“Sì, è vero, anch’ io posso ritenermi una vittima di Giovanni Brusca, perché ha progettato un attentato contro di me e voleva rapire mio figlio; ma pure perché tra le centinaia di persone che ha ucciso o di cui ha ordinato la morte c’ erano alcuni miei amici. Ma è pure vero che queste cose le sappiamo grazie a lui, alla sua collaborazione e confessione. Le ha dette anche a me, durante decine di interrogatori”.
Lo spiega in un’intervista al Corriere della Sera, Pietro Grasso, che è stato il giudice a latere del maxi-processo alla mafia, poi procuratore di Palermo e procuratore nazionale antimafia, prima di entrare in politica e diventare presidente del Senato nella precedente legislatura.”Quando ho avuto a che fare con lui avevo l’ obiettivo di cercare la verità – spiega Grasso – Non mi sono preoccupato di ottenerne le scuse o richieste di perdono, la legge per “ravvedimento” intende altro. Lui ha deciso di collaborare con la giustizia, rompendo ogni legame con Cosa nostra, rendendo dichiarazioni che hanno trovato riscontri e conferme.
Il “pentimento sociale” richiesto dai giudici di sorveglianza secondo me è rappresentato anche dalla collaborazione che non s’ è interrotta in oltre vent’ anni, perché ha aiutato a scoprire la verità su ciò che era avvenuto e impedito ulteriori crimini”.
“Per me è stato giusto che Riina e Provenzano siano rimasti in carcere fino alla loro morte, ma uno come Brusca non si può valutare alla stessa maniera. Ha scontato oltre 23 anni in carcere, e tra due anni la pena sarà esaurita, gode già di permessi che per certi versi gli concedono più spazi di libertà rispetto alla detenzione domiciliare: è la dimostrazione che collaborare paga. I magistrati hanno avuto tutti gli elementi per decidere, e io rispetto qualsiasi decisione” aggiunge Grasso. (askanews)