di Claudio Romiti
In merito alla situazione politica generale, mi sembra che sotto il sole vi sia molta incertezza. Incertezza nel centro destra, in cui la permanenza o meno di un Berlusconi leader condizionerà inevitabilmente il riassetto strategico della coalizione e le sue alleanze, ma incertezza soprattutto nell’eterogea area dell’opposizione, anch’essa dominata da molti “se” e molti “ma”.
Il Terzo Polo, caratterizzato dalla crescente egemonia di Casini a danno della sempre più evanescente presenza di Fini e del suo Fli, si è messo in una evidente posizione attendista, pronto a legarsi all’occorrenza, come un radicale libero, con la “molecola” politica che al momento opportuno possa garantire ad esso il maggior risultato col minimo del consenso ottenuto: la classica tecnica dei due forni particolarmente adatta nell’ambito di un sistema elettorale che non garantisce alcuna maggioranza certa al Senato.
Ma la confusione più grande, nonostante le altisonanti dichiarazioni dei suoi principali esponenti, alberga dalle parti del centro sinistra. In particolare, nel Pd la lotta tra chi vorrebbe, come il segretario Bersani, mettere in campo una riedizione dell’Ulivo di prodiana memoria e chi auspicherebbe, invece, di allearsi con il terzo polo, gettando a mare le estreme, è lungi dall’essersi esaurita.
Tuttavia, allo stato attuale, l’opzione “nuovo Ulivo” sembra la più probabile nel medio orizzonte degli eredi del vecchio Pci. In sostanza, lo continua a sostenere da molto tempo lo stesso Bersani, la nuova sinistra santa alleanza avrà caratteristiche politico-programmatiche del tutto diverse rispetto a quel fritto misto di partiti e correnti che, sotto la guida del professor Prodi, andò incontro alla più grave catastrofe politica della cosiddetta seconda Repubblica.
A parere del capo dei democratici, infatti, un bell’accordo scritto e controfirmato nero su bianco rappresenterebbe un formidabile antidoto per evitare defezioni e tradimenti di governo, nel caso il “nuovo Ulivo” dovesse vincere le prossime elezioni parlamentari. Ma qui casca l’asino. L’idea che alle forze politiche radicali, in particolare il partito di Vendola dato in forte crescita, basti un accordo preliminare scritto per tacitarne le spinte centrifughe mi sembra a dir poco risibile.
Un partito, soprattutto nell’ambito di una coalizione, non può rinunciare completamente alla propria identità e cercherà sempre, onde evitare di appiattirsi sulle posizioni della compagine dominante, di differenziarsi il più possibile. Ciò, dal punto di vista di chi rappresenta la cultura statalista alla massima potenza, significa che una volta entrati nella stanza dei bottoni Vendola & company faranno fuoco e fiamme per boicottare l’unica strada percorribile per evitare la bancarotta del sistema pubblico e far riprendere al sistema economico la strada della crescita: il taglio sostanziale della spesa pubblica, ovvero il principale fardello che impedisce ogni speranza di sviluppo nel futuro.
Un taglio a due cifre, occorre avere l’onestà intellettuale di ammetterlo, che l’attuale governo non è riuscito neppure a teorizzare, bloccato da una serie di veti incrociati che lo hanno condotto verso una serie di manovre, basate essenzialmente su nuove entrate, che rischiano di ottenere controproducenti effetti recessivi.
Ora, figuriamoci come potrebbe fare diversamente un “nuovo Ulivo” costretto, per vincere, ad imbarcare il solito radicalismo di sinistra che propone in ogni tempo ed in ogni luogo sempre la stessa ricetta: più Stato, più spesa e più tasse.
Caro Bersani, anche se i fieri epigoni del comunismo che fu decidessero di firmare un patto in cui promettono di tagliarsi i coglioni, l’esperienza ci insegna che alla fine dei giochi questo dispetto alla moglie lo farebbero solo per riportarci precipitosamente alle urne.
L’idea di un accordo di salvezza nazionale con chi ha sempre contribuito ideologicamente a mandare in tilt i conti pubblici proprio non mi convince.
Claudio Romiti