Da un’analisi di G Friedman per Strategic Forecast, 8 agosto 2011
Economisti come Adam Smith o David Ricardo non hanno mai utilizzato il termine ‘economia’ da solo, preferendo il termine ‘economia politica’. Per gli economisti classici era impossibile capire l’economia senza capire la politica e viceversa. Chiaramente i due ambiti sono diversi, ma inesorabilmente interconnessi.
Smith aveva capito che un mercato efficiente è il frutto di libere scelte degli individui, ma queste scelte sono influenzate dall’ambito politico in cui si effettuano. A sua volta il sistema politico è influenzato dalla realtà economica.
In questa chiave risulta molto più semplice comprendere l’attuale crisi economica.
L’origine della crisi
L’attuale crisi finanziaria ha avuto origine dal collasso del valore dei titoli di credito legati al prezzo degli immobili negli Stati Uniti. Si pensava che i prezzi delle case avrebbero continuato a salire di una percentuale più o meno uniforme. Ma non è stato così: il prezzo delle case è crollato, e non è più stato possibile stabilire il prezzo reale dei corrispettivi documenti cartacei. La crisi così originata ha messo in ginocchio gli USA e ha contagiato anche l’Europa, perché molte istituzioni finanziarie avevano acquistato questi titoli.
Sul piano economico si è trattato di una crisi finanziaria; ma dal punto di vista politico la crisi pone il problema della legittimità dell’attuale elite finanziaria. Il sistema finanziario ha fallito creando un problema politico che riguarda non la fiducia nel sistema di mercato, ma l’onestà e la competenza dei vertici finanziari, considerati dai più incompetenti e disonesti. I vertici finanziari sono venuti meno alla loro responsabilità sociale e morale pur di guadagnare alle spalle di tutta la società, pensa l’opinione pubblica.
Giusta o sbagliata che sia, questa opinione ha creato una crisi politica molto più grave della stessa crisi finanziaria. Il sistema politico non è stato in grado di risolvere la crisi e nemmeno di perseguire i responsabili. Quindi l’opinione pubblica si chiede: perché la politica non ha creato leggi per rendere le azioni dei vertici finanziari punibili per legge? Forse perché era apertamente collusa con il mondo finanziario?
Nel 2008 il governo statunitense ha iniettato miliardi di dollari per salvare il sistema finanziario dal fallimento, ma non ha mosso un dito per colpire i vertici finanziari responsabili della crisi. Così è scoppiata la crisi politica: il movimento dei Tea Party ad esempio ha assunto una posizione radicale accusando il governo americano di aver usato la crisi economica per attuare la riforma della sanità e per indebitare lo stato oltre ogni ragionevole limite.
La crisi in Europa
Anche la crisi dei debiti sovrani in Europa è di carattere sia finanziario sia politico. In Europa esisteva già l’idea che l’UE fosse stata creata in modo da agevolare i vertici finanziari alle spalle della popolazione, e per rafforzare il Nord Europa – in particolare Francia e Germania – a scapito dei paesi periferici. La crisi ha rafforzato questa visione.
L’Europa ha iniettato liquidità nel sistema finanziario per evitare il tracollo, ma non in maniera unitaria: ogni singola nazione si è concentrata sul proprio sistema bancario, mentre la Banca Centrale Europea ha dato l’impressione di essere più vicina agli interessi dei paesi del Nord.
In Europa circolano due versioni dei fatti:
1) per i Tedeschi la Grecia è precipitata nel caos per l’irresponsabilità dei governi che hanno sostenuto programmi sociali che non potevano permettersi, e ora si aspetta di essere salvata dalla Germania;
2) i Greci invece credono che altri in Europa – in primis la Germania – abbia modellato l’UE a proprio vantaggio. La Germania è il terzo maggior esportatore del mondo dopo Cina e Usa, e grazie alla creazione dell’eurozona è riuscita a trovare nuovi mercati per le proprie merci. Nei primi 20 anni di crescita questi aspetti non si percepivano, ma quando è arrivata la crisi la Grecia non ha potuto svalutare – dato che il controllo della moneta è nelle mani della BCE – mentre la Germania ha continuato ad aver il diritto di esportare liberamente anche in Grecia, mettendo Atene con le spalle al muro. Le regole di Bruxelles, volute dai Tedeschi, hanno reso la Grecia impotente.
Quindi al di là della sfiducia nei vertici dell’UE, visti come ‘agenti’ (se non ‘sicari’, come affermano molti in Grecia N.d.T) dei vertici finanziari, si aggiunge una crisi regionale che potrebbe creare fratture all’interno dell’Unione.
La crisi in Cina
La crisi economica ha avuto un notevole impatto sulla Cina, la cui economia è basata sulle esportazioni. Con il calo dei consumi e delle importazioni in Europa e USA, il governo cinese ha dovuto affrontare l’aumento della disoccupazione e il rischio di instabilità sociale.
Il governo cinese ha attuato una duplice politica:
1) ha spinto le industrie a mantenere alta la produzione e tenere bassi i prezzi in modo artificiale – e i profitti delle industrie si sono azzerati;
2) ha continuato a erogare prestiti alle aziende per evitarne il fallimento.
Questa strategia ha funzionato, ma l’inflazione che ne è scaturita ha eroso il già scarso potere d’acquisto dei lavoratori. Allora il governo ha aumentato il salario minimo, il che ha nuovamente fatto aumentare il costo delle merci rendendo la Cina meno competitiva rispetto ad altri produttori per l’esportazione, ad esempiorispetto al Messico. Gli imprenditori esteri hanno incominciato a chiudere gli stabilimenti cinesi e si sono trasferiti altrove, licenziando migliaia di lavoratori cinesi.
Seppur in modo diverso, in tutti e tre i casi – USA, Europa e Cina – la reazione alla crisi ha portato a un maggiore controllo statale sull’economia, e in tutti e tre i casi c’è stata un’ondata di rigetto politico.
Negli USA si è sviluppato il movimento del Tea Party, in Europa si rafforzano gruppi anti-europeisti e anti-immigrazione che accusano l’UE di aver aperto le frontiere senza curarsi degli effetti, e persino i vertici di alcuni paesi – ad es. l’Irlanda – si sono schierati contro Bruxelles. In Cina i principali oppositori sono i lavoratori/consumatori adirati perché colpiti dall’inflazione e le aziende che hanno perso competitività.
Non tutte le economie sono in crisi: la Russia ha passato una grave crisi anni fa ed è tornata al controllo statale dell’economia. Brasile e India non sono ancora nella situazione della Cina.
Quando USA, Europa e Cina vanno in crisi, si può tranquillamente dire che è in crisi il l’economia mondiale; si tratta quindi di un momento di estrema difficoltà.
Crisi non è sinonimo di crollo. Ce la possiamo fare, se si salva la politica. Oggi il problema non sono – per ora – grandi rivalità ideologiche come negli anni fra le due guerre mondiali. La sinistra radicale che si oppone alla globalizzazione e la destra estremista contraria all’immigrazione mettono entrambe in dubbio la legittimità della classe dirigente, ma per ora non costituiscono la maggioranza, anche se continuano a fare proseliti. Se diventassero maggioranza sorgerebbe il vero problema: le divergenze ideologiche interne impedirebbero loro di esprimere una qualunque alternativa all’attuale classe dirigente.
La crisi di legittimità è la più pericolosa
Se la classe dirigente sarà del tutto delegittimata, dovrà lasciare spazio a una nuova classe dirigente ostile a quella attuale, ma priva di un’ideologia coerente e unitaria. Negli Stati Uniti questo porterebbe alla paralisi, in Europa al ritorno allo stato-nazione e in Cina alla frammentazione regionale e a maggiore instabilità.
Ovviamente si tratta di un esito tutt’altro che certo, e non siamo ancora arrivati a questo punto. Ma non c’è tempo da perdere.