Manovra finanziaria, tra luci ed ombre

di Claudio Romiti

Data la delicatezza del momento per l’intero Paese, ho pensato di dedicare il mio approfondimento domenicale alla Manovra correttiva messa rapidamente in campo dal governo sulla spinta della grave contingenza finanziaria internazionale.

Molto in sintesi, occorreva dare tempestivamente  un segnale molto chiaro ai mercati, onde evitare che l’incertezza politica sul da farsi potesse far aumentare la sfiducia sulla nostra stabilità finanziaria, facendo lievitare oltre il lecito il cosiddetto spread sui titoli di Stato, ovvero il differenziale dei nostri saggi d’interesse con quello dei bund tedeschi.

Attualmente, grazie anche all’azione quasi contemporanea della Banca centrale europea che ha cominciato ad acquistare parte del nostro debito sovrano, tale differenziale è sceso ben al di sotto della rassicurante soglia dei 300 punti. Ma dato che la situazione globale sembra piuttosto fluida ed in continuo divenire, soprattutto dalle parti dell’esecutivo, si spera che con quest’ultima infornata di sacrifici  ci si possa sentire relativamente al sicuro e per un tempo ragionevole rispetto ai violenti attacchi della speculazione internazionale. Personalmente vorrei condividere il medesimo auspicio, tuttavia alcuni elementi della manovra, a mio avviso piuttosto critici, mi lasciano più di un dubbio.

Intanto sul fronte dei tagli, sempre bene accetti in un Paese drogato ed appesantito da uno storico eccesso di spesa pubblica, il capitolo riguardante gli enti locali -tra i 9 e i 9,5 miliardi di euro- c’è il fondato rischio di una mera traslazione d’imposte. Cioè un  aumento del prelievo locale, sotto magari anche forme occulte, finalizzato a compensare i minori trasferimenti. Per l’altra grande voce nei risparmi, quella che riguarda i ministeri, ancora non è chiara la filosofia con la quale essa verrà messa in atto.

Ma il dato che più si presta ad una attenta riflessione è legato al capitolo dolente delle nuove entrate; con una serie di inasprimenti di prelievi che, come ha dolorosamente sottolineato il premier Berlusconi, si sono resi necessari dal difficile momento.

Ora, la questione si può sintetizzare con un semplice ragionemento: se questo imprevisto innalzamento delle tasse, in una certa parte dal carattere temporaneo, dovesse però provocare nel medio periodo tutta un serie di effetti recessivi, combinato con una spesa pubblica -vedi spinoso tema della riforma previdenziale- che non si è pienamente riusciti a ridurre in modo strutturale, il rischio è che ci possa trovare tra qualche tempo nella situazione di partenza.

In pratica, la conseguente perdita di gettito e la mancata blindatura delle spesa potrebbero rimangiarsi gli effetti della citata Manovra di aggiustamento.
Per questo motivo sarebbe stato preferibile un maggior intervento sul fronte strategico della spesa corrente. Tuttavia, su questo piano ha giocato un fattore determinante per le forze di governo: il timore di prendersi la titolarità di misure necessarie ma impopolari che, a meno di due anni dalla scadenza elettorale, avrebbero rischiato di far precipitare il relativo consenso. D’altro canto, scelte strutturali sulla spesa occorreva adottarla da molto tempo, assai prima della devastante crisi in atto. Oramai non ci resta che aspettare e pregare!

Claudio Romiti