Un diplomatico statunitense alle Nazioni Unite ha definito ieri “grottesca” la posizione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sulla Siria. Non si è riusciti a ottenere dal Consiglio di Sicurezza neppure una risoluzione di condanna del regime, ma ci si è dovuti accontentare di una semplice “dichiarazione”, l’equivalente diplomatico di un buffetto sulla guancia. Nel frattempo, le vittime della repressione del regime secondo gli Stati Uniti hanno superato il numero di duemila.
La ragione fornita dagli oppositori di misure militari e anche di sanzioni reali ed efficaci contro la Siria – guidati da Russia e Cina – è effettivamente “grottesca”: si dice che si sa troppo poco degli oppositori del regime di Assad e della loro affidabilità. Ma certamente si sapeva meno ancora degli oppositori libici, che infatti in questo momento si stanno allegramente sparando tra loro, e pochissimo di quelli tunisini. Dell’Egitto di Mubarak – contro cui si schierò il mondo intero – si sapeva esattamente quello che si sa della Siria: che l’opposizione consiste di uomini d’affari, una parte dell’esercito e dei Fratelli Musulmani, il partito più forte e organizzato in caso di elezioni. In questo senso la situazione siriana è una fotocopia di quella egiziana, con il vantaggio che la Turchia – Paese ex amico di Assad che ora lo ha abbandonato – nel mese di luglio ha riunito una conferenza di oppositori, permettendo almeno di capire un po’ meglio chi sono.
Allora, perché non s’interviene contro la Siria? La diplomazia qualche volta è l’arte di non dire la verità, ma proviamo a decifrare il suo felpato linguaggio e a capire quello che sta succedendo.
Primo: a differenza della Libia di Gheddafi – che poteva contare solo sull’Italia, un Paese non in grado oggi di resistere alle pressioni congiunte di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti – la Siria di Assad ha un alleato strategico che la difenderà fino all’ultimo: la Russia. Per attaccare il potere della famiglia Assad, che conta sulla marina molto più che sulla debolissima aviazione, occorrerebbe colpire le navi e i porti. Ma nel porto siriano di Tartous staziona una parte della flotta sovietica del Mar Nero e ci sono marinai russi, e la Russia sta riorganizzando anche un secondo porto, quello di Latakia. Dunque non solo le Nazioni Unite si troveranno sempre di fronte al veto russo, ma un’azione di “volonterosi” indipendente dall’ONU andrebbe a colpire navi e personale russo, scatenando una crisi mondiale di proporzioni inimmaginabili. La Russia, del resto, punta sulla Siria per riconquistare una posizione significativa in Medio Oriente e contrastare le ambizioni regionali della Turchia. Ha fornito ad Assad i carri armati usati nella repressione, continua ad armarlo e non crede che la rivolta possa vincere.
Secondo: la Siria, più ancora che alla Russia, è legata a filo triplo all’Iran. Quest’ultimo probabilmente non interverrebbe direttamente a sostegno del regime di Assad in caso di azione militare ma farebbe agitare i propri seguaci in Iraq e soprattutto scatenerebbe gli Hezbollah libanesi e i loro missili contro Israele. Per questo, oltre che perché non sono entusiasti di libere elezioni in Siria che potrebbero portare al potere i Fratelli Musulmani, anche gli israeliani vedono con molto scetticismo un intervento occidentale contro Assad.
Terzo: mentre Israele ha dimostrato diverse volte che neutralizzare l’aviazione siriana è relativamente facile, l’esercito di Assad vale dieci volte quello di Gheddafi e toglierlo di mezzo senza inviare truppe di terra in Siria – qualche cosa che nell’attuale situazione di crisi economica internazionale nessun Paese occidentale vuole – è pressoché impossibile.
Quarto: Fratelli Musulmani o no, l’opposizione siriana è tutta legata alla Turchia, e non è solo la Russia a essere infastidita dall’emergere della Turchia di Erdogan come potenza egemone in una vasta area che va dal Medio Oriente alle regioni linguisticamente affini dell’Asia Centrale.
Per queste quattro ragioni è del tutto inverosimile un intervento militare in Siria, che pure dal punto di vista “umanitario” o presunto tale – a ulteriore prova delle ipocrisie occidentali – sarebbe ben più giustificato di quello in Libia.
Ma questo significa che non si può e non si deve fare nulla e che si deve lasciare che Assad continui impunemente la sua macelleria? No, naturalmente. Senza arrivare all’azione militare sono possibili sanzioni serie ed efficaci, il congelamento dei conti esteri dei principali esponenti del regime, l’embargo sulle esportazioni e sulle importazioni siriane. Lo scopo dovrebbe essere quello di una implosione del regime, che potrebbe avvenire quando gli alleati sunniti (e cristiani) nell’esercito e nel mondo degli affari della minoranza alawita che governa il Paese – una “setta” esoterica a lungo considerata non islamica, che con il quindici per cento della popolazione detiene la grande maggioranza delle cariche pubbliche – si convinceranno che quello di Assad è un governo impresentabile su scala internazionale e cercheranno soluzioni diverse. Occorre ricordare che gli alawiti da soli non possono controllare il Paese e che la maggioranza dei quadri dell’esercito è sunnita.
Niente guerra, dunque, possibilmente spiegando alle opinioni pubbliche occidentali perché: di bugie ne sono già state raccontate abbastanza a proposito della Libia. Ma sanzioni immediate, con o senza l’avallo delle Nazioni Unite. Forse duemila morti non sono abbastanza?