Ci sono momenti nella vita democratica di un Paese ove l’arte della mediazione ad ogni costo dovrebbe lasciare il campo a decisioni rapide e incisive. Nello stato di guerra dovrebbe accadere sempre, almeno per tentare di non perderla. Le nazioni del terzo millennio si trovano spesso ad affrontare emergenze belliche, catastrofi naturali, terremoti finanziari.
A proposito di questi ultimi, ci si domanda come difendersi dalla speculazione finanziaria che falcidia il risparmio di milioni di cittadini a vantaggio delle enormi ricchezze di chi ha i mezzi per distruggere le ormai scarse capacità di reazione dei mercati stessi. Non diciamo che la partita sia truccata a danno della sovranità finanziaria di certi Paesi un tempo considerati (in primis l’America) la guida finanziaria del mondo. La realtà sta nel fatto che è cambiato il mondo. Se tutti i Paesi non decideranno di riscrivere le regole della finanza mondiale, avremo il “turmoil” permanente dei mercati.
Tra la situazione di oggi e l’eventuale nuova Bretton Woods (1944 = nasce il Fondo monetario internazionale insieme alle regole monetarie e finanziarie) rimarrebbe un campo apertissimo alle scorrerie di chi muove enormi capitali nel giro di nanosecondi, mentre qualcuno vorrebbe usare ancora i piccioni viaggiatori che un tempo fecero la fortuna di certi operatori finanziari, informati così di notizie sconosciute ai concorrenti (ad es. la sconfitta di Napoleone a Waterloo).
Ammesso e non scontato che si arrivi alla nuova Bretton Woods, qualora singoli Paesi, ritenendosi più forti, pensassero solo alla loro salvezza, il disastro sarebbe globale. Nell’Ue è bastata la piccolissima Grecia per terremotare il mercato, grazie alle colpevoli esitazioni della Merkel, tuttora illusa di preservare intatto rigoglioso orto di casa sua.
Guglielmo Donnini