ISLAM-S NEWSLETTER N°2 di: Valentina Colombo

Potrà sembrare strano, o addirittura assurdo, lanciare un appello a favore delle donne tunisine, cittadine di quello che fino a ieri
era il paese arabo-islamico più laico, e delle donne saudite, ovvero le principali vittime dell’interpretazione più bieca e ottusa della sharia. Eppure ha un senso. Se Tunisia e Arabia Saudita sono agli antipodi  come storia, sistema politico, risorse
economiche, ebbene sono due paesi in cui la condizione della donna è messa a repentaglio da due interpretazioni apparentemente diverse, ma sostanzialmente simili dell’islam.

La vittoria dell’estremismo islamico in Tunisia, nella fattispecie del movimento El Nahdha legato ai Fratelli musulmani mette in serio pericolo una tradizione di laicità che ha portato nel 1956 il neo insediato Habib Bourguiba a varare il Codice dello Statuto personale che ancora oggi è un unicum nel mondo islamico. Nel Codice si vietava senza mezzi termini la poligamia e si concedeva il diritto di ripudio alla donna. Nonostante il leader di El Nahdha Rached al-Ghannouchi, nei giorni successivi alla rivoluzione del gelsomino, abbia dichiarato di essere “per la democrazia, per lo statuto della donna in Tunisia che è il più moderno di tutto il mondo arabo”, che il suo “partito rappresenta un islam moderato e pacifico” vicino al al Partito della giustizia e dello sviluppo (l’Akp di Erdogan) in Turchia, resta sempre pur vero che nel Corano la donna vale la metà dell’uomo.
Quindi la vittoria dei Fratelli musulmani darà sicuramente filo da torcere all’associazionismo laico femminile tunisino che è stato il primo a lanciare un grido d’allarme al rientro di Ghannouchi. Non va neppure dimenticato che lo scorso aprile quest’ultimo e il suo movimento sono riusciti ad ottenere dal Ministero dell’interno il permesso per le donne velate di farsi
fotografare a capo coperto per la carta di identità. Lo scorso ottobre a Sousse, circa 150 chilometri a sud della capitale, si sono avute proteste dagli islamisti per il rifiuto di iscrivere una donna con il velo integrale. Ebbene, questo fa nascere in me grande preoccupazione per le donne tunisine cresciute e vissute in una tradizione laica che risale a ben prima dell’insediamento di
Bourguiba.

Dall’altra parte l’Arabia Saudita dove lo scorso 25 settembre il monarca Abd Allah ha pronunciato un discorso da molti definito
storico davanti al Majlis al-Shura, ovvero l’organismo che affianca il potere assoluto del re e che propone le leggi.

Il Custode delle due Sante moschee ha esordito fornendo le basi religiose alla propria scelta: “Una modernizzazione equilibrata nel rispetto dei nostri valori islamici è un’importante richiesta in un’epoca in cui non c’è spazio per i disertori e gli esitanti. La donna musulmana nella nostra storia islamica ha espresso opinioni e consigli corretti”. Segue la citazione di esempi di donne della storia dell’islam a partire dalla giovanissima moglie di Maometto Aisha, la Madre dei credenti, sino a Umm Salama, una vedova che si sposò con Maometto.

In un paese in cui le donne, ancora oggi, non possono fare nulla, nemmeno ottenere la carta d’identità, se non dietro consenso del proprio “guardiano”, ovvero dell’uomo di famiglia, fa per lo meno sorridere la seguente affermazione:

“Dal momento che rifiutiamo di marginalizzare le donne nella società in tutti i ruoli che rientrano nella shari’a, abbiamo deciso,
dopo aver riflettuto con i nostri rappresentanti religiosi anziani e altri… di coinvolgere le donne nel Majlis al-Shura come membri, a partire dal prossimo termine”, ha dichiarato Abdullah, che ha aggiunto: “Le donne potranno concorrere come candidati nelle elezioni municipali e avranno anche diritto al voto”.

Il discorso reale è tutt’altro che storico, perché, come titola il sito liberale Middle East Transparent, è tutto con il metodo “in
shà Allah”, “se Dio vuole”, tipico del Regno saudita. Anche dieci anni fa il re aveva detto che le donne avrebbero dovuto svolgere un ruolo centrale nell’economia saudita. Da allora ci sono stati cambiamenti, molto graduali, nel timore di ripercussioni da parte dei religiosi più radicali. E così sarà anche in questo caso. Le donne che hanno manifestato e cercato in ogni modo di andarsi a iscrivere alle liste elettorali sino alla chiusura delle liste lo scorso 27 luglio, le donne che hanno lanciato una campagna per il voto alle donne, non sono andate a votare nelle recenti elezioni municipali del 29 settembre, ma dovranno attendere il 2015. D’altronde non dimentichiamo che gli uomini in Arabia Saudita hanno votato per la prima volta del 2005.

Un fatto è certo: anche le associazioni femminili saudite non si accontenteranno di parole né di “concessioni” di diritti che
sono universalmente riconosciuti come diritti fondamentali della persona. Come ha ricordato  in un’intervista rilasciata ad al Jazeera Hatoon al-Fassi, docente di Storia delle donne all’Università King Saud di Riyadh e una delle sostenitrici più accese della causa del voto in Arabia Saudita, “le donne ora esigeranno la messa in pratica di queste promesse”, ma non solo, lotteranno con maggior accanimento al fine di vedere riconosciuti tutti i diritti che faranno di loro delle cittadine a pieno
diritto. Anche Wajeha al-Huweidar, che da anni lotta affinché le donne saudite possano guidare, ha affermato che “si tratta di una grande notizia, ma che è giunto il momento di abbattere tutte le altre barriere che non consentono alle saudite di guidare e di compiere qualsiasi azione, ovvero di vivere una vita normale, senza un guardiano”.

La pressione interna delle donne saudite dovrà comunque trovare alleati esterni, dalle ONG ai governi occidentali, dai mezzi
di comunicazione alle istituzioni internazionali. Bisognerà iniziare ad anteporre i diritti umani fondamentali all’economia, bisognerà esigere la ratifica dei trattati e delle convenzioni internazionali senza se e senza ma. Basti pensare che nel 2000 l’Arabia Saudita ha ratificato la Convenzione per l’Eliminazione della Discriminazione contro le Donne (CEDAW) delle Nazioni
Unite, con la seguente riserva “”in caso di contraddizione tra qualsiasi affermazione della Convenzione e le norme del diritto islamico, il Regno non è obbligato a osservare i termini contraddittori della Convenzione”.

La strada è comunque tutta in salita. Il 27 settembre, ovvero due giorni dopo il discorso del re,  Shaima Ghassaniya, una saudita riconosciuta colpevole di aver guidato senza il permesso del governo. è stata condannata a dieci frustate. Si è trattata della prima condanna del genere in Arabia Saudita, dove la guida non è vietata alle donne per legge, ma tramite editti religiosi. Molte donne erano state arrestate in precedenza, ma non avevano mai subìto condanne. Un’altra saudita che ha sfidato il divieto di guida, Najalaa Harriri, è stata interrogata il giorno precedente e sarà sottoposta a processo.

Il 29 settembre il re Abdallah è stato costretto  ad annullare la condanna di Shaima. “Grazie a Dio, la flagellazione di Sheima è stata annullata – ha annunciato su Twitter la principessa Amira Tawil, moglie del nipote del re e ricchissimo uomo d’affari Walid ben Talal -. Grazie al nostro amato re. Sono sicura che tutte le donne saudite saranno felici”. La principessa Amita Tawil nel 2009 aveva affermato in un intervista al giornale saudita, Al-Watan, del suo sentimento di frustrazione per non poter guidare in Arabia Saudita, affermando che era pronta a farlo non appena il governo l’autorizzasse. ” Sono pronta a guidare . Ho una patente internazionale e guido in tutti i paesi che visito” ha dichiarato, aggiungendo ” vorrei guidare nel mio paese, con mia sorella o un’amica vicino a me al posto di un autista”.