di Claudio Romiti
Sarà un caso, ma da quando le grancasse mediatiche più vicine alla sinistra si occupano con una certa ossessione del fenomeno “indignados” i sondaggi elettorali danno il Pd in calo, a tutto vantaggio delle forze più radicali della sua area politica, vendoliani e grillini in testa.
Ed a questo battage propagandistico non poteva certamente sottrarsi Gad Lerner col suo molto orientato “L’Infedele”. In particolare, nel corso dell’ultima puntata il noto conduttore ha dato molto spazio e risalto a questa sorta di magmatico movimento mondiale in cui vengono condensate tutte le più sballate idee estremistiche di un collettivismo bocciato dalla drammatica esperienza storica.
Rinverdendo in forma subdola il vecchio internazionalismo comunista, anche Lerner e la maggior parte dei suoi compiacenti ospiti hanno cercato di dimostrare che, soprattutto grazie allo strumento comunicativo del web, esiste una sorta di filo diretto che unisce le proteste sociali, dominate dalla presenza giovanile, di questi ultimi tempi.
Dal Maghreb all’Egitto, dalla Siria alla Spagna, dagli Stati Uniti all’Italia la cosiddetta gente si mobiliterebbe scendendo in piazza sulla base di alcuni elementi unificanti: libertà, democrazia, diritti e giustizia sociale, ovvero una piattaforma programmatica molto simile a quella che nonno Lenin presentò, con le “Tesi di Aprile” al partito bolscevico nella prospettiva della “rivoluzione d’ottobre”.
Ora, al di là di qualunque azzardata comparazione storica, ritengo comunque importante sottolineare un elemento che caratterizza tutte queste forme di indignate proteste il quale, pur contrastando con i principi più elementari delle più avanzate democrazie occidentali dell’Occidente, non viene sostanzialmente quasi mai posto in evidenza.
Potremmo definirlo come una sorta di totalitarismo della maggioranza o presunta tale. In sintesi, nella testa di tutti quei facinorosi che vorrebbero, attraverso le loro okkupazioni di piazze, atenei e luoghi simbolo della finanza, inaugurare il regno della solidarietà e della giustizia sociale vi è l’idea secondo la quale all’azione politica della maggioranza non dovrebbe essere posto alcun limite.
Ciò sul presupposto, tutto da dimostrare, che la stessa maggioranza, in quanto tale, è sempre depositaria del bene comune. E dunque, nel caso essa dovesse deliberare per “assurdo” la confisca dei patrimoni privati e la statalizzazione dei mezzi di produzione, nessuno potrebbe obiettare alcunchè, dato che tutto questo sarebbe realizzato perseguendo il citato bene comune.
Ovviamente a questa forma di assolutismo, per così dire, democratico si contrappone la più genuina concezione liberale, peraltro già ampiamente messa a dura prova dallo statalismo dominante degli ultimi decenni, secondo cui occorrerebbe istituire rigidi paletti costituzionali a tutela delle più importanti libertà individuali, segnatamente alla persona, al patrimonio ed all’iniziativa economica.
Paletti invalicabili all’azione di una politica che, altresì, dovrebbe limitare la propria azione a pochi ma essenziali compiti, lasciando alla società spontanea il compito di organizzarsi come meglio crede laddove, al posto di uno Stato invasivo e regolatore, prevalga il senso della responsabilità individuale.
Sotto questo profilo, è ampiamente dimostrato che le tanto sbandierate disuguaglianze risultano molto meno evidenti nei sistemi in cui è più marcata l’azione del libero mercato e della concorrenza, piuttosto che laddove prevalga la pretesa pubblica di redistribuire i redditi attraverso la nota e triste via burocratica.
In conclusione, appare da rigettare in toto, assieme ai tanti sinistri aruspici delle nostre tv, l’indignazione democratica di chi pretenderebbe di espropriare il prossimo in nome di un vago obiettivo di equa e solidale giustizia sociale, sulla base di modello politico di riferimento odiosamente illiberale e totalitario.
Da questo punto di vista l’umanità ha già dato.
Claudio Romiti