La Fed pronta a comprare il debito italiano? Dalla padella alla brace

Ben Bernanke

6 giu – C’è già qualcuno che ipotizza un nuovo Piano Marshall, ma più che agli aiuti gli Stati Uniti sembrano pensare le modalità con cui aumentare la propria influenza sull’Unione europea. Secondo rumor riportati ieri da Milano Finanza, la Federal Reserve sarebbe infatti pronta a comprare il debito italiani svaligiando i Btp decennali sul mercato secondario.

“Che l’America sposti il fulcro dei suoi interessi dal Medio Oriente ad altre fonti, come il Pacifico e il Sud America non ci sono dubbi – spiega Vittorio Dan Segre – è stanca dell’incapacità dei leader delle due zone di prendere delle decisioni”. Tutt’altro discorso se la Casa Bianca e Wall Street iniziano a guardare all’Unione europea con occhi famelici. “Se in parallelo gli Stati Uniti compreranno il debito europeo è ancora tutto da vedere – avverte Segre – tuttavia è tecnicamente possibile”. La Fed di Ben Bernanke è, infatti, pronta ad avviare quell’operazione che da mesi i governi europei chiedono che venga messa in cantiere dalla Bce. D’altra parte è stato proprio Bernanke a spiegare che “la Fed ha l’autorità per acquistare sia debito pubblico nazionale sia debito pubblico straniero”. “Nulla può fermare la Fed dal fare il lavoro che la Bce si rifiuta di fare”, spiega il capo economista di Ubs Andreas Hoefert ricordando, tuttavia, che l’economia americana non è ancora del tutto uscita dalla crisi economica che lei stessa ha fatto esplodere con il buco creato dai mutui subprime. Anche perché, qualora la Fed dovesse entrare a gamba tesa sui mercati del Vecchio Continente, deve sganciare euro che, al contrario di come fa coi dollari, non può stampare.

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Aldilà della validità dell’operazione che gli analisti di Bernanke stanno studiando, l’interesse del lettore deve spostarsi sui motivi che spingono l’amministrazione Obama a spostare l’interesse dal Medio Oriente, carico di petrolio ma instabile politicamente, al Vecchio Continente, che da anni non è più un luogo strategicamente interessante da dover impegnare le proprie risorse politiche, diplomatiche ed economiche. La risposta dovrebbe essere cercata nei disordini che hanno trasformato il Mediterraneo in una vera e propria polveriera.

La primavera araba in Egitto e Tunisia, la guerra civile in Siria e in Libia e le sempre più scarse prospettive d’ingerenza in Iran hanno spinto il presidente Barack Obama a lavorare perché l’Unione europea riesca ad uscire definitivamente dalla crisi economica e, al tempo stesso, entri sotto la sfera egemonica americana. Un’operazione che potrebbe togliere lo scettro alla cancelliera tedesca Angela Merkel che da anni fa il bello e il cattivo tempo con i Paesi economicamente azzoppati dalla recessione. La preoccupazione maggiore degli Stati Uniti, però, è legata all’appoggio che i singoli Paesi Ue sono in grado di fornire all’esercito americano in caso di conflitti bellici. Nelle ultime occasioni (dall’attacco sferrato alla Libia di Gheddafi all’intervento in Mali), la Germania si è dimostrata refrattaria a intervenire.

Che lo strapotere tedesco a Bruxelles non faccia piacere alla Casa Bianca, non è certo un mistero. In questo senso va infatti letta la batosta firmata in settimana dagli analisti del Fondo monetario internazionale che non solo hanno dimezzato le stime di crescita del pil tedesco, ma anche lancia un rischio recessione per l’intera economia. Mentre il governo di Berlino punta a rafforzare politicamente e, soprattutto, economicamente l’Ue e Francoforte, l’intervento della Fed sui debiti pubblici dei Paesi periferici dell’Europa, in primis Italia e Spagna, sposterebbe violentemente il baricentro dei poteri. Il risultato? Da colonia tedesca l’Italia rischierebbe di diventare una colonia americana. “Una mossa del genere non potrà certo lasciare indifferente la Bce che, tendenzialmente, rimarrà nel limbo fino alle elezioni in Germania”, spiega l’analista Ulisse Severino ricordando come le difficoltà europee stiano “zavorrando” tutto il mondo. “Grazie al suo sistema finanziario-federale – spiega Segre – l’America può stampare tutti i dollari che vuole senza che nessuno la controlli”. Tuttavia, l’iniziezione eccessiva di moneta potrebbe anche svalutare il dollaro nei confronti dell’euro, con il risultato che l’export dall’Europa costerebbe di più rispetto a quella dall’America.

Dal momento che, dall’inizio dell’anno, il Giappone ha preso a svalutare lo yen, la parallela svalutazione del dollaro rafforzerebbe la moneta unica sfavorendo, in questo modo, le aziende che producono in Europa e dall’Europa esportano. Un esempio su tutti: il settore automobilistico. Con un euro forte la Volkswagen, il più grosso gruppo nel Vecchio Continente, avrebbe difficoltà a vendere le proprie vetture in Asia e, in particolar modo, in Cina. D’altro canto, comprare euro per pagare titoli di Stato farebbe aumentare la circolazione dei dollari sul mercato. “Se la massa di dollari dovesse apparire agli americani eccessiva – continua Segre – non avrebbero difficoltà a inventare un nuovo dollaro che ingloberebbe parte del vecchio debito”. Al tempo stesso, l’operazione eviterebbe che i prezzi del petrolio e delle materie prime schizzino alle stelle. “Il fatto che gli Stati Uniti, grazie al loro sviluppo tecnologico, si siano trasformati da maggiore importatore di petrolio dall’estero a probabile maggiore produttore di petrolio el prossimo futuro – conclude Segre – trasforma radicalmente la situazione finanziarie e il debito degli Stati Uniti”.

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