Imolaoggi – Oggi, 16 novembre 2011, possiamo leggere sulla prima pagina del Corriere un incipit di grandissimo spessore: “Mentre Mario Monti, il presidente incaricato, fa lo slalom fra partiti, corporazioni, interessi organizzati – insomma: alla ricerca di un’investitura politica, preparlamentare, dopo quella quirinalizia – una larga parte di italiani saluta l’uscita di scena di un governo eletto dal popolo come la fine della dittatura, e vede nel mite professore o, meglio, sogna, l’ “uomo della provvidenza”. In un Paese normale, sarebbe una contraddizione; da noi, la normalità è la contraddizione.”.
Secondo Ostellino, con le dimissioni del governo Berlusconi e la designazione di Monti a candidato premier, “si è scoperto il “vaso di Pandora” della nostra fragile democrazia e ne sono sortiti i demoni che il bipolarismo aveva fino all’altro ieri, se non placato, almeno tenuto a bada.”. Insomma, prosegue Ostellino, è come se fossimo tornati al 1945. Da qui l’immaturità democratica di un Paese passato, nello spazio di una notte, dal culto autoritario dell’ “uomo solo al comando” al pluralismo democratico.
Tagliando fuori le procedure istituzionali, abbiamo liquidato un governo, che aveva ottenuto l’approvazione del Parlamento sulla sua legge di stabilità, sostituendolo con l’esecutivo dei tecnocrati. Siamo passati, in sostanza, dalla tante volte evocata (quasi sempre in modo surrettizio) democrazia formale parlamentare alla democrazia materiale, messa in atto dalla scorciatoia quirinalizia. Come al solito, le scorciatoie possono essere buone o cattive: dipende da chi le sceglie. Guai a chi parla male di Garibaldi.
Sarebbe arrivato così l’interruttore della formalità democratica, una specie di “deus ex machina” per la soluzione della nostra tragedia di popolo condannato all’immaturità. È nei momenti importanti e gravi della vita di un Paese che si rivela, in maniera evidente quanto mai, la carenza culturale del suo popolo. Prosegue Ostellino:”Per sciogliere questi nodi sarebbe stata necessaria la diffusione – nelle scuole, nelle università, nel Paese – di una cultura politica democratico-liberale che definisse in modo chiaro e comprensibile il significato stesso di democrazia liberale e ne legittimasse procedure e istituzioni sotto il profilo politico.(…)
Siamo vissuti troppo a lungo nel sogno di una via di mezzo fra la democrazia liberale, come si è realizzata nella storia, e la democrazia popolare che si sarebbe dovuta concretare nelle cose, per venirne fuori. Ci siamo illusi che, se non con l’impossibile rivoluzione, con un compromesso fra le due, avremmo trovato la quadratura del cerchio. E, ora, siamo (ancora) in mezzo al guado, a oltre sessant’anni dalla sconfitta del fascismo, fra la sponda della democrazia formale, la sola praticabile, e quella della democrazia materiale, impraticabile se non negando il concetto stesso di democrazia come sovranità popolare, che la storia ha sconfitto.”.
Nel ringraziare Ostellino per la lucidità dell’analisi e l’acutezza delle conclusioni, mai banali; sento il desiderio di autodefinirmi, insieme a tutti i connazionali: siamo come degli ultra sessantenni nati, cresciuti e invecchiati col pannolone.
Guglielmo Donnini