In difesa dell’euro per non raccogliere cicoria

di Claudio Romiti

Da un punto di vista liberale, ritengo che cercare di far restare in ogni modo l’Italia nella zona euro sia perfettamente coerente con chi ritiene ragionevole porre dei limiti invalicabili all’invadenza dello Stato e della politica nella vita sociale ed economica del Paese. Così come la, a mio avviso, grottesca perorazione di un ritorno ad una banca centrale quale prestatrice di ultima istanza costituisce, al contrario, un implicito incentivo a dilatare i confini della spesa pubblica, vero criterio per misurare il livello di libertà economica nell’ambito di un sistema democratico.

Sotto questo profilo, restaurare la facoltà dei governi di ottenere la copertura finanziaria della loro irresponsabilità nella spesa, tanto sotto l’euro che ripristinando la vecchia liretta, attraverso la stampa illimitata di carta straccia con corso legale, segnerebbe la definitiva sconfitta del buon senso, a tutto vantaggio della democrazia del consenso fondata sul cosiddetto deficit-spending.

Invece, restare all’interno del rapporto monetario dell’euro, in qualche modo paragonabile all’antico gold standard, rappresenta un formidabile freno all’espansione di una politica che, come correttamente disse il presidente Reagan durante la sua prima campagna elettorale, troppo spesso è il vero male da combattere.

Una politica la quale, presa in una morsa dalla reazione dei mercati finanziari, è costretta ad adottare tutta quella serie di misure che, per forza di cose, non possono che gradualmente orientarsi verso una direzione liberale. Ovvero verso la ristrutturazione di un sistema socio-economico caratterizzato da meno Stato, meno burocrazia, meno spesa e, come conseguenza logica, meno tasse.

Questo in prospettiva è lo scenario che soprattutto in Italia ci dobbiamo aspettare se intendiamo realmente salvare la nostra permanenza nella moneta unica. In sostanza, a quanto pare, la battaglia per salvare l’euromoneta potrebbe e dovrebbe diventare la battaglia dei liberali italiani, in contrapposizione alla irresponsabile demagogia collettivista di una sinistra politico-sindacale che, pur senza eprimerlo chiaramente, continua a sabotare la nostra stabilità finanziaria, perorando e cavalcando qualunque richiesta di spesa ed opponendosi ad ogni forma di risparmio.

Se fosse per i suoi leader, Camusso in testa, torneremmo ad una penosa condizione nella quale, venendo incontro con la stampa di banconote per finanziare una crescente esposizione pubblica, a farla da padrona sarebbe la più iniqua delle tassazioni: l’inflazione galoppante. Inflazione galoppante che, vorrei ricordare, raggiunse nel Paese il suo nefasto culmine proprio nel periodo d’oro della sinistra Cgil.

Era il tempo in cui i predecessori della Susanna nazionale predicavano, col pieno sostegno del più grande partito comunista d’Occidente, la tesi strampalata del salario quale variabile indipendente rispetto alla produzione, battendosi fino all’ultimo sangue per il mantenimento di quella poderosa macchina inflattiva costituita dalla cosiddetta scala mobile.

Attualmente i degni successori di quella fallimentare impostazione politico-economica hanno posto la loro linea del Piave lungo una insensata difesa di un sistema previdenziale che, essendo oramai insostenibile per troppe evidenti ragioni, per mantenerlo tale e quale nel tempo l’unica strada sarebbe appunto quella di stampare ad libitum banconote.

Sotto questo profilo, la difesa dell’euro e della stabilità finanziaria costituisce probabilmente l’arma più efficace per contrastare l’egemonia statalista di chi vorrebbe mandarci tutti a cogliere cicoria, magari barattandola con la rimpianta liretta.

Claudio Romiti