Il cardinal Bagnasco può criticare, ma a sua volta può essere criticato

di Claudio Romiti

Cardinal Bagnasco

Era inevitabile che l’ennesima incursione nella politica del cardinal Bagnasco suscitasse il solito vespaio di polemiche, distinguo e strumentalizzazioni. D’altro canto non è da oggi che i più alti esponenti della Chiesa cattolica si occupano di questioni che ben poco hanno a che vedere con la cura delle anime. Soprattutto in questa delicata congiuntura economica e finanziaria, si ha spesso l’impressione che alcuni autorevoli prelati vogliano far concorrenza ai partiti più statalisti dell’opposizione, auspicando che la politica si occupi di fare in terra la felicità degli uomini, mentro loro si occupano di garantire quella nell’aldilà.

Resta comunque il fatto innegabile che anche i preti vivono in mezzo agli uomini, sono portatori d’interessi legittimi, votano e danno consigli di voto come qualunque altro comune mortale. Quindi, sotto questo profilo, personalmente non ho mai pensato di unirmi al coro di coloro i quali si indignano per una presunta invasione di campo dei rappresentanti più autorevoli del clero cattolico.

Siamo in una democrazia e ritengo che chiunque abbia il diritto di esprimere tutte le idee che vuole con qualunque mezzo lecito. Tuttavia, e questo deve essere altrettanto chiaro, nello stesso tempo ogni cittadino ha a sua volta la facoltà di criticare nel merito e senza sconti qualunque presa di posizione politica espressa sotto l’etichetta del Padreterno. Altrimenti, se così non fosse, si metterebbe la Chiesa su un piano di superiorità assoluta che molti cittadini, cattolici e non, sono disposti eventualmente ad ammettere solo sul piano della cura delle anime.

Tra l’altro, proprio da un punto di vista democratico, personalmente faccio fatica a digerire le prediche di chi, sempre con tutto il rispetto, da millenni seleziona la propria struttura gerarchica sulla base della più rigida cooptazione.  Ma a parte questa ultima notazione, è indubbio che tutti i partiti sembrano  prestare sempre molta attenzione ai richiami del presidente della Cei, piuttosto che a quello di tanti altri suoi colleghi.

Il motivo è  di una semplicità elementare, e non ha molto a che spartire con il senso religioso di chi fa politica, almeno nella gran parte dei casi. Il problema è, in realtà, lo stesso che impedisce al sistema democratico nel suo complesso di toccare alcuni settori troppo protetti della società; ovvero la paura di ogni forza politica o coalizione di prendersi il marchio di impopolarità presso questa o quella categoria di cittadini.

Ebbene, dato che sul piano delle varie organizzazioni più vicine al clero anche i cattolici rappresentano una significatica minoranza, portatrice di valori e di interessi più o meno spirituali, è ovvio che in un sistema orientato al bipolarismo, nel quale un piccolo spostamento di consensi può determinare l’esito di una elezione, ognuno cerca di mantenere dei buoni rapporti con i vertici della Chiesa, onde evitare sgradevoli scomuniche pre-elettorali. Cosa che i navigati prelati comprendono molto bene e, per questo, fanno valere quando possono il peso di questa loro innegabile influenza politica.

Noi liberali non ci scandalizziamo di ciò, chiediamo solo di poterlo rilevare senza beccarci anatemi o accuse di eresia. Soprattutto se provenienti da una sinistra che, quando serve ad affossare l’eterno nemico Berlusconi, spesso si scopre più papista del Papa.