Quando uscì nel 1997 quest’opera assai rigorosa e documentata, quasi una indagine forense alla ricerca delle prove della matrice inequivocabilmente totalitaria e di ispirazione nazista dell’Europa Unita, suscitò molta discussione, nonostante allora non fossimo ancora stati intrappolati dalla moneta unica e non vivessimo le sciagure e l’incubo europeo ad occhi aperti di questi ultimi tempi.
Tra le recensioni del libro, vi segnalo quella di Liliana Tami e quella pubblicata allora sul Corriere della Sera di Riccardo Chiaberge, che riportava i timori di una Barbara Spinelli, anch’ella evidentemente suggestionata dalla prosa appassionatamente libertaria di Laughland, su una possibile deriva autoritaria dell’istituzione europea, proprio a causa della imminente introduzione della moneta unica. Poi di acqua sotto i ponti ne passò, oltre alla fonte furono avvelenati anche le falde e i pozzi e a Spinelli eventualmente passarono tutte le paure.
Eppure Laughland era stato chiaro. Le istituzioni comunitarie europee sono afflitte da ostilità verso il concetto di sovranità e da economismo, ovvero dalla tendenza a vedere la governance unicamente come amministrazione e gestione tecnicistica dell’economia. I famigerati “governi tecnici” che ci chiede la Troika, e che ben conosciamo, insomma.
Pretendendo di governare unicamente con la tecnica e senza l’ausilio della politica, nel suo senso più profondo di rappresentatività popolare, nessuna delle istituzioni europee può essere definita democratica. E, questa è la sua radice totalitaria, era previsto fin dall’inizio che non potesse esserlo.
Per le istituzioni europee come il Consiglio europeo l’unica funzione prevista, tipica degli organismi non eletti e non rappresentativi, era quella di poter prendere decisioni in maniera rapida e insindacabile, senza dover passare attraverso un normale dibattito parlamentare.
Se verrà creata l’unione monetaria – ammonisce Laughland – e se essa verrà gestita da una banca centrale indipendente, l’ultima finestra sulla democrazia continentale verrà definitivamente chiusa. E ciò perché tutte le leve del potere saranno a quel punto in mano a figure non elette e non responsabili verso alcuno. La Banca Centrale, la Commissione Europea e il Consiglio europeo si divideranno i poteri ma nessuno di loro potrà vantare un mandato democratico e non dovrà mai rispondere ad alcuna istituzione o elettorato. Coloro che pensano che il Parlamento europeo possa colmare il vulnus, diventando un giorno il Parlamento dell’intero continente, dimostra solo – conclude Laughland – un’imbarazzante ignoranza su cosa dovrebbe essere un vero Parlamento.
Ma questo non è l’unico problema. La Banca centrale europea sarà l’unica responsabile della politica monetaria, ovvero del più importante potere discrezionale dello Stato. E questo aggiunge un’altro motivo di preoccupazione riguardo al carattere dirigista dell’Europa.
Come dicevo all’inizio, chi studia il problema europeo troverà nel libro di Laughland definitiva conferma sulle similitudini tra l’architettura dell’UE e i sogni di Grande Reich mai abbandonati da alcun cancelliere tedesco, sia esso un dittatore coi baffetti o un democratico del dopoguerra, magari ex comunista. Esso infatti dimostra ancora una volta come il piano Funk assomigli come un gemello monozigote alle politiche di austerità che mascherano malamente l’eterno mercantilismo tedesco che le impone ai paesi subprime e di cui esso ha assoluto bisogno per sostentarsi.
Vi dirò però che ciò che mi ha colpito maggiormente di questo testo fondamentale è il capitolo “The European Ideology”, una lectio magistralis su cosa siano veramente la politica e la democrazia parlamentare, che dimostra a quale velocità noi stiamo allontanandoci da tali concetti in questo paese e nell’intero continente. Lezione di supremo amore verso la Costituzione, la legalità, la prassi democratica, che ci viene da un conservatore inglese, addirittura thatcheriano e che in alcuni punti rischia di farci vedere in modo meno ideologicamente prevenuto i classici del pensiero liberale. Quanto meno aiutandoci a comprenderne alcuni concetti nel loro vero significato, spurgandoli dal pregiudizio ideologico.
Prendiamo ad esempio il famigerato “meno Stato, più mercato”, comunemente interpretato come “lasciamo fare tutto al mercato ed eliminiamo lo Stato”. Ebbene, se quel “meno Stato” lo si intende correttamente in senso qualitativo e non quantitativo, si vedrà che il ruolo dello Stato non viene assolutamente negato ma limitato alla funzione legale dello stato di diritto. La legge come fondamento dello Stato, legge che non può essere soverchiata dal governante di turno e nemmeno dal mercato.
Altro esempio, l’altrettanto famigerato, secondo gli oppositori del liberalismo, “non esistono pasti gratis”, comunemente interpretato come “non pensare che qualcuno ti darà da mangiare gratis”. Il senso invece è che ciascun pasto, sia quello che io mi guadagno lavorando, che quello che consuma il povero alla mensa della Caritas, è stato pagato da qualcuno, è il prodotto di un processo economico. Non discende dal cielo come la manna, come certi redditi minimi garantiti.
Forse l’idea espressa nell’ultima parte del libro, ovvero che si dovrebbe ricevere in cambio dallo Stato solo ciò che si è pagato precedentemente in tasse e che la massa monetaria circolante dovrebbe essere unicamente quella equivalente al suo controvalore in oro può sembrarci troppo esoticamente british, ma ci aiuta comunque a capire il livello di vera e propria degenerazione neoplastica dell’attuale dirigismo economico europeo germanocentrico e la sua schizofrenia quando con una mano toglie i propri risparmi ai cittadini e con l’altra elargisce munificamente e senza contropartita a banche private e stranieri clandestini. Un sistema quantistico schroedingeriano dove i soldi ci sono e non ci sono allo stesso tempo, a seconda di quale punto di osservazione scegliamo.
Come non sentirsi liberali, difatti, di fronte a questa affermazione del 1994, riportata nel libro, del gruppo parlamentare della CDU/CSU, che Laughland riesce a farci gustare, forse per la prima volta, in tutta la sua sconcertante illiberalità:
“L’idea di sovranità inalienabile dello stato nazione ha ancora peso, nonostante questa sovranità sia da tempo ormai diventata un guscio vuoto”.
La sovranità, scrive Laughland, è questione di autorità, non di potere. Ancora una volta l’autorità dello stato di diritto, non del potere del reuccio di turno. E la società non è il frutto di un disegno deliberato ma di un certo grado di complessità che le impedisce di essere riformata se non nel senso del rinforzo delle regole volte al mantenimento della sua integrità. “Siccome sarebbe intellettualmente presuntuoso, per non dire da megalomani – scrive Laughland – credere che un solo uomo possa stabilire un intero sistema di tali regole, il legislatore deve agire con prudenza e modestia quando decide di cambiarle”.
So a chi state pensando.
Infine, dato che il libro di Laughland è una vera miniera di spunti di riflessione, ne scelgo uno di estrema attualità che riguarda il concetto di frontiera nazionale.
“L’indipendenza costituzionale o sovranità nazionale è un prerequisito della democrazia perché è solo entro un certo sistema di governo, ovvero quello costituito da un gruppo di persone con punti di riferimento e regole comuni, che il dibattito parlamentare e la responsabilità democratica possono essere assicurati.
Questo è il motivo per il quale è pericoloso dire, come fanno i sostenitori dell’integrazione europea, che le frontiere dovrebbero essere smantellate o rese irrilevanti.
L’abolizione delle frontiere giuridiche implica l’abolizione dello status di nazione autonoma e ciò di conseguenza implica l’abolizione della legge e la sua sostituzione con la burocrazia o il dirigismo.
Senza la politica non può esservi giudizio, non può esservi morale o legge. Ed è proprio quando la politica e la legislazione vengono oscurate in favore del decisionismo a porte chiuse che emerge il vero pericolo per le società contemporanee: ovvero quello rappresentato da strutture burocratiche, tecnocratiche e depoliticizzate che incoraggiano l’indifferenza e rendono i cittadini meno selettivi, meno capaci di pensiero critico e meno inclini ad assumersi responsabilità. Questo è il pericolo rappresentato dall’abolizione delle frontiere nazionali senza crearne esplicitamente delle nuove per l’Unione Europea (il che creerebbe ulteriori problemi, per altro), e pretendendo che possa esistere una vita politica senza di esse.” (fonte, pag. 180)
Barbara Tampieri aka Lameduck
Articolo magistrale.