Se la politica è per definizione “scienza e arte di governare lo Stato”, e l’antipolitica è l’esatto contrario; cosa potrebbe fare la politica per fronteggiare la marea montante dell’antipolitica?
La risposta è semplice:tornare ai fondamentali della politica e alla più trasparente separazione tra i poteri che ne costituiscono l’essenza. Uno Stato funziona quando non ci sono invasioni di campo tra i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. L’antipolitica è la “soluzione” che non risolve, ma ancor più rende difficile il funzionamento dello Stato.
C’è chi auspica il governo dei giudici. Come se i magistrati venissero da un’altra costellazione e non fossero anch’essi il prodotto della società in cui viviamo. Neanche i politici vengono da Marte e sono anch’essi parte della società.
Quando lo Stato non funziona, il metodo democratico ha le sue regole d’intervento. In una repubblica parlamentare il governo riceve la fiducia dal parlamento fino quando è ritenuto meritevole di continuare a riceverla. In caso contrario, la fiducia viene ritirata e, nelle situazioni previste, qualora non fosse possibile la formazione di un nuovo esecutivo, ci si rivolge agli elettori come democrazia comanda.
La cosiddetta società civile dovrebbe porsi una domanda onesta sulla trasgressione delle regole. È quantomeno disdicevole quando vorremmo imporre agli altri le regole più elementari, mentre noi per primi le trasgrediamo. Come è scorretto che la classe politica chieda al popolo dei sacrifici, senza dare per prima il buon esempio. Forse siamo all’ultima chiamata di un volo che non ne prevede di successivi verso la stessa destinazione.
Guglielmo Donnini