Flat tax, un’aliquota unica delle tasse: si puo’ fare?

FLAT TAX – UNO STUDIO DEL TEMA CENTRALE DI QUESTA CAMPAGNA ELETTORALE
del Dott. Gianmarco Landi
(Advisory finanziario)

La Flat Tax dovrà passare le forche caudine del Parlamento della Repubblica italiana, che da sempre è occupato da un partito trasversale in favore delle  tasse, un partito che non esiste in senso nominale, ma sussiste per causa della impreparazione economica dei parlamentari italiani, quasi tutti  un bel po’ ignoranti in economia e finanza,  come rivelano molte  statistiche e reportage giornalistici. Costoro, infatti, se non sono professionisti della politica senza alcuna arte né parte, sono in prevalenza  avvocati, cioè professionisti abituati per riflesso condizionato  a vivere speculando sulle altrui capacità di ricchezze. Forse è soprattutto per questo motivo che in Italia il principale partito, il più forte ma allo stesso tempo il più odiato,  è quello delle tasse.

 Il  Centrodestra in queste elezioni politiche propone  la  Flat Tax, cioè un tentativo di esautorare il  partito delle tasse con un’aliquota unica per persone e imprese molto bassa, ma questo proposito è fattibile? Questa proposta è forse una pia speranza, magari il frutto subdolo della pura propaganda elettorale?
Prima di rispondere alla domanda mi preme riflettere  sulla natura dei fan del Partito delle Tasse, che  imperversano  in Parlamento ma soprattutto in Unione Europea.
I signori delle tasse argomentano nel senso che le aliquote alte servirebbero  per assicurare l’ottenimento di una qualche situazione di alto principio o di necessità contabile, oppure di prassi virtuosa, situazioni  che  come spiegherò nel seguito non hanno alcuna ragione di potersi ritenere effettivamente tali. Possiamo suddividere questa specie di fautori della malvivenza fiscale in tre categorie:
gli invidiosi;
gli ignavi;
gli incapaci.
Ovviamente l’appartenenza ad una categoria non ha preclusione di appartenenza anche verso le altre.

Gli invidiosi sono i più arroganti assertori  del partito delle tasse e sono legittimati dalla cultura dell’ex partito comunista e delle varie correnti democristiane pauperiste, cioè tutti quelli che ancora oggi concepiscono le tasse con il fine di redistribuire il reddito altrui a presunti bisognosi, che a ben vedere sono correlati a situazioni di interessi particolari di carattere volgarmente economico o politico. Questi signori ipotizzano di colpire il popolo italiano afferrando in vita i cittadini più capaci redditualmente,   ipotizzando progressivamente di  far salire le mani del potere pubblico sino al collo del malcapitato, depredandolo all’insegna di una pretesa  di lecito strangolamento nella progressione di aliquote imposte  con l’affermazione della giustizia sociale che ammanta,  in realtà,  l’invidia più becera e pura.  E’ utile ricordare che Dante fece indossare un mantello di panno ruvido e pungente agli invidiosi, anime da purgare  nel contrappasso degli occhi cuciti dal filo di ferro che impediva loro di vedere le fortune del prossimo con occhio malevolo (l’etimo di invidia viene dal latino invideo), e quindi fare il male proprio e altrui. Al di là della invidia  che riempie di forza energetica la giustizia sociale, sappiamo che questo Totem di ideologia di sinistra non ha alcuna buona applicazione, poichè il contribuente ricco e virtuoso ha intelligenza per sapersi sottrarre  dall’aggressione delle pesanti aliquote agendo con piena legalità e sicurezza.

Tutti quelli che si intendono di  materie  fiscali sanno, ad esempio, che è sufficiente controllare  una società all’estero in paesi  a normale livello di tassazione,  in cui  spostare o edificare i margini di guadagno, congetturando una commercializzazione o quant’altro, e chiudere altresì in parità i bilanci delle compagnie che producono in Italia, per mortificare questa  ambizione di voler depredare gli uomini o le loro entità capaci di alto reddito. Il guaio però è che questa  dinamica  di aggressione e di legittima difesa,  infligge  un danno alle  casse dello Stato italiano che di fatto viene depauperato di quei gettiti normali che invece vanno a beneficio delle casse di Paesi esteri che hanno pretese fiscali normali e prosperano alla faccia dei giustizialisti sociali italiani.

La seconda famiglia di sostenitori del partito delle tasse è quella degli Ignavi, cioè dei pavidi e dei rimbambiti dalle teorie tecnocratiche di stampo  germanico,  i quali sostengono come  la pressione fiscale sia necessaria per rispettare una serie di vincoli chiesti dall’Europa (Germania), ma  di cui nessuno però è capace di spiegarne il senso e  l’utilità alla luce di un sequel  drammatico di dati debilitanti l’Italia da 20 anni e oltre.  A questo gruppetto  di camerieri dei poteri  forti, gente con la erre moscia che pensa di capire tutto ma in realtà non capisce niente,   bisogna attribuire la cedevolezza italiana verso le più astruse teorie sulla globalizzazione e della Nuova Europa, e dobbiamo annoverare in primis l’attuale ministro dell’Economia dei governi del  PD  unitamente ad una gabbia pieni di  pappagalli assertori della supremazia tedesca in un’Europa che certo non ha bandiere naziste, ma quella con l’orbita  di  stelline che ci sta facendo vedere  la Germania per le ‘botte’  sta dando alla nostra economia reale. Costoro  si sono spesi  acriticamente in favore della necessità di tenere alte le tasse sulla base di un qualche dettato apoditticamente affermato in UE, in ossequio cioè ad un qualche parametro (ad esempio quelli di Maastricht) da intendersi in maniera dogmatica  per l’Italia,  anche se non è stato così per la Francia e la Germania, quando entrambe hanno calpestato al  loro bisogno e comodo le regole che loro stesse avevano imposto. Tutti, anche gli europeisti più rimbambiti, devono  oggi riconoscere che la situazione dell’economia italiana non solo non migliora da oltre 20 anni ma a larghi tratti peggiora, infatti l’Italia è il paese con ricchezza procapite reale inferiore al 1995, ciononostante il debito pubblico è man mano cresciuto fino al suo massimo storico di oggi, dopo 6 anni di esaltazione dell’Europa e di governo PD, superando il 132% del Pil (2.300 miliardi di euro in nominale).

In ultimo c’è la terza  tipologia  dei fan delle tasse, gli incapaci, che sono tali sia nel senso di produrre reddito significativo quanto di capire lo stato delle cose.  Questa specie di smidollati sono dei tontoloni pressoché ignoranti, protesi all’adorazione di  totem propinati loro dai mainstream dell’Informazione attraverso meccanismi che li inducono a proteggere alti livelli di spesa pubblica che  pensano di tutelare  spostando la pressione fiscale da un ambito  all’altro, cioè dai redditi ai consumi (come l’aumento dell’Iva) oppure dal lavoro ai beni  (tasse patrimoniali),  il tutto per giustificare nuove introduzioni di assistenzialismo parassitario a beneficio di fette sociali a loro stessi assimilabili, cioè di incapaci.   Gli incapaci adagiati sulla loro inettitudine,  pensano di poter vivere bene sulle spalle degli altri che invece lavorano rimboccandosi le mani, e  non si rendono conto di quanto questi loro Spropositi  abbiano in  sé una spinta fortemente depressiva  e distruttiva dell’economia reale oltre che dello senso dello Stato che si basa sul valore del Lavoro e non sulla sua negazione di fatto. Propugnare la salvaguardia della pressione fiscale per dare un reddito a masse improduttive  avrà l’effetto che i cittadini possidenti o dinamici decideranno sempre più di andare all’estero, oppure di darsi anche loro alla comoda incapacità di produrre reddito, rotolandosi  in una melmosa inettitudine assistita, come i maiali della fattoria degli Animali di Orwell che,  volendo essere solo uguali nel senso di uno che deve valere ed avere solo uno, imposero una tirannide poggiata sulla povertà.

L’Italia perciò è un eccellente caso di scuola.  L’Italia  è la scuola degli invidiosi, degli incapaci e degli ignavi che possono agire nella direzione di distruggere le eccellenze del Belpaese coltivando l’illusione di realizzare idee astruse e strampalate, come la Giustizia Sociale animata dall’invidia,  o l’Europa elevata ad entità divinatoria che in realtà non esiste, oppure  la società degli  eguali  nella fattoria degli animali  dei maiali di Orwell.

Il benchmarch (parametro con cui in finanza si esplica una fenomeno economico in un certo ambito ) di questa invidia,  di questa ignavia e di questa incapacità, si coglie considerando l’industria nautica e l’industria delle auto di grande velocità, in cui siamo stati il top assoluto nel Mondo ma  ora non lo siamo più ! Questi settori di assoluta eccellenza sono stati devastati dagli effetti della trimurti del partito delle tasse, cioè dalla idea della giustizia sociale, del ‘ce lo chiede l’Europa’,  e dagli spostamenti di  pressione fiscale e di assistenzialismo incuranti di preservare gli effetti nell’ economia reale, che a vario livello hanno danneggiato tutti gli strati della Comunità italiana.

L’Italia ha  sperimentato sulla pelle degli italiani quanto la pressione fiscale esasperante faccia male alla crescita, agli stipendi e anche alla qualità della pubblica amministrazione, dato che essa è svincolata dal miglioramento dei servizi pubblici, anzi, essendo  correlata  al peggioramento delle condizioni dell’economia, implica  livelli di servizi pubblici sempre più involuti.

Negli ultimi 20 anni  dal 1996 al 2016 (il 2016 è l’ultimo anno in cui si hanno dati esatti di contabilità nazionale) le entrate fiscali sono cresciute di 80 punti percentuali, il doppio dell’inflazione che nello stesso periodo è cresciuta del 43 per cento. Vi rendete conto di cosa ha significato questi fenomeno? Negli stessi anni, infatti,  il Pil è calato di oltre  10 punti percentuali (possiamo stimare in valori assoluti circa 170 miliardi di euro in ricchezza di meno in Italia ogni anno),  perdendo almeno  due milioni di posti di lavoro a tempo pieno. La  precisazione ‘tempo pieno’ è doverosa perché il governo attuale  ha agito propagandando dati in forme tendeziose, dato che  promuovendo il lavoro part time asserisce nel 2017 di aver parificato gli occupati al numero del 1995, una situazione teoricamente vera, ma sulla base di una diminuzione del monte ore lavorato di tutti gli italiani pari al 5% e quindi all’ aumento  dei lavoratori a metà giornata ha fatto da sponda la più forte diminuzione degli occupati full time nel senso del monte ore complessivo.

L’economia italiana oggi è schiacciata dal peso delle tasse e solo chi ha gli occhi cuciti con il filo di ferro come nel Purgatorio di Dante, non riesce a vederlo. Tra le oltre 100 tasse che colpiscono i ceti produttivi, quelle che pesano di più (il 54% del gettito) sono Irpef e l’Iva. La prima (Imposta sul reddito  persone fisiche) garantisce alle casse dello Stato un gettito di 166 miliardi di euro (il 34 per cento) mentre la seconda è pari a 101 miliardi di euro (20,5 per cento). Con tutte queste premesse solo un intervento choc  che introduca un abbassamento delle tasse sulle persone fisiche e quelle giuridiche, può invertire il lento cammino verso la povertà.

Perciò la flat tax  è un tema centrale e molto serio in questa campagna elettorale, e che sia al 23% o al 15%  non sarebbe comunque così importante, quanto cambiare rapidamente rotta al più presto.  Qualcuno potrebbe obiettare, non senza avvedutezza,  che dall’estero non ce lo lascerebbero fare, ma nel seguito spiegherò nel dettaglio perché questa obiezione aveva una sua forza nei decenni scorsi, ma ora non più.
Certamente negli ultimi 24 anni per ben 9 anni vi è stato un governo di CDX con a capo Silvio Berlusconi, e ancorché  la pressione fiscale sia stata dai 2 ai 3 punti più bassa  rispetto ai periodi in cui il CDX è stato all’opposizione, bisogna riconoscere che non vi è stata nessuna Flat Tax e i dati  non sono stati certamente buoni e rassicuranti, come il principale Partito dei moderati (Forza Italia) aveva indotto a pensare in ragione di afflati ideali e programmatici essenzialmente traditi. E’ stata colpa di Berlusconi e dei suoi lacchè, oppure ci sono altri aspetti pregnanti da considerare?

Per capire il futuro, dobbiamo voltarci indietro e guardare con occhio attento a cosa è successo ultimamente nella capitale dell’Impero Occidentale: Washington.
L’italia degli ultimi 24 anni è stata, più di tante altre Democrazie,  legata mani e piedi agli Usa, quindi inserita in un periodo in cui i DEM  americani, ispirati dal pensiero della Scuola di post marxisti di Francoforte, hanno imperversato imponendo una serie di  politiche globaliste, soprattutto in materia energetica e finanziaria che hanno consegnato  loro le leve del potere, da cui è stato praticamente impossibile prescindere. Anche nei 5 anni in cui ha governato continuativamente Berlusconi,  e che non a caso hanno coinciso con la presidenza Bush, ritengo che fosse impossibile attuare una flat tax che avrebbe significato un Italia politica ambiziosa e forte come Fausto Coppi, che in salita ripida tra la neve e il gelo, si alzava sui pedali e si staccava dal gruppo.  Gli ultimi 24 anni (dal 92 al 2016) hanno visto i primi  8 anni, in cui i globalisti hanno posto solide basi, all’insegna della presidenza di Bill Clinton, altri 8 anni con George W. Bush in cui hanno continuato in ragione bipartisan con la  forza della maggioranza al Senato  DEM  nonché in considerazione della debolissima vittoria di Bush accordata dalla Suprema Corte per le vicende delle schede perforate della Florida, ma soprattutto gli ultimi 24 anni sono stati conclusi da 8 anni di Obama, forte  nei suoi primi anni  pure della maggioranza Dem al Congresso,  che hanno visto un’ingerenza Usa spaventosa a suon di bombe e colpi di stato primaverili in tutto il Mediterraneo,  commissariando  ipso facto e nei tratti essenziali la nostra Democrazia fino a  perpetrare a suon di scandali sui giornali un dolce colpo di Stato pure nella Città del Vaticano, il cuore dei valori profondi della Comunità italiana.

Ma facciamo attenzione a quello che è appena accaduto:
negli Stati Uniti dal  2017 è scoppiata una specie di rivoluzione americana contro questi DEM, e non vi è più la stessa situazione degli ultimi 24 anni ! A Wasghington c’è una guerra che ormai ha i contorni del bene contro il male, e solo una delle due parti rimarrà in essere. Dalla meravigliosa e profonda America, quella dei nipotini dei pionieri, delle carovane con i tendoni bianchi, con le bibbie e le pistole a difesa della propria Libertà,  è spuntato fuori questo bizzarro Jonh Wayne, cioè Donald Trump, il quale  prima ha diviso ma poi ha compattato tutti i Repubblicani nel proposito di smantellare il senso politico di  questi ultimi 24 anni di potere DEM in America e a livello internazionale.  Faccio presente che anche quando c’era stato Bush, i Dem avevano pesato ed imperversato in tutta Europa e nel Mondo, ad esempio con Al Gore e la sua battaglia sull’ambiente che anche Bush ha dovuto supportare, e che in parole povere ha consegnato il dominio delle leve politiche economiche mondiali ai Dem Usa.  Questi politici americani attraverso la panzana del global warming hanno  tramato e intrallazzato conquistando  il controllo delle politiche energetiche mondiali e quindi anche delle Banche e dei Media, facendo gravare le tasse implicite dell’economia verde anche sulla fragile economia italiana, funestata dalle conclamate fanfaluche dell’ambientalismo più esaltato e fanatico.

Ora però tutto questo Mondo di nuovi moralismi e dollari Dem, che ha comandato in Europa attraverso la mediazione dei Kapò mitteleuropei, è sotto un violento attacco, perché la leva fiscale usata da  Trump, che con la sua flat tax ha portato dal 35% al 20% le aliquote in Usa, è pure utilizzata come una mazza che sta rompendo la dura testa dei cervelloni Dem, i quali non essendo riusciti ad ‘uccidere’ Trump, rischiano di essere ridotti ai minimi termini in America e in Europa.
The Donald, riallacciandosi all’ultimo importante presidente repubblicano, cioè Ronald Reagan di cui è stato amico e imprenditore di riferimento, ha imposto un drastico abbassamento  delle tasse che costringerà, gioco forza, tutta l’Europa a seguire, non solo per la paura dei dazi intesi a riequilibrare pro America il vantaggio tedesco sulla competitività sfruttata con l’euro debole, ma perché  per non penalizzare le aziende europee sarà doveroso  adeguare la fiscalità nel senso  innescato dall’abbassamento delle tasse appena conseguito dal Presidente Trump poco più di un mese fa, con il combattuto e significativo risultato di 51 senatori a 49.

Ma oltre a questo importante motivo internazionale che rende plausibile la Flat Tax che il Cdx ci propone, ve ne è un altro, più profondo e raffinato, che riguarda anche gli italiani,  un popolo di poeti, di santi, di navigatori e sapienti evasori fiscali. Il senso profondo della flat tax si coglie nella scienza economica che rifulge sullo schizzo su un tovagliolo che Arthur Laffer,  un economista, fece spiegando  a Donald Rumsfield e a Ronald  Reagan nel corso di una cena elettorale delle primarie repubblicane nella metà degli anni 70. Quelle competizioni videro  infine la vittoria del democratico  Carter, ma 4 anni dopo costituirono i lumi  dei meravigliosi anni 80, la cui onda di benessere e sviluppo arrivò anche da noi con la vittoria di Reagan. Laffer disegnò sul tovagliolo quella  curva nota in Economia come Curva di Laffer, cioè un diagramma che spiega con una U rovesciata il legame tra entrate  fiscale e aliquote, un concetto banale ma che non entra nella testa degli zucconi che pensano di capire tutto anche quando invece non capiscono nulla.
Gli zucconi di sinistra pensano che le due espressioni, entrate ed aliquote,  siano legate da legge di diretta proporzionalità,  cioè che più si aumentano le aliquote più aumentano le entrate fiscale, ma in realtà non è mai stato così per una motivazione empirica di per sé stessa evidente ed intuitiva. La motivazione è che più le aliquote sono alte, meno redditi vengono dichiarati,  e questo fenomeno ha a sua volta due cause: la prima è che più alte sono le tasse più alta sarà l’elusione o l’evasione fiscale; la seconda è che più alte sono le tasse  più sofferente sarà la crescita economica, cioè meno redditi saranno effettivamente prodotti. Il grafico di Laffer ha sull’asse delle ordinate le entrate (stimate da 0 a 200Keuro) e sulle ascisse le aliquote. Chi non si sforza di capire cosa significa questo grafico non ha diritto di esprimere alcuna opinione in materia fiscale.

Il grafico mostra che con un’aliquota dello 0% il governo non raccoglierebbe nulla (per definizione…), così come non avrebbe alcun introito se applicasse una percentuale pari al 100%, dato che nessuna persona sarebbe disposta a lavorare duramente per poi farsi depredare di tutto il suo guadagno. Se i due estremi della curva producono entrate nulle, allora vuol dire che la funzione di relazione dovrà avere lì in mezzo un punto di massima (nel grafico M) a cavallo del quale esistono una serie di coppie di aliquote differenti che generano lo stesso gettito (Punti A e B ad esempio). La Linea rossa e continua ci fa vedere come esista un’aliquota (nel grafico congetturata  al 30%)  oltre a quale il gettito fiscale decresce, cioè più si pretendono tasse meno se ne riscuotono. Il concetto che il grafico esprime è che un’aliquota del 42% determina un gettito fiscale uguale a quella del 18%, con buona pace degli invidiosi, degli ignavi e degli incapaci.

La curva di Laffer si costruisce in relazione ad una funzione matematica che rappresenta  l’andamento delle dichiarazioni  veritiere al variare delle aliquote, che nel grafico sono raffigurate con la linea tratteggiata di azzurro. L’andamento raffigurato plausibile nella correlazione tra la percentuale di tassazione e la parte del reddito reale che viene dichiarata. Partendo dai 100-k€ denunciati pressoché fedelmente per le aliquote inferiori al 5%, la quota dichiarata al fisco si riduce man mano che la percentuale si approssima al 60%, per poi ridursi praticamente a zero per i valori teorici  oltre l’80% ( linea azzurra tratteggiata).
Questo concetto fu sperimentato nel corso della Presidenza di Ronald Reagan, il quale fu ritenuto anche più pazzo e pericoloso di Trump dalle ‘vedove’ di Carter di quel periodo, sia in America sia in Europa. A partire dal 1980 l’America abbassò fortemente le aliquote e come descrive la curva di Laffer  aumentò fortemente il gettito fiscale ad un livello talmente forte  che gli USA riuscirono pure a soverchiare l’URSS nella corsa agli armamenti,  facendo implodere  il Sistema Sovietico dall’interno fino ad assistere al crollo del muro di Berlino in chiusura dei meravigliosi anni 80.

In conclusione bisogna convenire che una Flat Tax al 15 per cento, come vuole ottenere l’impetuoso Salvini,  o al 23%,  come intende prudenzialmente mediare in una dimensione Europeista Berlusconi,  è un tema serissimo e plausibile per il rilancio politico della nostra Italia, alla luce di 24 anni di fallimenti dell’europeismo tecnocratico DEM  e in considerazione  dell’emergere nella Storia Occidentale dell’Innominato di turno, cioè quella Divina Provvidenza manzoniana che oggi risponde al nome di Fra Donald Trump, un leader con cui il Centrodestra italiano dovrebbe assolutamente affratellarsi anche più di quanto abbiano fatto i Conservatori del Regno Unito.

E per finire chiudo con un aneddoto per appassionati di storia ed economia che edulcorerà le pilloline della cura Trump anche alla mortificata e inconsistente intellighenzia DEM.
La curva di Laffer viene dagli Usa?  No, non è vero.
In realtà si tratta di un gigantesco plagio compiuto scopiazzando manoscritto che ha origine in quel Mediterraneo devastato pochi anni fa dalle bombe e dai colpi di stato di Obama e Hillary Clinton, e che oggi pullula di navi delle ONG patrocinate dalla UE e dal PD Italiano, grazie alle tasse pagate dai cittadini depredati.
Noi, il Popolo italiano,  abbiamo preso dai nostri cugini maghrebini  non cristiani tutto quello che di buono avevano da darci, e ci siamo guadagnati con la storia il diritto di essere quello che siamo, cioè dirimpettai aperti ma distinti nella propria identità, con il rispetto che si riconosce a popoli che esprimono un loro cammino nella storia dell’Umanità, e che non deve e non può essere ammassato in un blob di consumo,  lavoro e valori standardizzati privo di identità e di spessore.

Per inciso la curva di Laffer non è una discendenza della Tradizione occidentale e cristiana,  quindi quacchera o protestante come potrebbe essere lecito pensare viste le fortune americane e anglosassoni (ricordiamo Margaret Tatcher oltre Reagan). Come ha rivelato lo stesso  Laffer, la sua curva  è una conquista arrivata  a lui grazie  ad  un genio mussulmano antesignano di Leonardo da Vinci di circa 150 anni. La curva è tratta da un concetto e un diagramma sviscerato dal Ibn Khaldun  copiato pari pari da Laffer. Questo Khaldun fu uno scienziato mussulmano nato a Tunisi di ceto dominante andaluso. Egli fu soprattutto un  grandissimo storico, un raffinato filosofo (epistemologo) un musicista (pare che sia stato l’inventore della chitarra) ed il primo realizzatore di opere di Sociologia ed Economia applicata all’arte esercitata dai  Di Van (dal cui etimo ci viene la parola e il concetto di divano), i consiglieri di Stato che popolavano i salotti degli sceicchi mussulmani, consigliandoli sul governo dei popoli sottomessi.  Come tutti i geni anche Ibn Khaldun non sempre fu apprezzato e fu fortemente ostacolato, ma anche grazie a lui l’Islam raggiunse l’apice proprio in quegli anni, per poi procedere nel declino ma solo nei secoli a seguire. Quando Khaldun raffigurò la curva del gettito fiscale e delle aliquote spiegò  che erano eccessive e non intelligenti le pretese di tassazione che i Di Van  facevano pagare ai cristiani e agli ebrei sottomessi alla Sharia da non mussulmani, e perciò fu molto ostacolato da tutti quei beduini che,  odiando altri esseri umani più ricchi, concepivano le tasse come strumento di sofferenza e riscatto,  nel senso di una privazione di altrui libertà e fortune, per conseguire un’uguaglianza illo tempore nel senso islamico del termine. Nel secolo 1300 chi non era totalmente sottomesso alla Sharia, essendo quindi non mussulmano, doveva pagare una maggior tassazione, una sorta di aliquota progressiva che colpisce gli odiati ricchi di oggi, da cui anche allora la maggior parte degli aggrediti dal fisco riusciva a sottrarsi sebbene nel timore della scimitarra.   L’Islam del 1.300 aggrediva con tasse molto più alte chi non si convertiva a Maometto e lo puniva ferocemente se si sottraeva alle pretese fiscali del periodo, ma ciò avveniva a qualsiasi costo, anche a quello della vita o di abbandonare i luoghi dominati dai Saraceni, che però venivano impoveriti.  Khaldun spiegò che questa logica ideologica dell’Islam era sbagliata rappresentandola con la sua curva, la nostra curva di Laffer, con ciò significando che l’ostilità e le pretese a detrimento dei ricchi (i cristiani e gli ebrei lo erano) non solo non incrementava le casse dell’Islam ma alimentava una cultura di insofferenza che generava situazioni  non intelligenti e convenienti nel senso di poterle sistemare  sguainando la scimitarra sulla gola degli infedeli,  ancorché fossero pure conclamati evasori. I beduini,  per quanto fossero ritenuti beceri dai nostri punti di vista, grazie al genio di Ibn Khaldun ci arrivarono a capire questa semplice cosa, ed infatti anche così costituirono una civiltà che riuscì a scambiare con l’Occidente alcune conquiste di progresso per alcuni secoli pure dopo il 1300.
Chissà se un giorno,  pure i  DEM  e i 5 Stelle nostrani, nonostante la corona di intellighenzia e onestà che si sono messi e che evidentemente pesa sulla loro fragile testa, un giorno possano capire quello che i beduini capirono nell’Alto Medioevo.