Commemorazione del Cernaieto: partigiani, la sistematicità dell’orrore

 

Sabato 7 maggio, si è tenuta nel bosco di Cernaieto la dodicesima commemorazione delle 24 persone ivi assassinate il 26 aprile 1945. In una splendida mattinata di sole, all’ombra della Croce è stata recitata la preghiera per i Caduti Militari per poi procedere alla Benedizione di tutti i Martiri, con la guida spirituale di Don Vasco Rosselli. Estremamente toccante la testimonianza della nipote di una delle vittime.

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Anche quest’anno la cerimonia è stata molto partecipata dai cittadini, con oltre una cinquantina di persone e la presenza dell’Eurodeputato Remo Sernagiotto (gruppo ECR).
Al termine della commemorazione è stato possibile approfondire nuovi dettagli storici, grazie agli interventi di Fabio Filippi, Pieluigi Ghiggini e di Luca Tadolini.

Successivamente ci si è spostati nella parte a monte dell’area monumentale, onde esaminare la possibilità di eseguire ricerche nei pressi di una croce in legno comparsa misteriosamente nel 2014. Si ipotizza infatti che si tratti di un indizio per suggerire la presenza di un’altra sepoltura.

GLI EVENTI DI CERNAIETO: la sistematicità dell’orrore.

Una storia che merita di essere raccontata e approfondita, in quanto “modello” di quanto avvenne in innumerevoli località del nord Italia al termine della seconda guerra mondiale.

La sera del 22 aprile 1945 i militi del distaccamento GNR di Montecchio escono dal paese per ritirarsi verso Cremona, dopo pochissimo vengono attaccati dai partigiani che, superiori per numero e quantità di munizionamento, li costringono alla resa nella mattinata del 23 aprile 1945. Tra le condizioni di resa c’è la garanzia di aver salva la vita e di non subire maltrattamenti. Il gruppo di prigionieri (salvo due feriti) viene quindi portato nel “carcere partigiano” di Vedriano.

Il giorno 24 subiscono degli interrogatori: testimonianze dirette parlano di urla udibili in tutta la valle, i prigionieri vengono massacrati a bastonate onde costringerli a firmare delle “confessioni”.
Il giorno 26 aprile vengono portati in località Boschi di Cernaieto, legati con filo di ferro, mitragliati e malamente sepolti.

Il probabile motivo per cui noi oggi siamo a conoscenza di questa strage partigiana è che 2 dei militi miracolosamente non muoiono. Riescono a liberarsi dal filo di ferro e scappano. Uno raggiunge una casa, ma gli abitati sono simpatizzanti dei partigiani comunisti e lo fanno assassinare dagli stessi. Il suo cadavere non verrà più ritrovato. L’altro, conoscitore di quei luoghi, riesce a raggiungere dei conoscenti fidati presso Casina. Ma i partigiani rossi sono a conoscenza della sua fuga e lo cercano. Riesce a raggiungere Reggio Emilia grazie al coraggio di un partigiano delle fiamme verdi, che mette a repentaglio la sua vita minacciando con il MAB i comunisti che avevano riconosciuto il suo prigioniero. Che, rinchiuso nel carcere della caserma Zucchi, viene liberato dopo tre mesi e ritorna a casa.

Peccato che i partigiani rossi vogliano far tacere l’unico testimone oculare delle stragi: quindi lo rintracciano e lo picchiano con dei sacchetti di sabbia. (Il sistema per uccidere senza lasciare tracce evidenti. Ci penserà poi un medico amico del Partito a constatare la morte per un “malore”.) Fortunatamente pur malridotto, dopo tre mesi di convalescenza, il sopravvissuto guarisce e inizia a raccontare….ovviamente racconti bisbigliati, col terrore che qualcuno bussi alla porta con una pistola in mano.

Ma in quella fossa non finiscono solo i militi della GNR, il 30 aprile 1945 vengono uccisi due ragazzi di 16 anni. Successivamente (o prima, non si sa) vengono uccise 3 donne. In totale vengono trovati 23 cadaveri. . Perché queste persone vengono uccise? Sono colpevoli di qualcosa? Semplicemente di essere dalla parte sbagliata.

L’elenco dei morti parla da solo: persone di mezza età (inabili al servizio operativo), minorenni, donne.
– Alberto Bigliardi di Sant’Ilario d’Enza, sergente maggiore di 41 anni;
– Giovanni Bonomi di Bettola, caporal maggiore di 39 anni;
– Ugo Botti di Reggio Emilia, di 26 anni;
– Carlo Cantarelli di Gattatico, caporal maggiore di 46 anni;
– Livio Corradini di 17 anni;
– Pasquale Da Grava di Correggio, caporal maggiore di 43 anni;
– Carlo Ferretti “Rampein” di Reggio Emilia, di 23 anni, sergente maggiore;
– Vincenzo Fiaccadori di Reggio Emilia, caporal maggiore di 46 anni;
– Angelo Gallingani di Sant’Ilario, caporal maggiore di 48 anni, rinvenuto con la testa mozzata;
– Luigi Gallingani di 16 anni, figlio di Angelo Gallingani;
– Luciano Gibertini di Reggio Emilia, di 16 anni;
– Gaetano Giovanardi di Bagnacavallo (Ravenna), di 21 anni, sottotenente e comandante del distaccamento di Montecchio;
– Ulderico Manghi di Reggio Emilia, di 22 anni;
– William Onesti di Reggio Emilia, di 16 anni;
– Ettore Rocca di Ciano d’Enza, caporal maggiore di 46 anni;
– Marco Vezzani di Reggio Emilia, di 36 anni.
– Paolina Viappiani di Bibbiano, di 22 anni.
– Maria Spaggiari di Montecchio, di 29 anni.
– Lina Giroldini.
– Armando Giroldini.
– Umberto Giampietri.
– Mario Tedeschi, di Bibbiano.

In realtà queste persone hanno una “colpa”: sono passate nel “carcere partigiano”, hanno subito o visto ogni genere di efferatezze perpetrate dagli “eroi del popolo” nei confronti di prigionieri inermi. I comandi partigiani sanno che gli americani stanno per arrivare sulla montagna reggiana e presumibilmente ordinano di fare “pulizia”, nessuno deve sopravvivere e poter testimoniare il vero volto della “resistenza” attuata dai comunisti.
Il numero di dispersi nell’aprile/maggio ’45 ci conferma che in molti casi la pulizia è stata così minuziosa che ancora oggi troppe famiglie non hanno una tomba su cui piangere.

Ma la storia non finisce qui, visto che come abbiamo visto la memoria di questa strage sopravvive.
Il 12 luglio del 46 il giornale delle Fiamme Verdi, “La Nuova Penna”, rivela l’esistenza di due fosse comuni clandestine a Cernaieto, con 24 cadaveri. (Uno dei redattori sarà assassinato dopo poco e guarda il caso negli anni 70 tutte le copie del giornale spariranno dalle biblioteche reggiane)
Il 16 ottobre 1946 la Prefettura ordina di scavare e vengono alla luce 21 salme. (2 erano state esumate precedentemente)
Negli anni 60 avviene uno strano furto presso la locale chiesa di Pianzo: sparisce il Liber Mortuorum, che conteneva notizie sugli accadimenti del Cernaieto.
Qualcuno si assicura che non ci siano prove. Spariscono anche i referti medici delle autopsie avvenute dopo le riesumazioni, forse “qualcuno” non vuole che si conoscano le condizioni dei cadaveri: si parla di amputazioni agli arti inferiori, di morsi da vacca ficcati in bocca, di una testa mancante.

Nel 2006 viene eretta una croce a ricordo delle vittime: verrà tagliata, bruciata, abbattuta per 7 volte, l’ultima nel 2009. Ancora nel 2010 e 2011 i monumenti saranno vandalizzati, fracassati.

A chi volesse approfondire consiglio caldamente il libro “Cernaieto. La strage, la croce e il femminicidio di Paolina”, scritto da Fabio Filippi e Pierluigi Ghiggini. Lo trovate alla libreria del Teatro (RE).