta, di fiducia nella scienza. Don Verzé ha pensato che la sua esperienza
fosse consumata e che quindi potesse essere aiutato a morire. La mia ipotesi è che lui abbia chiesto a qualcuno quella cosa che lui aveva lodato e che era l’eutanasia. Per ragioni non fisiologiche ma psicologiche: non perché fosse così grave e sofferente da chiedere di morire prima, cosa che pare abbia fatto addirittura papa Giovanni Paolo II, ma per una ragione psicologica. Don Verzé era talmente abbattuto da sentirsi morto.
Si può ipotizzare che lui si sia “tolto di mezzo” per togliere qualche imbarazzo nella vicenda del suo ospedale? Non lo so. So che potrebbe aver aiutato la sua uscita, non facendo nulla di incoerente. Sulle motivazioni dubito che ci fosse l’intenzione di fare un dispetto alla Chiesa, ma quello di esercitare verso se stesso il rispetto che si deve a un uomo.
Angeli e demoni. Il caso San Raffaele e don Verzé
Ad Illasi, in provincia di Verona, per il funerale di Don Verzè non c’è stata la folla delle grandi occasioni. Pochi i volti noti, tra questi quello del filosofo Massimo Cacciari (mentre tra i fiori deposti in Chiesa spiccano quelli inviati da Letizia Moratti). Non c’è l’amico di sempre Silvio Berlusconi. Stranezze. Ma quella del Cavaliere non è l’unica defezione ad essere stata notata.
Sulla morte del discusso fondatore del San Raffaele aleggia il mistero (tra l’altro, proprio ieri, la Finanza ha acquisito la sua cartella clinica). E
addirittura, secondo molti, l’atmosfera da spy story che la circonda ricorderebbe non troppo alla lontana quella dei casi Calvi e Sindona. Quelli con
il caffé avvelenato, con la morte sotto il ponte dei Frati Neri. Quelli dove la nera diventa giallo. Del resto, è noto che don Luigi Verzè avesse tanti amici, ma anche tanti nemici, soprattutto dalle parti del Vaticano. Lo stesso Vaticano che ha deciso di intervenire, appena dopo l’insorgere dello scandalo delle tangenti e l’arresto di Pierangelo Daccò, per “salvare” (o, mormorano i maligni, per acquisire il controllo e chiudere il sipario su un caso bomba davvero imbarazzante) il San Raffaele.
Dunque, il sacerdote finito nella bufera negli ultimi mesi è davvero morto di stress (e vecchiaia) come assicurano i medici? O c’è dell’altro? Roba da Dan Brown, sembrerebbe. Un caso perfetto per un thriller tra sacri palazzi e interessi terreni. E’ per questo che non va dimenticata l’incredibile
coincidenza: don Verzè è morto (per una crisi cardiaca, stando alla cartella clinica in mano agli inquirenti) proprio a poche ore dalla consegna delle buste per l’acquisto dell’Ospedale. E non è finita: lo scorso 18 luglio si era tolto la vita, sparandosi alla testa, il suo braccio destro Mario Cal. Due morti in sei mesi. Una scia di sangue inquietante.
Ed è solo un caso che uno che non l’ha mai abbandonato, il cantante Al Bano, appena saputo della sua morte, si sia lasciato scappare quel “dopo che tutti sono andati contro di lui, mi chiedo se è morto o l’hanno aiutato a morire”? Coincidenze, frasi dal sen fuggite? Resta il dubbio. Tanto che Vittorio Sgarbi, intervistato da Affaritaliani.it, nutre sospetti anche più gravi (“Un caffè letale per don Verzé”). In una recente intervista, tra l’altro, questo sacerdote così fuori dagli schemi (che già in passato aveva avuto problemi con la giustizia) non aveva escluso il suicidio. Anzi, lo considerava un’opzione (peraltro gradita Oltretevere). Il colloquio, che oggi sembra profetico, era stato raccolto da Claudio Sabelli Fioretti: “Due monsignori di un sacro dicastero mi chiamarono a Roma. Mi dissero: “non si faccia intimorire dal cardinale Montini. Deve solo temere che la sua opera faccia fallimento”. Io dissi: E se fallisco? Uno dei due mi disse: “Se fallisce, un giorno prima si butti dalla finestra del quarto piano”». E l’altro? «L’altro disse: “Meglio che si compri subito una pistola e prima di fallire si spari”». Le hanno consigliato
di suicidarsi? «È la verità. Come si fa a non dire la verità?». Poi c’è la questione dell’eutanasia, sulla quale aveva posizioni antiecclesiastiche fin
dall’inizio. Le ipotesi si moltiplicano, le ombre non si diradano ed è difficile dire dove finisca il giallo e cominci la realtà.
Di certo, la morte ha sottratto Don Verzè alle domande della Procura di Milano. Sul buco da 1,5 milioni che ha travolto il San Raffaele, infatti, non è stato ancora detto tutto. E poi, su quel jet privato, sulla piscina in riva all’Atlantico, sulla fazenda in Brasile, sulle mazzetta a questo e a quello, sulle aderenze in Regione Lombardia, sull’ostilità del Vaticano e sull’interesse
della Santa Sede per l’ospedale meneghino. Al momento, in corsa per il San Raffale che va all’asta ci sono due gruppi: il “re delle cliniche” Giuseppe Rotelli e il blocco Ior-Malacalza, che attualmente gestisce l’Ospedale, e che al momento si troverebbe in leggero vantaggio. Rotelli contro il Vaticano. Una bella sfida, che don Verzé seguirà da lontano.
I FUNERALI/ Camera ardente all’ospedale di Segrate per il fondatore del San Raffaele. Poi i funerali nel paese d’origine del sacerdote. Tra i presenti Cacciari e Al Bano, che aveva detto: “Lo hanno aiutato a morire”. E poi: “Hanno detto delle cose vergognose che proprio non si meritava”. E se la scomparsa del 91enne Don Verzé non fosse dovuta a cause naturali? Il sospetto viene, dopo che la cartella clinica è stata acquisita dalle Fiamme Gialle. Intanto alla cerimonia funebre non ci sono i tanti amici del fondatore del San Raffaele, tra i quali Silvio Berlusconi…