di Fabio Rubini
«La prevalenza dell’infezione cronica da epatite B è in diminuzione nelle zone del terzo mondo ad elevata endemia» (grazie alla vaccinazione universale), «ma in costante crescita in Europa (Germania e Italia) a causa dei crescenti flussi migratori». La tendenza è stata rivelata ieri nel corso di una conferenza stampa in Regione Lombardia, per la firma di un altro “accordo per la ricerca”, che prevede studi per la messa a punto di un farmaco in grado di sconfiggere l’epatite B cronica, che colpisce attualmente circa 300 milioni di persone nel mondo e che ne uccide un milione all’anno.
A mettere a punto la cura ci proverà una squadra formata dalla Promidis srl, che è la capofila, e poi l’ospedale San Raffaele, l’Università degli Studi di Milano, l’Istituto nazionale di genetica molecolare e il Policlinico San Matteo di Pavia. Regione Lombardia, grazie agli innovativi accordi per la ricerca, finanzierà il progetto con 3 milioni e 300 mila euro, su un totale di 5,6 milioni.
«Quando parliamo di epatite B», ha spiegato l’assessore alla ricerca e open innovation, Luca Del Gobbo, «parliamo di una patologia che intacca pericolosamente un organo vitale come il fegato. Il 5% degli adulti e oltre il 50% dei bambini al di sotto dei 5 anni infettati da questo virus diventano malati cronici. I malati quindi», prosegue Del Gobbo, «devono assumere farmaci per tutta la vita e questo significa costi elevatissimi per il sistema sanitario e la non certezza di ridurre il rischio del cancro al fegato». Tanto che, rivela l’assessore «dal 2009 al 2015 la spesa sanitaria per curare l’epatite B in Lombardia, è raddoppiata, passando da 12 a 24 milioni». Per questo il progetto che ha come capofila la Promidis è stato scelto per il finanziamento regionale:
«Vogliamo aprire spazi e creare dinamiche», ha ricordato Del Gobbo, «per le quali cittadini, famiglie, imprese, centri di ricerca non sono più solo destinatari delle politiche, ma sono anzitutto protagonisti, con voce in capitolo e con la possibilità di dare gambe e idee anche rivoluzionarie, ma sempre con una ricaduta positiva sulla vita delle persone».
Il dato più impressionante, però, resta quello che riguarda l’inversione geografica della presenza dell’infezione che sta diminuendo in Africa, dove secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, colpisce l’8,8% della popolazione; mentre è in aumento (2%) nei Paesi europei a maggior tasso di accoglienza. Una tendenza che conferma quello che già lo scorso dicembre scriveva il Ministero della Salute, che in una circolare invitava ad intensificare l’attenzione su «prevenzione e controllo della malaria in Italia», malattia che nel nostro Paese era stata dichiarata totalmente debellata già nel 1970. Il Ministero ammetteva poi che l’80% del nuovo contagio è ricomparso a causa delle migrazioni degli ultimi anni (il restante 20% è da attribuire a chi viaggia, per lavoro o turismo, nei Paesi dove il focolare è particolarmente presente). Infine da Roma definivano questa tendenza «fonte di preoccupazione», poiché si legge nella circolare «in zone non più endemiche (come il nostro Paese, ndr) possono permettere il riattivarsi di una trasmissione locale, come avvenuto negli ultimi anni in Grecia».
I dati sull’epatite B, rivelati ieri al Pirellone, sono dunque una preoccupante conferma della relazione tra il fenomeno migratorio e il riaffacciarsi di malattie che si credevano debellate sul nostro territorio. Gli unici a non averlo ancora capito sono i vertici del Pd e della neonata sinistra, che continuano a predicare la politica dell’accoglienza a braccia aperte. Con i risultati che abbiamo appena raccontato.