Meno male che tutti lo hanno mandato a quel paese quando si è offerto di aiutare Monti
La Francia ci ha preso gusto a colonizzare l’Italia sfilandoci un’azienda dopo l’altra. Così, quando si trova in difficoltà, sia nei sondaggi sia per i miliardi di asset tossici che le sue banche hanno nei bilanci, che cosa fa Sarkozy? Una serie di cose che riguardano l’Italia, come per esempio convincere Cameron (l’Inghilterra storicamente è sempre d’accordo quando si tratta di tagliare le gambe all’Italia papista) e Obama (che ha i sondaggi in picchiata e ha bisogno di distrarre gli americani dalle sue politiche disastrose) ad attaccare la Libia, per prendersi non tanto il petrolio quanto gli appalti che in virtù di decenni di cooperazione e di lavoro diplomatico si erano guadagnati gli italiani.
È così che sono cominciati i vertici a due o a tre da cui incredibilmente viene esclusa la principale interessata, l’Italia.
Il «bunga-bunga» torna a fagiolo; la gente pensa che ci escludono a buona ragione: non vogliono avere a che fare con un Primo Ministro così ridicolizzato sulla stampa di tutto il mondo. Gli italiani continuano a votarlo? Ben gli sta. Si tengano il bunga-bunga, noi ci prendiamo il business.
È questo che consente a Sarkozy l’escalation di «schiaffi» che si susseguono, a partire dalla chiusura delle frontiere quando, risalendo l’Italia, arrivano in Francia i nuovi immigrati, conseguenza diretta proprio dell’attacco alla Libia.
I bombardamenti costringono le aziende italiane (Eni, Ansaldo, Finmeccanica…) a chiudere gli impianti. Ma quando l’assedio finisce, si palesa il rischio che i nuovi leader libici possano ripristinare (come hanno assicurato di voler fare) i rapporti economici con gli italiani. Ci possiamo immaginare quindi sia una telefonata allarmata di Sarkozy a Obama a sortire il discorso incredibile con cui il presidente americano ringrazia tutti i paesi, ma proprio tutti, all’infuori dell’Italia. È un messaggio chiaramente diretto ai libici: il vostro business lo dovete dare a chi diciamo noi, non più all’Italia, nonostante anche l’Italia abbia bombardato Gheddafi e soprattutto abbia dato le basi necessarie per gli attacchi aerei della Nato. (Subito dopo Obama farà il giro elettorale degli italo-americani dando all’Italia delle fraterne pacche sulle spalle con commenti che non incidono più sul business.) Fanno parte dell’operazione sminuire-l’Italia anche i sorrisini di derisione lanciati davanti alle telecamere verso la Merkel e l’annunciata «disponibilità» di Sarkozy a venire in Italia di persona a catechizzare i partiti. A cosa serve mostrare l’Italia impotente e sotto tutela? A tenere i titoli delle nostre aziende e delle nostre banche sotto il livello del verosimile, valere cioè meno degli immobili che possiedono. Ciò fa sì che i nostri concorrenti in Francia, Inghilterra, Usa e Germania possano continuare comprarli a prezzi di saldo. Anzi, a prezzo di bancarotta.
E arriviamo all’ultima operazione di scarica-barile sull’Italia. Le banche francesi e tedesche sono pieni di titoli tossici. Quelle italiane no. Come fare a non perdere la faccia di fronte agli investitori? È semplice. Basta che l’Autorità bancaria europea, uno dei tanti enti non-elettivi a cui dobbiamo obbedienza, istituisca una regoletta che permetta loro di sopra-valutare i titoli di Stato, (iscrivendo non il valore reale, quello che verrà rimborsato, ma il valore di mercato – creato dagli speculatori), più che compensando così il buco creato dai titoli insolvibili che hanno in pancia. Al contempo le banche italiane, anziché risultare più affidabili grazie alla prudenza dimostrata, finiranno in ginocchio perché chiamate proprio dalla Eba a ricapitalizzarsi quasi del triplo rispetto alle banche francesi concorrenti.
Ma in fondo, ammettiamolo: cosa abbiamo mai da lamentarci noi italiani? Non hanno preso un italiano, Mario Draghi, a presiedere la Bce? E non ci hanno mandato pure uno dei loro, Mario Monti, a presiedere il governo italiano? Dovremmo esserne fieri. Pensare che voleva perfino venire scendere in Italia a dircene quattro Sarkozy in persona. Cosa vogliamo di più dalla vita?