Il faccendiere Tarantini, stando alle cronache, appare più il genio del “ciapa no” che la piovra capace di estendere comunque e dovunque i suoi tentacoli. Con tutte le relazioni da lui tenute o millantate, avrebbe dovuto accumulare l’oro di Creso anziché le classiche toppe al sedere. Per la legge di Dio, dovrebbe essere, in ogni caso, condannato all’Inferno; il cui biglietto, di sola andata, si stacca anche per effetto delle intenzioni. Per il momento, Buttiglione permettendo, non viviamo in uno Stato teocratico. Guardiamo al caso Tarantini alla luce dello Stato di diritto. Forse riusciremo a vedere quanta parte occuperà il millantato fumo rispetto all’arrosto carico di parassiti. L’unico aspetto ridicolo della vicenda è il fatto che Berlusconi si sia lasciato avvicinare da certi personaggi. Il tycoon di fama mondiale sarebbe rimasto al palo di una piccola emittente Tv se avesse dovuto confidare in quel certo tipo di relazioni “tarantiniane”. Qui riposa il mistero di tutto l’affaire. Eppure ci troviamo a fare i conti come quel confessore contabile che chiedava al confessando:”Quante volte da solo? Quante volte in compagnia? Quante volte hai goduto senza provare rimorso? Quante volte con nubili? Quante volte con maritate?”. Io, peccatore impenitente, non incontrerò i “confessori contabili”: li lascerò tutti a disposizione di Buttiglione.
guglielmo donnini