di Claudio Romiti
In tema di crescita economica, occorre ribadire che l’unico modo per rilanciare il Paese è legato ad una drastica riduzione del prelievo tributario allargato, ovvero esattamente il contrario di ciò che sta facendo il governo Monti.
Occorre anche, spero una volta per tutte, togliersi dalla testa che possa funzionare qualunque ricetta di stampo keynesiano, così come invocano molti esponenti di quella vasta componente politico-sindacal-burocratica che sostiene da sempre l’esigenza di utilizzare la spesa pubblica quale leva per far aumentare il Prodotto interno lordo.
Un sistema che non cresce da oltre dieci anni, zavorrato da un prelievo reale che supera ampiamente metà della ricchezza prodotta, non avrebbe altra strada che quella di abbassare le tasse. Tuttavia, data la preoccupante perdita di fiducia sui mercati finanziari, è da scartare recisamente la possibilità di ridurre le aliquote in deficit, onde evitare ulteriori aggravamenti del cosiddetto spread sui titoli di Stato.
Pertanto, l’unica chance che resta per riprendere la via della crescita consiste in un taglio corposo delle enormi uscite pubbliche, le quali oramai viaggiano sopra il cinquantaquattro per cento della ricchezza nazionale. Sotto questo profilo, fino ad ora l’esecutivo dei professoroni ha realizzato qualche risparmio concreto sul fronte previdenziale, sebbene si sia poi calato le braghe sull’indicizzazione di alcuni vitalizi non proprio da fame, la qual cosa avrebbe comunque comportato una minore spesa a regime di circa 2,5 miliardi all’anno.
Ma a parte il settore della previdenza, che comunque resta sempre sotto tiro da parte della sinistra e dei sindacati per cercare di ridurre ulteriormente i tagli imposti da Monti e dalla Fornero, per il resto il molto della spesa pubblica, che oramai supera ampiamente gli ottocentomiliardi all’anno, non è stato minimamente intaccato dai cervelloni che occupano la stanza dei bottoni. A tale proposito, quasi come un sinistro refrain, anche tra le fila di una compagine di governo che doveva rivoluzionare il modo di amministrare l’Italia cominciano a circolare tutta una serie di voci e di proposte basate, al pari di ciò che per decenni è avvenuto con gli esecutivi “politici”, su tagli di spesa a dir poco ridicoli, per non dire altro.
In particolare, tra i tanti fantasiosi escamotage in discussione, vi sarebbe l’accorpamento in un unico edificio delle molte agenzie di riscossione tributaria operanti in un medesimo territorio e, udite udite, l’affidamento della manutenzione degli elicotteri di Stato ad un unico soggetto. Sembra incredibile, ma queste due notizie sono state riportate sotto Natale dai più importanti telegiornali italiani.
In sostanza, stando così le cose, ci troviamo di fronte all’ennesimo, sterile tentativo di tagliare la spesa pubblica, ossia la madre di tutti i problemi del Paese, risparmiando sulle “matite” e le “fotocopie”, evitando ancora una volta di affrontare il vero nodo della questione.
Oramai pure i sassi sanno che nella maggior parte dei settori pubblici il grosso della spesa è assorbito dai cosiddetti trattamenti personali, ovvero stipendi ed emolumenti vari. Basti dire che nella scuola pubblica ad esempio, da sempre oggetto dei piagnistei di una sinistra e di un sindacato irresponsabili, oltre il novantasette per cento delle risorse se le pappa il personale impiegato.
Dunque pensare di ridurre le enormi uscite pubbliche toccando solamente ciò che serve per far funzionare la macchina, senza sfiorare l’enorme esercito di personaggi che vivono sostanzialmente di tasse, politici compresi, rappresenta l’ennesima presa per i fondelli nei confronti di quegli stremati ceti produttivi che da anni invocano una riduzione della pressione fiscale.
L’impressione che si cava da tutto ciò è che, professori bocconiani o meno, da noi il rigore della spesa pubblica fa sempre meno rima con popolarità. Un vezzo quest’ultimo che sembra aver molto contagiato anche gli integerrimi cervelloni al potere. Ma stando così le cose, non ci resta che fallire.
Claudio Romiti