di Claudio Romiti
Nonostante l’accordo raggiunto tra repubblicani e democratici per evitare il default statunitense, le borse europee sembrano attraversare un momento drammatico. Soprattutto Piazza Affari è tra quelle più penalizzate dall’andamento negativo dei mercati finanziari. Mentre lo spread dei nostri titoli di Stato, ovvero la differenza di rendimento dei Btp decennali con gli equivalenti Bond tedeschi, ha raggiunto il massimo da quando l’Italia fa parte stabilmente della zona euro.
Ora, è evidente che il Paese sta entrando in una pericolosissima spirale che rischia di portare rapidamente al collasso il nostro sistema economico-finanziario. Infatti, se il giudizio di affidabilità dato dai mercati su di noi scende, di conseguenza aumenta il tasso che il governo è costretto a sopportare sul nostro colossale debito, costringendo lo stesso governo a raschiare il fondo del barile per affrontare questa imprevista, maggiore spesa.
Tuttavia se si pensa di contrastare l’emergenza tassi con una ulteriore stretta fiscale, per lo più nell’ambito di una economia stagnante, ci si avvita ancor più in una situazione senza uscita, poiché si deprime ulteriormente la nostra capacità di affrontare la situazione attraverso la strada maestra di un sostanziale aumento della ricchezza.
In pratica, per esemplificare meglio il concetto, i mercati ci penalizzano ulteriormente se pensiamo di risolvere la difficile congiuntura finanziaria agendo esclusivamente dal lato delle entrate fiscali, dato che questo provocherebbe in prospettiva negativi contraccolpi sul piano economico e, conseguentemente, su quello del gettito.
Ma in realtà la via per tentare di rimediare ad un così problematica condizione vi sarebbe. Essa, come hanno correttamente fatto presente alcuni economisti di area liberale, è stata indicata dagli stessi mercati nel corso dell’ultimo lunedì nero. Difatti, in una Europa funestata dai crolli dei titoli bancari, solo in un caso tali quotazioni sono salite.
Si tratta della più grande banca europea, la britannica Hsbc Holdings Plc, la quale ha chiuso la giornata in attivo dopo aver annunciato il licenziamento di ben 30.000 dipendenti. Una scelta amara ma che, evidentemente, ha offerto maggiori garanzie di solidità ai mercati finanziari.
Ebbene, mi sembra evidente che se l’Italia annunciasse una serie di misure volte a ridurre la nostra altissima spesa pubblica – attualmente intorno al 54% del Pil, ma suscettibile di esplodere proprio in forza di un aumento spropositato del citato spread sui tassi d’interesse – gli stessi mercati non potrebbero che apprezzare una tale politica di risparmi, bloccando proprio quella spirale che rischia di soffocarci in breve tempo.
D’altro canto, è fuori discussione che un Paese come il nostro possa riprendere la strada della crescita con la prospettiva, se si continua ad agire sulla leva delle entrate, di aumentare ancora la quantità di spesa pubblica. E se non si cresce non si offrono quelle necessarie garanzie di solvibilità che le agenzie di rating si aspettano per non abbassare ulteriormente il loro giudizio.
Ma la questione è, tanto per cambiare, prettamente politica: i tagli sono sempre impopolari e a nessuno piace prendersi la responsabilità di effettuarli. Il problema però è che giunti a questo punto, alle soglie di un catastrofico downgrade, francamente non si vedono altre strade, fuorchè quella dei tagli alla spesa, per aggiustare la nostra traballante baracca.
E, per concludere, non è nemmeno da prendere in considerazione la via d’uscita proposta dalle opposizioni di mettere nuove tasse, come quelle sul capital gain, ed utilizzare altra spesa pubblica per incentivare lo sviluppo. In questo frangente continuare a perseguire politiche keynesiane sarebbe assolutamente catastrofico.
Claudio Romiti