Tempi duri per Petro Poroshenko. Il primo turno delle elezioni locali del 25 ottobre ha rilanciato i partiti d’opposizione e dai ballottaggi di domenica 15 novembre è attesa in sostanza la conferma che la popolarità del capo di stato ucraino è in discesa e fra i maggiori centri solo la capitale Kiev rimarrà sotto il controllo presidenziale.
Se la formazione del premier Arseni Yatseniuk non si è nemmeno presentata alle urne per il rischio di fare una figuraccia, il governo è lacerato da faide senza esclusione di colpi, tanto che a Kiev qualcuno ventila l’ipotesi di elezioni politiche anticipate già la prossima primavera. La guerra tra oligarchi, che ha raggiunto per ora l’apice con l’arresto di Gennady Korban, fedelissimo del magnate Igor Kolomoisky, ha aumentato inoltre l’instabilità politica interna alla vigilia di appuntamenti fondamentali come le modifiche costituzionali e l’approvazione definitiva in parlamento della legge sull’autonomia del Donbass prevista a dicembre.
La situazione nel Sudest del Paese è in larga parte sotto controllo, ma la tregua è stata rotta negli ultimi giorni da alcuni incidenti e sul processo di pacificazione stabilito con gli accordi di Minsk pende ancora la spada di Damocle. L’anno in corso segnerà al suo termine un nuovo record negativo per l’economia del Paese, con un crollo del pil verso il 9% e i leggeri segnali di stabilizzazione nel secondo semestre del 2015 non bastano per rendere ottimisti Poroshenko e Yatseniuk, che tra le varie gatte da pelare hanno ancora la questione della ristrutturazione del debito aperta con la Russia. Quindi se l’autunno caldo a Kiev è già iniziato, la prospettiva è quella di un inverno ancora più incandescente.
ELEZIONI E CAOS AL GOVERNO
A Poroshenko non rimane che Kiev. Nella capitale il nuovo-vecchio sindaco sarà con grande probabilità Vitaly Klitschko, alleato del presidente già dallo scorso anno quando il popolarissimo ex pugile campione del mondo dei pesi massimi si era ritirato dalla corsa per le presidenziali lasciando via libera all’oligarca che si era schierato con l’opposizione durante Euromaidan ricevendo in cambio la poltrona di borgomastro.
Nel resto del Paese alla fine ottobre sono stati emessi però già i primi verdetti, per nulla favorevoli al capo dello stato. A Kharkiv, seconda città ucraina a pochi chilometri dal confine con la Russia, è stato eletto sindaco Gennady Kernes, ex alleato di Yanukovich ora sostenuto da Igor Kolomoisky e dal suo nuovo partito Rinascita. A Odessa ha vinto al primo turno Gennady Trukhanov, lasciando poco spazio a Sasha Borovik, delfino del governatore filopresidenziale Mikhail Saakashvili – l’ex presidente georgiano – presentatosi nelle liste del partito di Poroshenko. A Dnipropetrovsk il duello domenica è tra i candidati oligarchici Boris Filatov e Olexandr Vilkul: il primo nella squadra di Kolomoisky, il secondo in quella di Rinat Akhmetov, il Blocco d’opposizione. Anche a Leopoli, capoluogo dei Carpazi i giochi sono già fatti e il ballottaggio dovrebbe essere solo una formalità per Andrei Sadovy. Il leader di Samopomich (Autoaiuto), alleato di Poroshenko e Yatseniuk al governo, non ha escluso di pensare a un forte rimescolamento di carte a Kiev dopo le elezioni, minacciando di andare all’opposizione, dove è già finito il nazionalista Oleg Lyashko con il suo Partito radicale.
Il governo di Yatseniuk dovrà insomma fare nelle prossime settimane altri miracoli, oltre a un consistente rimpasto annunciato da tempo e non ancora realizzato, se vorrà superare l’inverno ed evitare quello che l’opposizione degli eredi di Victor Yanukovich vuole, cioè elezioni politiche anticipate.
IL NODO DEL DONBASS
Il banco di prova sarà quello di dicembre e della votazione finale sulle modifiche costituzionali e la legge sull’autonomia del Donbass, rimandata a settembre perché al governo è mancata la maggioranza dei due terzi dopo le defezioni di Sadovy e Lyashko. Poroshenko e Yatseniuk continuano a dirsi fiduciosi, sostenuti dall’unica donna del quintetto di governo, Yulia Tymoshenko, che ha ripetuto che il governo attuale non cadrà, almeno sino a che ci sarà la minaccia della ripresa della guerra nel Sudest.
La tregua nel Donbass, avviata dall’inizio di settembre, ha tenuto molto bene, anche se negli ultimi giorni sono arrivati segnali di irrequietezza. Un soldato ucraino è morto e tre sono stati feriti nelle ultime 24 ore. L’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e lo sviluppo in Europa, che monitora l’implementazione dei punti dell’accordo di Minsk sul terreno, ha invitato entrambe le parti al rispetto del cessate il fuoco, rotto più volte nelle vicinanze delle roccaforti separatiste. Dopo quasi due mesi di calma piatta le armi pesanti si sono fatte sentire durante l’ultima settimana dalle parti di Staromykhailivka, Krasnohorivka e nei pressi di Donetsk. Lo stesso ministro degli Esteri ucraino Pavlo Klimkin ha dichiarato oggi che la pace è sempre a rischio. Il destino del Donbass, nei cui territori occupati il voto è stato rimandato al prossimo febbraio, è insomma ancora appeso a un filo. Se in teoria l’intesa di Minsk avrebbe dovuto essere soddisfatta in toto entro la fine del 2015, il termine è slittato in realtà a data da destinarsi.
L’ECONOMIA ALLO SBANDO
Al quadro politico traballante si affianca quello economico altrettanto complicato. I problemi elettorali di Poroshenko e Yatseniuk sono dovuti in parte anche alla delusione dell’elettorato che dopo la rivoluzione avviata quasi due anni fa con le proteste di fine novembre 2013 contro Yanukovich ha visto il Paese sprofondare nella guerra e nella recessione. Nel primo semestre del 2015 il pil ucraino è crollato del 15,8%, mezzo punto oltre il record raggiunto nella crisi del 2009, e l’anno si chiuderà complessivamente con un segno negativo di circa il 9%.
Il governo ha approvato alcune riforme richieste dal Fondo monetario internazionale per l’avvio di un programma di aiuti di 40 miliardi di dollari in 4 anni. Ma se il default è stato per ora evitato, e i buchi tamponati, raggiungendo una certa stabilità, tanto che per il 2016 è prevista una crescita del 2%, il processo di riforme è ancora allo stato embrionale. Su di esso pesano le difficoltà politiche e i meccanismi oligarchici, oltre che la piaga della corruzione endemica e dilagante.
Ancora da risolvere è inoltre il conto aperto con Mosca per i 3 miliardi di debiti che Kiev ha nei confronti del Cremlino. La questione della ristrutturazione del debito è sul versante russo da chiarire e oggi il premier Yatseniuk ha affermato che Kiev potrebbe imporre una moratoria sui pagamenti se non venisse raggiunto l’accordo.
ASKANEWS