Per commercianti e artigiani un Monti di contributi Inps

di Claudio Romiti

Nonostante la crisi dei consumi che si sta abbattendo sul mercato nazionale, commercianti ed artigiani sono stati particolarmente colpiti dalla monovra Monti anche sul piano previdenziale.

E’ infatti stato deciso un forte inasprimento dei contributi Inps che queste categorie sono obbligate a versare. Nel prossimo anno vi sarà un aumento dell’1,3%, mentre in seguito la percentuale crescerà dello 0,45% ogni 12 mesi, portando il livello dell’aliquota al 24% nel 2018. Una aliquota, quest’ultima, assolutamente proibitiva soprattutto in relazione al discutibile meccanismo con il quale essa viene calcolata.

Nella sostanza i lavoratori autonomi subiscono una sorta di minimum tax contributiva dai contorni decisamente incostituzionali, visto che la Consulta per ben due volte ha bocciato  un analogo meccanismo relativo alla cosiddetta tassa per salute. In pratica dal 1991 il contributo viene stabilito sulla base di un reddito minimo, che ogni anno viene regolarmente elevato.

Ciò, unito alla continua lievitazione delle aliquote, provoca un effetto tagliola sulle attività che gestiscono negozi e laboratori, in particolare quelle che operano a conduzione familiare, in cui l’Inps impone un prelievo per ogni componente. In soldoni, già prima che operasse la mazzolata del professor Monti, ogni artigiano e commerciante, includendo i collaboratori familiari, era costretto a versare un minimo di oltre 3.000 euro a cranio, come si suol dire. E questo a prescindere dai redditi individuali che la propria azienda riuscirà a produrre.

Di fatto ciò significa che i lavoratori autonomi sanno che solo per poter alzare la saracinesca debbono sborsare a biglie ferme una cifra non indifferente, sperando poi di riuscire a raggiungere il minimale imposto dall’ente previdenziale. Ora, il problema nasce nel momento in cui, e di questi tempi l’eventualità è più che probabile, un lavoratore autonomo si trovi a realizzare un reddito al di sotto del citato minimale.

In questo caso il contributo agisce in modo pesantemente regressivo – contrastando in questo proprio con l’articolo 53 della Costituzione, la quale stabilisce il criterio della progressività tributaria-, andando a penalizzare le imprese più in difficoltà, costringendo quindi molte attività marginali a chiudere i battenti. Anche perchè, e questo i cervelloni al governo dovrebbero saperlo, il lavoro autonomo costituisce in Italia una tradizionale cassa di compensazione per l’occupazione, soprattutto in momenti di grave crisi economica.

Per questo motivo, data la grande polverizzazione dei relativi settori, i redditi reali di moltissimi piccoli imprenditori sono appena sufficienti per poter tirare avanti, collocandosi spesso a livelli molto bassi.

Ebbene, imporre loro una vera e propria tassa sulla produzione come è in sostanza l’attuale contribuzione Inps, aumentandone progressivamente l’aliquotà senza modificare il meccanismo dei citati minimali, obbligherà migliaia di imprese ad uscire dal mercato, con buona pace di chi spera ancora in una politica di rilancio dell’economia.

Claudio Romiti