L’insospettabile (e inenarrabile) microcosmo delle ambasciate

Un dettaglio della copertina del libro. Si riconosce (?!?) l'autore
Un dettaglio della copertina del libro. Si riconosce (?!?) l’autore

Valerio Parmigiani
Bestiario diplomatico
Casa editrice Effepi

Un ex diplomatico con incarichi trascorsi nelle ambasciate italiane di Cipro e Zambia racconta, con una scrittura percorsa da una continua vena ironica, il “dietro le quinte” del mondo della diplomazia. Un mondo dove, è proprio il caso di dirlo, non è tutto oro quel che luccica. Feste e ricevimenti spesso organizzati con pochi spiccioli, ambasciatori megalomani e irascibili, ministri in visita che sanno poco o nulla del Paese in cui si trovano, leggi demenziali e disorganizzazione cronica. Il tutto condito da una miriade di personaggi minori, spesso involontariamente esilaranti, situazioni tragicomiche e un excursus su usi, costumi e “stravaganze” dei Paesi in cui si è trovato a operare.


INTERVISTA A VALERIO PARMIGIANI, LUNEDI’ 30 MARZO 2015 (a cura di Luca Balduzzi)

Quale universo si può nascondere dietro ai cancelli di ingresso di un’ambasciata?
Un vero e proprio universo parallelo, a cui -come scrivo nell’incipit di un capitolo- non c’è modo di arrivare preparati. Nemmeno per gli addetti ai lavori: figuriamoci per i “profani”. La metafora più esplicativa resta per me quella ben nota della “rana nella pentola”. Se fosse immersa nell’acqua bollente, la poveretta balzerebbe subito fuori terrorizzata. Basta però fare in modo che, all’inizio, l’acqua sia tiepida perché si metta a nuotare tranquillamente, e quando la temperatura salirà non avrà più la forza di reagire. Lo stesso credo che accada in po’ in tutti gli ambienti che ci appaiono similmente permeati di autoreferenziale burocratismo: i loro abitanti vi si sono adattati poco alla volta, in forza di una specie di istinto di sopravvivenza, tanto che ad un certo punto non sono più in grado di rendersi conto del carattere grottesco di molte situazioni. Non è con loro che me la prendo, ma con chi -per le proprie finalità di bassa cucina- ha creato i presupposti perché ciò avvenisse.

Uno (o uno per paese) episodio che li potrebbe sintetizzare tutti…
Naturalmente è difficilissimo fare una selezione. Dovendo proprio scegliere, citerei la sfilata di moda (inconsapevolmente) organizzata in puro stile felliniano presso la residenza del mio ambasciatore a Cipro e “lo strano caso del porno-geologo valtellinese” in trasferta in terra zambiana. Non voglio anticiparne i dettagli, ma in entrambi i casi, come in numerosissimi altri narrati nel libro, ho avuto la netta sensazione di trovarmi in una specie di gigantesca “candid camera” di cui gli ideatori avevano perso il controllo. O in una cattiva -perché troppo inverosimile- sceneggiatura di un film senza troppe pretese, di quelli che negli anni ’70 si giravano a Cinecittà con due lire, lasciando molto spazio all’improvvisazione dei protagonisti.

È difficile essere creduti quando si racconta tutto questo alla famiglia e agli amici? Che magari ti invidiano anche, perché fai un lavoro per cui si viaggia molto…
No, non è difficile. È proprio impossibile. Nell’immaginario collettivo i diplomatici non solo sono sempre intenti a tessere misteriose trame mentre si muovono a tempo di valzer in uno scenario da film della Principessa Sissi, ma sono anche dei membri della casta che beneficiano di un sacco di privilegi ingiustificati. Sapevo che non avrei potuto convincere amici e parenti di quello che si nascondeva dietro la facciata senza scriverci un libro, anzi due. Ed è proprio quello che fatto.

Potrebbe succedere così dappertutto, o sei tu ad essere stato particolarmente (s)fortunato a ritrovarti in quei due paesi?
Il Ministero è una grande portineria, dove tutti sanno tutto di tutti. Confrontandomi con i colleghi è stato dunque facile ricavare l’impressione di quanto le situazioni che stavo vivendo fossero generalizzate. Ciò non scalfisce, tuttavia, la mia convinzione di conservare un debito con la sorte nella lotteria a cui mi sono stati assegnati i capi-missione. Ne ho avuti quattro, e ripensandoci a posteriori il “meno peggio” è stato l’ultimo. Ma mi basta ripensare alle sue urla che echeggiavano nei corridoi, o alla serata nazional-popolare in cui ci ha coinvolti in un karaoke collettivo al ritmo della pianola Bontempi suonata dal cancelliere contabile, per avere -se mai ce ne fosse bisogno- la conferma di quanto la mia decisione di abbandonare la nave sia stata una scelta quasi obbligata.

Quando hai cominciato a pensare di volerti “autoesodare” dal mondo della diplomazia?
Non potrei identificare un momento o un periodo particolare in cui sia subentrata la disillusione necessaria a compiere il grande passo, se è questo che intendi. Che cosa mi aspettasse, del resto, fu inequivocabilmente chiaro fin dalla data della prima convocazione a Roma per firmare i verbali di assunzione: il 31 dicembre, un giovedì a cui sarebbero seguiti tre giorni festivi. Poco dopo mezzogiorno avevano già rilasciato gli ostaggi, ma a quell’epoca l’alta velocità non esisteva ancora e riuscii a tornare a Milano appena in tempo per evitare di essere travolto dalla tradizionale guerriglia di Capodanno. Alle ragioni che mi hanno condotto a tale scelta, comunque, è dedicato l’ultimo capitolo. Esse trovano un fondamento teorico soprattutto nella teoria della decrescita e nel concetto di «scollocamento», andando dunque ben oltre quell’incompatibilità con l’ambiente che, pur essendosi progressivamente chiarita ed evidenziata nel corso degli anni, per quanto mi riguarda non costituisce il movente più interessante del “gran rifiuto”. Dietro al quale non intravedo alcuna viltade, quanto invece la sfida più ardua che riesca a immaginare riguardo al rapporto con il lavoro. Al di là delle numerose amenità che ho raccontato intorno al mondo della diplomazia, credo che sia proprio questo lo spunto di riflessione più stimolante che intendo offrire nel libro.

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