Il Governo dei Prof stenta a ingranare la prima

di Claudio Romiti

Spentosi rapidamente l’entusiasmo iniziale, molti autorevoli osservatori interni ed esteri stanno manifestando una certa perplessità per, diciamo così, una certa flemma che il governo dei professori sembra aver assunto nei riguardi dei provvedimenti da adottare per affrontare una situazione molto difficile. Il Financial Times ha addirittura scritto che il piano anticrisi di Mario Monti “è avvolto nella nebbia”.

Nella sostanza, se si esclude l’atto dovuto nei confronti di Roma capitale e dell’attenuazione dell’acconto irpef 2011, l’esecutivo in carica non ha ancora adottato alcuna misura concreta per rispondere alla perdita di fiducia che il Paese ha registrato sui mercati finanziari.

Allo stato, onde dare una qualche risposta alle apprensioni dei mercati, sembra che entro il 5 dicembre il premier dovrebbe rendere pubblica almeno una parte di quelle misure che la cancelliera Merkel ha definito impressionanti. Tuttavia, dato il carattere di estrema urgenza con cui si è responsabilmente deciso di far nascere un governo di tregua nazionale, ci si aspettava già all’indomani del discorso di Monti alle Camere sua il varo di una serie di provvedimenti d’urgenza con lo scopo primario di offrire quella tanto auspicata rassicurazione ai citati mercati, in fibrillazione da troppo tempo.

Invece, contrariamente agli auspici più ottimistici, il nuovo esecutivo ha prodotto una consistente massa di annunci e di preamboli che hanno inziato a creare non pochi dubbi su chi osserva da vicino la difficile situazione dell’Italia. Personalmente, conoscendo il valore politico di certe prese di posizione, ho cominciato a nutrire molte perplessità non appena Monti ed i suoi ministri hanno tenuto a mettere le mani avanti, dichiarando che tutti i provvedimenti adottati dovranno possedere il crisma del pieno consenso delle parti sociali e dei partiti che appoggiano il governo.

Ora, in un Paese affetto oramai da decenni da un sistema ingessato a tutti i livelli, in cui la metodologia dei veti incrociati, a tutela di troppe categorie protette, regna incontrastata, l’idea di mettere tutti intorno ad un tavolo per decidere di sbloccare la situazione mi risulta molto poco produttiva.

Tant’è che, come era ovvio che accadesse, sulla base delle prime indiscrezioni sulle misure ancora lungi dall’esser adottate, si è manifestata una ridda di prese di posizione con le quali ogni singola categoria ha tenuto ad elogiare le sorti magnifiche e progressive del governo Monti, purchè però esso intervenga in qualche altro settore, lasciando il proprio steccato immune da qualunque cambiamento.

D’altro canto, sebbene il Titanic della nostra economia stia affondando, tutti quelli che hanno la fortuna di stare in prima classe sperano che, mandando a picco i meno protetti, loro potranno continuare a galleggiare sopra le effettive possibilità della barca italiana. Il problema è che, senza un arbitro imparziale che sappia fare quelle scelte impopolari che proprio la democrazia del consenso ha impedito di realizzare fino in fondo, nessuno sarà mai disposto a sacrificare volontariamente una parte di ciò che la stessa democrazia del consenso gli ha permesso di ottenere.

Per questo si pensava che, data la grave emergenza economica e finanziaria, l’esecutivo Monti indicasse con chiarezza all’intero Paese che senza prendere la medicina amara di provvedimenti improcrastinabili non vi sarebbe stata alcuna possibilità di evitare la corsa verso la bancarotta dello Stato.

In sostanza, anzichè andarsi a perdere nei sinistri labirinti di una politica politicante, fatta di infinite trattative per cambiare una virgola, molti di noi osservatori ritenevano che il governo tecnico, almeno in una prima fase, mettesse l’intero sistema della rappresentanza italiana di fronte al fatto compiuto di misure dure le quali, tuttavia, è ragionevole che ben pochi avrebbero avuto il coraggio politico di contrastare.

Tuttavia, almeno per ora, le cose non sembrano andare in tale direzione. Tant’è che, come una vera e propria cartina di tornasole, i mercati finanziari hanno di nuovo penalizzato maggiormente l’Italia nell’ambito europeo. Un segnale che dovrebbe cominciare a far comprendere che non possiamo contare solo sul pedigree del nostro premier e sul suo stile per ridare fiducia agli investitori.

Occorrono fatti, oramai le belle parole lasciano il tempo che trovano.

Claudio Romiti