Il futuro dell’economia si decide a Bruxelles

di Claudio Romiti

Da oggi a mercoledì, salvo eventi imprevisti, a Bruxelles si deciderà molto del futuro economico e finanziario della cosiddetta eurozona.

Al centro del vertice dei Paesi aderenti alla Comunità europea c’è il nodo cruciale della ricapitalizzazione delle banche. Definizione che l’uomo della strada riesce appena a comprendere nei suoi contorni di massima, ma che in realtà potrebbe ridare al sistema finanziario europeo quella tanto auspicata stabilità messa in grande difficoltà dalla crisi dei debiti sovrani. Crisi, per la cronaca, innescata nel 2008 con il fallimento di alcune importanti banche d’affari statunitensi, a seguito dello scoppio repentino della bolla immobiliare americana, la quale portò in superficie il problema dei titoli tossici, ovvero prodotti finanziari che avevano nella “pancia” mutui e prestiti sostanzialmente inesigibili.

Ora, senza entrare in ulteriori dettagli, questa sorta di deflagrazione finanziaria a catena ha creato enormi difficoltà alla tenuta dell’euro, mettendo in seria evidenza il vero nervo scoperto dei Paesi, tra cui l’Italia, affetti da tre gravi problemi: eccessivo indebitamento, alta spesa pubblica e bassa crescita.

In altri termini, la crisi ha drammaticamente evidenziato con il segno rosso le nazioni europee che, sotto l’ombrello dell’euro, hanno continuato a vivere sopra le loro possibilità, spendendo ben oltre ciò che effettivamente producevano. Da qui la necessità, proprio per salvare la moneta unica dal rischio default degli Stati esposti, di sostenere sia il loro debito – con prestiti diretti ed acquisti di titoli pubblici da parte della Banca centrale europea – e sia la liquidità della banche, messa in seria difficoltà dalla diffusione di un meccanismo di sfiducia che ha provocato un vero e proprio corto circuito nel sistema -in pratica le stesse banche hanno smesso di prestarsi soldi se non a tassi molto elevati-.

Da tutto ciò la necessità di ridare fiato al sistema iniettando forti dosi di moneta, correndo il rischio di generare in prospettiva una iperinflazione dagli effetti catastrofici. Per questo motivo la stessa Bce, quando cominciò ad acquistare i nostri titoli di Stato, scrisse quella tanto contestata lettera, nella quale consigliava di adottare tutta una serie di misure proprio finalizzate a scongiurare il citato pericolo inflattivo.

Ciò, ed il caso della Grecia è emblematico, dovrebbe portare i Paesi più esposti ad adottare misure reali per consentire all’economia di riassorbire attraverso l’abbattimento della spesa pubblica e il rilancio della crescita proprio gli effetti dei salvataggi finanziari messi in campo dalla Comunità europea.

In conclusione, per evitare di finire come l’Argentina, si chiede alle cicale del Vecchio Continente di diventare formiche, trasformando la nefasta propensione a distribuire ricchezza finanziaria in reale spinta produttiva, di beni e di servizi. Questa rappresenta l’unica strada per evitare i rischi di un fallimento ancora dietro l’angolo.

Claudio Romiti