Smantellata rete di al Qaeda in Italia. Ipotesi di attentato in Vaticano

L’organizzazione legata ad Al Qaeda smantellata dalla polizia aveva programmato diversi attentati in Italia e tra gli obiettivi possibili era stato individuato anche il Vaticano. E’ quanto emerso – ha spiegato il capo della procura della Repubblica di Cagliari, Mauro Mura, che ha coordinato le indagini – dalle intercettazioni telefoniche eseguite dagli inquirenti che hanno smantellato le rete di presunti terroristi. Il magistrato ha pero’ anche precisato che la circostanza non al momento “oggetto di contestazione” nei confronti degli arrestati.

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La Polizia di Stato sta effettuando da ore in sette province italiane una vasta operazione nei confronti di appartenenti ad un’organizzazione terroristica internazionale affiliata ad Al Qaeda. La base operativa del network terroristico si trovava in Sardegna.

L’indagine, diretta dalla procura distrettuale di Cagliari e coordinata dal Servizio centrale antiterrorismo (Sca) della Direzione centrale della polizia di prevenzione, coinvolge le Digos di sette province italiane.

Sono 18 le ordinanze di custodia cautelare disposte nell’ambito dell’inchiesta. Emerse anche intercettazioni dalle quali risulta che due membri dell’organizzazione hanno fatto parte della rete di fiancheggiatori che in Pakistan proteggevano lo sceicco Osama Bin Laden.

Alcuni degli indagati sono responsabili di numerosi e sanguinari atti di terrorismo e sabotaggio in Pakistan, compresa la strage nel mercato cittadino Meena Bazar in Peshawar il 28 ottobre del 2009, dove un’esplosione uccise piu’ di cento persone. Ad accertarlo sono stati gli investigatori del Servizio centrale antiterrorismo della polizia di prevenzione e della Digos di Sassari.

Le ordinanze di custodia sono a carico di appartenenti ad “un’organizzazione dedita ad attivita’ criminali transazionali, che si ispirava ad Al Qaeda e alle altre formazioni di matrice radicale sposando la lotta armata contro l’Occidente e il progetto di insurrezione contro l’attuale governo in Pakistan”.

L’organizzazione terroristica aveva a disposizione “armi in abbondanza” e “numerosi fedeli disposti a compiere atti di terrorismo in Pakistan ed Afghanistan, per poi rientrare in Italia”.

La strategia degli atti terroristici compiuti – spiegano gli investigatori – era quella di “intimidire la popolazione locale e di costringere il governo pachistano a rinunciare al contrasto alle milizie talebane e al sostegno delle forze militari americane in Afghanistan”.

La rete dei fondamentalisti trafficava migranti – L’organizzazione terroristica smantellata dalla Polizia di Stato provvedeva ad alimentare la rete criminale destinando una parte del proprio impegno al fenomeno dell’introduzione illegale sul territorio nazionale di cittadini pachistani o afgani che in taluni casi venivano anche smistati in alcuni Paesi del nord Europa. Per eludere la normativa che disciplina l’ingresso o la permanenza sul territorio nazionale di cittadini extracomunitari – spiegano gli investigatori – gli indagati utilizzavano sistemi semplici e collaudati. In alcuni casi facevano ricorso a contratti di lavoro con imprenditori compiacenti in modo da poter ottenere i visti di ingresso.

In altri percorrevano la via dell’asilo politico facendo passare gli interessati, attraverso documenti falsi e attestazioni fraudolente, per vittime di persecuzioni etniche o religiose. L’organizzazione forniva supporto logistico e finanziario ai clandestini, assicurando loro patrocinio verso i competenti uffici immigrazione, istruzioni sulle dichiarazioni da rendere per ottenere l’asilo politico, apparecchi telefonici e sim, contatti personali.

Imam raccoglieva fondi in Italia – Il ruolo principale nell’organizzazione era ricoperto da un dirigente del movimento pietistico “Tabligh Eddawa” (“Societa’ della Propaganda”). L’uomo, forte della sua autorita’ religiosa di Imam e formatore coranico, operante tra Brescia e Bergamo, stimolava la raccolta di fondi, presso le comunita’ pakistano-afghane, radicate nel nostro territorio. E’ quanto emerge dalle indagini condotte dalla Polizia di Stato, secondo cui i fondi venivano inviati in Pakistan mediante membri dell’organizzazione che aggiravano i sistemi di controllo sull’esportazione doganale di denaro.

In un caso e’ stato riscontrato il trasferimento di 55.268 euro mediante un volo per Islamabad in partenza da Roma Fiumicino, omettendo di farne dichiarazione di possesso alle autorita’ doganali. Piu’ di frequente pero’ era utilizzato il sistema cosiddetto “hawala”. Si tratta di un meccanismo di trasferimento valutario e occulto, basato sul legame fiduciario diffuso nelle comunita’ islamiche europee. Tale sistema consente di trasferire una somma di denaro all’estero consegnandola ad un terminale presente nello Stato estero, detto “hawaladar”, che fornisce un codice identificativo segreto. I beneficiari della rimessa, tramite tale codice, possono prelevare la somma presso l'”hawaladar” della sede di destinazione. agi