Un lungo coraggioso articolo del settimanale tedesco Der Spiegel affronta il tema del passato nazista della Germania e dei sempre più aperti riferimenti al ritorno di un quarto Reich. Dopo una rassegna del dibattito nei vari paesi europei (Italia inclusa), lo Spiegel sembra riconoscere che, attraverso l’euro, la Germania sta effettivamente rivivendo la sua antica tendenza all’egemonia, questa volta economica, per la quale però le mancherebbe, strutturalmente, la necessaria grandezza e magnanimità… VOCI DALL’ESTERO
di Der Spiegel, 23 marzo 2015
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, un ritorno del dominio tedesco sull’Europa sembrava impossibile. Eppure la crisi dell’euro ha trasformato la Germania in un “egemone riluttante”, e i paragoni con il nazismo sono diventati dilaganti. E’ giusto farli?
Il 30 maggio 1941 è stato il giorno in cui Manolis Glezos si prese gioco di Adolf Hitler. Lui e un suo amico penetrarono nell’acropoli di Atene fino all’asta della bandiera su cui sventolava una gigantesca svastica. I tedeschi avevano alzato quello stendardo quattro settimane prima, nel momento in cui avevano occupato il paese, ma Glezos tirò giù l’odiata bandiera e la fece a pezzi. Il gesto l’ha reso un eroe. A quel tempo Glezos era un combattente della Resistenza. Oggi, il quasi 93-enne è membro del Parlamento Europeo per Syriza, il partito che governa in Grecia. Seduto nel suo ufficio di Bruxelles, al terzo piano dell’edificio intitolato a Willy Brandt, racconta la storia della sua battaglia contro i nazisti di un tempo e contro i tedeschi di oggi. I capelli bianchi di Glezos sono arruffati e spettinati, dandogli l’aspetto di un attempato Che Guevara. Le rughe sul suo viso conservano le tracce di un secolo d’Europa.
All’inizio combattè contro i fascisti italiani, in seguito prese le armi contro la Wehrmacht tedesca, la forza militare nazista di allora. Poi ancora diede battaglia alla dittatura militare greca. Fu spedito più volte in prigione, e passò in totale quasi 12 anni dietro le sbarre, un periodo che trascorse scrivendo poesie. Quando fu rilasciato, si unì nuovamente alla lotta. “Quel tempo è ancora ben vivo in me” dice.
Glezos sa cosa può significare quando i tedeschi combattono per il predominio in Europa, e dice che è quanto sta succedendo di nuovo adesso. Stavolta però non sono i soldati a stringere la morsa che sta soffocando la Grecia, dice, ma gli imprenditori e i politici. “Il capitale tedesco domina l’Europa e trae profitto dalla miseria della Grecia”, dice Glezos. “Ma non ci servono i vostri soldi.”
Ai suoi occhi, il presente della Germania è direttamente collegato al suo orribile passato, sebbene egli sottolinei che non si sta riferendo al popolo tedesco, ma alla classe dirigente di quel paese. La Germania, per lui, oggi è di nuovo un aggressore: “Le sue relazioni con la Grecia sono paragonabili a quelle tra un tiranno e i suoi schiavi.”
Glezos ricorda un testo scritto da Joseph Goebbels, nel quale il Ministro della Propaganda tedesco rifletteva sul futuro dell’Europa sotto la dominazione tedesca. E’ intitolato “L’anno 2000“. “Goebbels si sbagliava di soli 10 anni” dice Glezos, dato che è nel 2010, durante la crisi finanziaria, che è iniziata la dominazione tedesca.
Per molto tempo sono stati innanzitutto i tedeschi ad essere ossessionati dal passato nazista del loro paese, ma recentemente l’ossessione si è trasmessa anche altri paesi europei. La Cancelliera Angela Merkel rappresentata con i baffetti di Hitler, i carri armati tedeschi diretti a sud: c’è stata una marea di caricature del genere in Grecia, Spagna, Gran Bretagna, Polonia, Italia e Portogallo, nelle ultime settimane e negli ultimi anni. I simboli nazisti sono diventati la prassi delle manifestazioni anti-austerità.
La gente ha iniziato a parlare di “Quarto Reich”, in riferimento al Terzo Reich di Adolf Hitler. Può suonare assurdo, dato che la Germania di oggi è una democrazia compiuta, senza alcuna traccia di nazionalsocialismo – e dato che nessuno assocerebbe davvero la Merkel al nazismo. Ma una riflessione più attenta sulla parola “Reich”, ovvero impero, potrebbe non essere del tutto fuori luogo. La parola fa riferimento al dominio, con un potere centrale che esercita un controllo su molti popoli diversi. Secondo questa definizione, è proprio sbagliato parlare di un Reich Tedesco in campo economico?
Un’ombra sul presente
Il Primo Ministro greco Alexis Tsipras di certo non ha l’impressione di essere libero di poter guidare le politiche del proprio paese come vorrebbe. Questo lunedì sarà a Berlino per un incontro con la cancelliera tedesca, e il passato nazionalsocialista della Germania sarà un argomento della conversazione. La Grecia sta chiedendo che la Germania paghi le riparazioni per i crimini nazisti di guerra perpetrati contro il paese ellenico durante la Seconda Guerra Mondiale. Queste richieste, certo, hanno più a che fare con la disperazione di un governo che finora ha agito con un notevole livello di dilettantismo. Ma sarebbe un errore credere che il passato della Germania non conti più niente. Sempre di più, invece, sta gettando la sua ombra sul presente.
Una pesante accusa è stata rivolta alla Germania – da alcuni commentatori in Grecia, in Spagna e in Francia, ma anche in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. La crisi dell’euro, sostengono certi politici, giornalisti ed economisti, ha permesso alla Germania di dominare l’Europa del sud e di soffocarla imponendo le proprie regole, anche se la sua politica delle esportazioni le ha permesso di trarre profitto da quella stessa crisi della moneta unica, più di qualsiasi altro paese. L’immagine della Germania, in certi paesi, è diventata quella di un egoistico occupante economico, fiancheggiato dagli altri paesi più piccoli del Nord Europa dello stesso stampo.
Le accuse vengono innanzitutto dagli opinionisti dei paesi che hanno sofferto anni di disoccupazione di massa, e in cui la rabbia è tangibile, ed è questo il motivo per cui ritornano i demoni del passato della Germania. Non sorprende che coloro che ora stanno soffrendo un’umiliazione chiedano il pagamento dei debiti del passato. La colpa storica della Germania viene ora brandita, da chi non ha potere, come un’arma per fare rumore ed essere ascoltati.
I sondaggi all’estero, certo, mostrano che i tedeschi sono largamente rispettati negli altri paesi. Ma nell’Europa di oggi la gente ci mette comunque poco a gridare al nazismo, quando la politica tedesca diventa scomoda.
Le accuse contro il governo tedesco seguono una strana dialettica: la Germania domina, dicono, ma non guida. È un paese egemone, ma di un’egemonia debole. Anche questo però ci riporta alla Storia. Nel suo libro del 1987, “Da Bismarck a Hitler“, lo storico Sebastian Haffner ha scritto che la Germania, alla fine del secolo, aveva una “dimensione scomoda”. Era, diceva l’autore, al tempo stesso troppo grande e troppo piccola. Questo può essere di nuovo vero.
Come appare, dunque, il ruolo della Germania in Europa quando viene vista da fuori? E quando viene vista da dentro?
“I carri armati di un tempo”. Vicino alla Borsa di Milano, non lontano da dove una scultura di 11 metri che rappresenta un dito medio offre il suo singolare commento al declino dell’alta finanza, si trova il quartier generale del quotidiano Il Giornale. Lì, proprio nello stesso ufficio che una volta fu usato dal noto giornalista e scrittore italiano Indro Montanelli, siede ora Vittorio Feltri. A settantuno anni, Feltri è stato giornalista per più di mezzo secolo per il Corriere della Sera e per altri giornali. Lo scorso hanno ha pubblicato un libro notevole, assieme ad un altro giornalista di tutto rispetto, Gennaro Sangiuliano, vicedirettore del Tg1. Il titolo del libro è: “Il Quarto Reich: come la Germania ha sottomesso l’Europa“.
Non sono dunque solo dei dimostranti disperati e radicali a fare dei confronti con il passato. Spesso anche dei rispettabili intellettuali, e cittadini liberi da preoccupazioni finanziarie, come Feltri e Sangiuliano, fanno lo stesso.
I due autori vedono l’euro come un mezzo usato per i fini tedeschi, e scrivono che la moneta unica ricorda “bene o male” le “divisioni corazzate di un tempo”. L’euro, dicono, serve ad assicurare che i territori siano sotto il controllo tedesco. E la Corte Costituzionale Tedesca? “Sembra un’arma della Wehrmacht”. I due scrivono della cancelliera “Merkiavelli, nel suo pretenzioso quartier generale, il ‘Kohlosseum’”, e dicono che sta ora completando quel piano che Hitler non era riuscito a realizzare. Il libro, dice Feltri, ha un intento polemico che vuole sottolineare la “inadeguatezza della moneta unica da cui la sola Germania sta traendo profitto”.
Una larga parte della classe politica italiana condivide l’idea di Feltri. Lo scorso anno il socialdemocratico Romano Prodi, ex presidente della Commissione Europea, aveva sollevato un certo scandalo pubblicando un saggio sul settimanale italiano L’Espresso. “In Germania, i sentimenti populisti e nazionalisti sono rappresentati dalla Merkel” aveva scritto. “Ma a Bruxelles, negli anni recenti, un solo paese ha stabilito la direzione. La Germania ha pure pensato bene di impartire agli altri delle inaccettabili lezioni morali”.
Mentre il Primo Ministro italiano Matteo Renzi è attento ad enfatizzare la sua vicinanza alla Germania, i toni radicali provengono da destra. L’esperto sulla Germania, Luigi Reitani, lo scorso anno durante una conferenza ha detto che alcuni, in Italia, hanno iniziato a tracciare “una linea che parte dalle invasioni barbariche, passa da Bismarck e da Hitler, e arriva alla Merkel”.
Delle cose simili si sentono in Francia. Arnaud Montebourg, che sarebbe poi diventato Ministro dell’Economia, nel 2011 ha detto che “Bismarck unì i principati tedeschi al fine di comandare sull’Europa e, in particolare, sulla Francia. In un modo terribilmente simile, Angela Merkel sta cercando di risolvere i suoi problemi interni rifilando al resto d’Europa quell’ordine economico e finanziario a cui aderiscono i conservatori tedeschi”. In altre parole, le vecchie politiche espansionistiche tedesche sarebbero tornate nel campo dell’economia.
“Il sangue della nostra gente”.
Probabilmente la più grande paura per un’egemonia tedesca in Europa è sentita in Francia, che è stata almeno parzialmente occupata dai suoi vicini per tre volte nel giro di 80 anni. Negli anni recenti la “germanofobia” è cresciuta enormemente in tutto lo spettro politico, dal Front National fino all’ala sinistra del Partito Socialista attualmente al governo. Ciò è servito in parte per distrarre l’attenzione dai fallimenti dei leader politici nell’implementare le riforme, ma si tratta comunque di sentimenti che devono essere presi sul serio.
L’intellettuale francese di sinistra Emmanuel Todd ha avvertito che la Germania sta “perseguendo sempre di più delle politiche di potere e di espansione nascosta”. L’Europa, dice, viene governata dalla Germania che, nel passato, ha sempre fluttuato tra la ragionevolezza e la megalomania. Fin dalla riunificazione, dice Todd, la Germania ha portato un’area enorme dell’Europa dell’est sotto il proprio controllo, una regione che era precedentemente sotto l’influenza sovietica, e l’ha usata per i propri fini economici.
Ad Atene, in un edificio del Ministero della Cultura, Nikos Xydakis, viceministro alla cultura, esprime le stesse opinioni.
“È come se il mio paese stesse soffrendo le conseguenze di una guerra” dice. Le politiche europee del risparmio hanno rovinato la Grecia, dice: “Abbiamo perso un quarto del nostro prodotto interno lordo, e un quarto della popolazione è disoccupato”. Inoltre, dice, la Grecia non ha chiesto i prestiti di emergenza, ma è stata costretta a prenderli, insieme al programma di taglio alla spesa. “Ora li stiamo pagando col sangue della nostra gente”.
La Germania, dice, è diventata troppo potente in Europa. E’ il paese leader, ammette, sia politicamente che economicamente. “Ma quelli che vogliono essere leader devono anche comportarsi come tali”. La Germania, dice, dovrebbe essere più generosa, e smetterla di vedere i paesi più deboli dell’Europa come inferiori.
Xydakis dice che deve pagare l’affitto per il propri ufficio, da quando l’edificio è stato venduto per ripagare i debiti di Atene. “Mi sento come se fossi a Lipsia o a Dresda sotto una pioggia di bombe”. La sola differenza, dice, è che le bombe oggi vengono mascherate da misure per il risparmio.
Per lui – così come per quasi tutti i critici della politica tedesca – c’è una sola parola al centro delle proteste: austerità. Si riferisce alle politiche di parsimonia, un concetto che in Germania ha una connotazione positiva. Ma nei paesi europei colpiti più duramente dalla crisi del debito, questa parola significa solo una politica desolante di deprivazioni imposte dall’esterno. La Germania non sta solo esportando le proprie merci; sta anche esportando le proprie regole.
Una politica commerciale aggressiva? Le merci, a dire il vero, vengono vendute senza alcuna forma di coercizione. All’Europa piacciono i prodotti tedeschi, e il surplus commerciale di Berlino nel 2014 è arrivato al 7 percento del PIL tedesco. Un surplus commerciale significa che la Germania, quando commercia con gli altri paesi, riceve più denaro di quanto ne spenda per comprare i loro prodotti. La differenza spesso esce nuovamente dalla Germania, sotto forma della cosiddetta esportazione di capitali. In altre parole, le banche tedesche prestano denaro alle imprese degli altri paesi in modo che questi ultimi possano comprare prodotti tedeschi.
Dall’inizio del nuovo millennio ad oggi, il surplus commerciale tedesco è quasi quadruplicato, e ha ora raggiunto i 217 miliardi di euro. Con la sola Francia c’è stato un surplus di 30 miliardi di euro nel 2014. Nonostante le esportazioni verso gli altri paesi membri dell’eurozona siano crollate in seguito alla crisi, nessun altro paese al mondo ha un surplus commerciale della dimensione di quello tedesco. Perché è accaduto? Forse a causa di una politica commerciale aggressiva ?
L’economista tedesco Henrik Enderlein non è un dogmatico e non vede il mondo da un punto di vista nazionale. Professore di politica economica alla Hertie School of Governance di Berlino, Enderlein ha studiato sia in Francia che negli USA, ha lavorato alla Banca Centrale Europea (BCE) e ha insegnato ad Harvard. È consigliere economico dei Socialdemocratici tedeschi, e suo padre è stato un politico liberaldemocratico, del partito vicino al mondo degli affari. “Il fatto che la Germania oggi abbia il più grande surplus commerciale del mondo ha una sola ragione” dice. “Dopo l’introduzione dell’euro non abbiamo avuto altra scelta che diventare più competitivi. Ma è assurdo pensare che la Germania lo abbia fatto al fine di fare del male agli altri paesi“.
Enderlein ritiene che la Germania non ha consapevolmente lottato per ottnere la sua attuale posizione, ma che ciò è avvenuto come conseguenza della struttura dell’eurozona. Ritiene anche che la BCE sia parzialmente responsabile, dato che negli anni subito dopo il 1999, quando è stato introdotto l’euro, il tasso d’interesse primario è stato mantenuto tra il 3 e il 4 percento. Per i paesi dell’Europa del sud era troppo basso, e ciò ha portato ad un boom, con un conseguente rapido aumento di prezzi e salari. Per la Germania, d’altro canto, questo tasso d’interesse era troppo alto e gli imprenditori non hanno avuto altra scelta che tenere bassi i salari in modo da preservare la convenienza dei propri prodotti. A prima vista questa non sembra una politica aggressiva, ma i paesi dell’Europa del sud si sono lamentati che la Germania ha fatto “dumping salariale”, ovvero ha mantenuto artificialmente bassi i salari al proprio interno.
La resistenza opposta all’aumento dei salari ha portato alla crescita della Germania, alla fiducia, e di conseguenza al potere. Quando Angela Merkel va a Bruxelles, lo fa da leader dell’economia che è di gran lunga la più forte dell’eurozona. Le politiche sulle quali non è d’accordo, non passano. Il potere in sé non è una brutta cosa, quando quelli che lo possiedono lo usano saggiamente. Ma lo stanno facendo?
La Germania ha cambiato registro. Sta usando un tono che non si attiene più ai nobili costumi della diplomazia. Il sussurro, il suggerimento e l’accenno sono stati rimpiazzati dall’invettiva e dall’impeto furioso.
Questo è il tono che sembra uscire dalla bocca del Ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble. Della Grecia ha detto che “un paese che per un decennio ha sofferto e ha vissuto molto al di sopra dei propri mezzi a causa del fallimento della sua élite – non a causa dell’Europa, non a causa di Bruxelles o di Berlino, ma esclusivamente a causa del fallimento della sua élite – deve ritornare alla realtà. E quando i responsabili del paese mentono alla loro gente, non sorprende che la gente reagisca come ha reagito”. Ha fatto questo commento lunedì scorso, in un evento ospitato dalla fondazione di centro-destra Konrad Adenauer Stiftung.
Trionfalismo
Il giorno prima, il Ministro delle Finanze bavarese Markus Söder ha parlato in modo analogamente aggressivo in un talk show tedesco con il Ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis. Non ha perso una sola opportunità per esaltare la forza economica e finanziaria della Baviera.
Volker Kauder, il capogruppo dei conservatori al Parlamento tedesco, è stato autore di un esempio particolarmente trionfalistico di questo nuovo tono, espresso già nel 2011. Ad un convegno del partito dei Cristiano-democratici (CDU) della Merkel, a Lipsia, Kauder ha detto, durante il suo discorso: “All’improvviso in Europa si parla tedesco“. Sebbene i membri della CDU abbiano apprezzato questa affermazione, la stessa non è stata ben accolta altrove, e Kauder ora dice che non la ripeterebbe.
La Merkel, certo, non adotterebbe mai un tono simile, almeno non pubblicamente. Lei è più cauta, le sue affermazioni a volte sono così contorte che non è immediatamente chiaro cosa stia cercando di dire. Lo scorso martedì ha detto ai Parlamentari conservatori, a Berlino, che “La Germania deve essere un paese che non lascia niente di intentato nella ricerca del progresso”. Intendeva riferirisi al progresso da qualche altra parte, in Grecia.
La cancelliera ha un progetto espansionistico che alla fine dovrà portare, si potrebbe dire sarcasticamente, a un Reich della Merkel. Non è così concentrata sull’Europa come lo era il suo predecessore Helmut Kohl, che voleva la dissoluzione della Germania nell’Unione Europa. La Merkel pensa in termini più nazionali, ma sa che la Germania da sola avrebbe poca influenza nel mondo. I paesi che vogliono affermarsi devono avere un’ampia popolazione e una forte economia. La Germania ha la seconda, ma, rispetto alla Cina o agli USA, le manca la prima – ed è per questo che la Germania ha bisogno della popolosa Europa. Ma deve essere un’Europa competitiva ed economicamente potente – ed è a questo che la Merkel sta lavorando.
All’inizio della crisi dell’euro, la cancelliera ha sviluppato l’idea del cosiddetto benchmarking. Il concetto era di classificare i paesi europei in diverse categorie facendo il confronto con il migliore della categoria, che di solito è la Germania. In questo modo si sarebbe creata un’Europa Tedesca.
Nella battaglia contro la crisi del debito in Irlanda, Spagna, Portogallo, Cipro e Grecia, l’Europa ha preso in considerazione due approcci diversi. I paesi del sud volevano stimolare la crescita attraverso un incremento della spesa, nella speranza di un aumento delle entrate pubbliche. La Germania e i paesi del Nord Europa, invece, preferivano i tagli alla spesa e le riforme strutturali, un approccio che poneva pesanti condizionamenti sui cittadini dei paesi colpiti.
La Germania, economicamente potente, ha seguito la sua strada. Per portare i paesi in difficoltà sulla retta via – vale a dire sulla via tedesca – la Merkel ha chiesto l’intervento del Fondo Monetario Internazionale, in modo da liberare la Germania dal ruolo del sorvegliante severo. Comunque, non è sfuggito il fatto che il responsabile fosse Berlino.
Sin dall’inizio della crisi, gli altri leader europei hanno osato protestare apertamente. L’allora Primo Ministro polacco ha affermato di avere “profondi dubbi sul metodo” e ha chiesto alla Merkel, durante un vertice UE: “Perché deve fomentare le divisioni?”. Ma dopo tre trimestri dell’anno successivo, la Merkel ha seguito la sua strada e ottenuto la ratifica del concetto, alquanto tedesco, del “fiscal compact”. In aggiunta, i leader dell’UE hanno accettato di introdurre vincoli sui limiti del debito nelle loro costituzioni nazionali, in modo da imporre sanzioni più severe per quelli che superano i limiti massimi di deficit, e per far passare riforme strutturali sul modello di quelle che furono fatte passare in Germania tra il 2003 e il 2005. Il sociologo tedesco Ulrich Beck, ora scomparso, ha definito la pressione esercitata sull’Europa da parte di Berlino come “Merkiavellismo”.
“Madame No”. Il mutamento di approccio della Germania alle politiche europee è stato evidente. Helmut Kohl cercava ad ogni costo di evitare l’isolamento quando si trattava di fare importanti negoziati, ma la Merkel ha completamente rigettato quell’approccio. “Sono alquanto sola nell’Unione Europea, ma non mi importa. Ho ragione io,” ha detto una volta ad un piccolo gruppo di consiglieri durante una discussione sul ruolo del FMI. In seguito ha dichiarato: “Siamo in Europa ciò che gli americani sono nel mondo: la grande potenza non amata“.
Il Presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz ha detto, durante la sua campagna come candidato leader del centrosinistra nel 2014, che spesso gli veniva rivolta questa domanda: “Come fai a concorrere per il ruolo di presidente della Commissione Europea? Dopotutto sei tedesco”. Schulz, va detto, parla fluentemente quattro lingue, ha passato quasi tutta la sua carriera politica a Bruxelles e ha combattuto a lungo per mantenere relazioni positive tra Francia e Germania. “Ero visto come parte della dominazione tedesca,” diceva. “C’è questa sensazione che la Germania sia troppo potente, ma quando fai delle domande precise su questo, non ottieni mai una risposta concreta“.
Gli alti funzionari della cancelleria hanno riflettuto su come si sia arrivati a questo punto, e sono giunti alla conclusione che molto è dovuto all’ampio ruolo giocato dagli stati nazionali durante l’eurocrisi. Solo i governi nazionali, dopotutto, sono stati capaci di mobilitare denaro per i salvataggi dei partner dell’eurozona che ne avevano bisogno, in un modo sufficientemente rapido. Inoltre, man mano che l’economia francese cominciava a retrocedere, quella tedesca appariva sempre più potente.
La Merkel è talvolta definita “Madame No”. Quando uno degli altri leader dell’UE finisce di parlare durante un vertice europeo a Bruxelles, si dice che tutti tendono a guardare per prima cosa alla Merkel, per valutare le sue reazioni.
Ma le caricature che si fanno di lei con i baffetti di Hitler? E i riferimenti alla Germania di oggi come “Quarto Reich”?
I nazisti avevano definito la loro Germania come il “Terzo Reich”, nel tentativo di porsi in linea di continuità con le due precedenti epoche di dominazione tedesca. La prima era il Sacro Romano Impero, nato nel medioevo. Lungi dall’essere uno stato nazionale, era un’area dominata principalmente da imperatori tedeschi, che controllava un’ampia porzione dell’Europa, fino alla Sicilia. Il Sacro Romano Impero finì nel 1806, quando Napoleone conquistò molte aree che un tempo appartenevano all’Impero. Il secondo reich, secondo questa versione, era il cosiddetto Kaiserreich, che fu fondato da Bismarck nel 1871, dopo le vittorie contro Danimarca, Austria e Francia. I piccoli stati tedeschi furono presto uniti assieme sotto la guida prussiana, ed è per questo che Bismarck viene oggi considerato colui che ha gettato le basi della Germania contemporanea. Il primo aprile verrà celebrato il suo 200esimo anniversario.
Ma poco dopo la fondazione del Kaiserreich, iniziò a diffondersi un pericoloso sentimento. Era la “hybris” tedesca, il sentimento di essere superiori agli altri, di saperne di più e di essere i migliori. Ma era mescolato con una certa pavidità e con la sensazione di essere minacciati.
La dominazione degli Altri. Il regno di Bismarck, sotto l’imperatore Wilhelm nel 1888, era ugualmente di una dimensione problematica. Era troppo ampio nel senso che era lo stato più potente in Europa, e aveva portato Francia, Gran Bretagna e Russia a sentirsi tutti minacciati. Ma era troppo piccolo per guidare l’Europa da solo. Anche i tedeschi dovettero formare alleanze – e la logica interna ed esterna di queste alleanze fu una delle principali ragioni dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Il Kaiserreich perse, e andò in frantumi nel 1918.
Hitler credeva che la sua “Grande Germania” fosse abbastanza grande da dominare l’Europa, ma aveva profondamente sbagliato. Pure con la più brutale tattica di guerra e con l’oppressione, la Germania nazista fu incapace di sconfiggere gli Alleati.
Dopo la fine del Terzo Reich, la dominazione tedesca sul continente sembrava essere stata resa definitivamente impossibile. La Germania Ovest e la Germania Est erano inizialmente degli stati provvisori che più o meno volentieri erano subordinati ai loro fratelli maggiori, cioè gli USA e l’Unione Sovietica. Avevano ceduto alla dominazione degli altri.
La Germania Ovest, tuttavia, sviluppò presto un nuovo – e questa volta economico – strumento di potere: il marco tedesco. Dato che l’economia della Germania Ovest cresceva rapidamente, e il suo debito sovrano restava relativamente gestibile, la Banca Centrale Tedesca, la Bundesbank, dominava le politiche economiche e finanziarie dell’Europa degli anni ’70 e ’80. I governi di Francia, Gran Bretagna e Italia facevano grande attenzione alle decisioni che venivano prese a Francoforte. Poco prima della riunificazione tedesca, un alto funzionario nell’ufficio del presidente francese pare che abbia detto: “Noi abbiamo la bomba atomica, ma la Germania ha il marco tedesco.”
François Mitterrand, che era presidente francese quando cadde il Muro di Berlino, non era un fan della riunificazione tedesca. Aveva paura che il colosso tedesco nel mezzo dell’Europa potesse nuovamente iniziare a cercare la dominazione politica. Il Primo Ministro britannico Margaret Thatcher era dello stesso parere, e così molti tedeschi, specialmente quelli di sinistra. L’autore Günter Grass riteneva che il paese sarebbe tornato alla sua vecchia hybris, al suo senso di superiorità.
L’allenatore della nazionale di calcio tedesca di allora, Franz Beckenbauer, sembrò confermare tutto ciò quando nel 1990, dopo aver vinto la Coppa del Mondo in Italia, disse: “Ora siamo i numeri uno nel mondo, dopo essere stati a lungo i numeri uno in Europa. Ora abbiamo i giocatori della Germania Est. Mi dispiace per il resto del mondo, ma la nazionale tedesca sarà a lungo imbattibile.”
Anche in campo politico ci sono stati occasionali segni di megalomania. Il cancelliere Helmut Schmidt tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 riteneva di essere il migliore economista del mondo. Quando incontrò il presidente americano Jimmy Carter, non vide l’occasione come un incontro tra il grande USA e la piccola Germania, ma come un incontro tra il grande Schmidt e il piccolo Carter – e non si riferiva alla loro stazza fisica. Poi, negli anni ’90, ci fu Oskar Lafontaine, allora membro dei socialdemocratici. Come Ministro delle Finanze tedesco nel 1998, Lafontaine fece il primo tentativo di ricostruire l’Europa secondo la visione tedesca. Dato che egli voleva armonizzare i mercati finanziari europei e stava combattendo per il raggiungimento della moneta unica, il giornale britannico Sun si chiese se non fosse “l’uomo più pericoloso d’Europa”.
Troppo piccola ed esitante? Alla fine Lafontaine fallì, e anche la nazionale di calcio tedesca patì la sua parte di sconfitte, almeno fino al 2014. Inoltre, la Germania riunificata tenne, all’inizio, un basso profilo politico, e si mantenne modesta. Ma poi arrivò l’euro, che Mitterand sperava avrebbe tolto alla Germania la “bomba atomica”. L’euro avrebbe dovuto rompere la dominazione economica tedesca, ma in realtà ha avuto l’effetto opposto. La moneta unica ha legato assieme i destini dei membri dell’eurozona, e ha dato alla Germania il potere su tutti gli altri.
Questa è la ragione per la quale la “questione tedesca” è tornata. Forse la nuova Germania è troppo grande e potente per gli altri paesi europei, o è troppo piccola ed esitante?
Hans Kundnani è capo delle ricerche al Consiglio Europeo per le Relazioni Estere, un think tank pan-europeo con sede a Londra. Il suo interesse è la politica estera tedesca ed egli ha scritto un famoso libro sulla Germania, intitolato “Il paradosso del potere tedesco“. Kundnani lega la vecchia questione tedesca al nuovo dibattito sul ruolo della Germania nell’eurozona. La forza dell’economia tedesca, combinata con la reciproca dipendenza degli altri paesi ha creato, dice lui, un’instabilità economica che è comparabile all’instabilità politica che aveva caratterizzato l’epoca di Bismarck.
Il problema, secondo Kundnani, non è tanto che la Germania stia esercitando un potere egemonico in Europa, ma che è solo a mezza via nell’esercizio di un tale potere. Essa infatti si focalizzerebbe solo su se stessa – e sarebbe troppo piccola per il ruolo che dovrebbe giocare.
“La Germania è nuovamente un paradosso. È troppo forte e troppo debole al tempo stesso – proprio come dopo la sua unificazione nel diciannovesimo secolo, sembra potente da fuori, ma è sentita come vulnerabile da molti tedeschi”, scrive Kundnani. “Non vuole ‘guidare’, e resiste alla mutualizzazione del debito, ma al tempo stesso cerca di rifare l’Europa a sua immagine e somiglianza, per renderla più ‘competititiva’”.
“Guidare”, in questo contesto, significa spesso pagare, ed è così che anche Varoufakis vede le cose. Il Ministro delle Finanze greco vuole che la Merkel stabilisca una sorta di Piano Marshall, proprio come quello che fecero gli USA per rimettere in piedi l’Europa nel dopoguerra.
Un vero egemone come gli USA, scrive Kundnani, non si limita a stabilire le regole. Crea anche incentivi per quelli sui quali governa, in modo che essi rimangano parte del sistema. Per fare così, deve nel breve termine scendere a compromessi, per assicurare il perseguimento degli interessi di lungo termine.
“Più simile ad un Impero”. La Germania, in verità, è stato il principale finanziatore dei due pacchetti di aiuto alla Grecia, ma essi si sono dimostrati insufficienti. Il nuovo governo greco mira a cambiare l’eurozona dalle fondamenta, stabilendo un debito che sia più mutualizzato, e con meno regole tedesche. Gli altri sono d’accordo. “Questa non è un’unione monetaria”, scriveva il Financial Times nel maggio 2012. “È decisamente più simile ad un Impero”.
L’investitore George Soros ha avvertito che l’Europa potrebbe dividersi tra paesi con un surplus commerciale e paesi con un deficit, descrivendola come un Impero Tedesco nel mezzo dell’Europa, con la periferia come provincia. Impero, naturalmente, è un’altra parola per dire Reich.
Nel mondo di oggi, dominato com’è dalle questioni economiche, i governanti e i governati hanno ceduto i loro ruoli storici ai creditori e ai debitori. La Germania è il più grande creditore d’Europa. I creditori hanno il potere sui debitori: si aspettano gratitudine, e spesso hanno le idee chiare su ciò che i debitori devono fare per poter un giorno ripagare i debiti. I creditori in genere non sono molto amati.
I creditori vogliono avere il potere sui loro debitori perché hanno paura. Hanno paura di non riavere indietro i loro soldi. La Germania potrebbe pagare i debiti della Grecia, ma non quelli dell’Italia o della Spagna.
La Germania può essere abbastanza grande per imporre le sue regole sull’Europa, scrive Kundnani, ma è troppo piccola per essere un vero egemone. Proprio com’era prima della Prima Guerra Mondiale, la Germania ha paura di essere circondata dai paesi più piccoli. Parte di questa paura è il fatto che la BCE potrebbe alla fine essere controllata dai paesi dell’Europa del sud, e che il potere potrebbe essere trasferito ai paesi debitori.
La Germania non sta agendo come un vero egemone, ma come un “semi-egemone”. Questo è un argomento già sostenuto dallo storico tedesco Ludwig Dehio, quando descriveva la posizione della Germania in Europa dopo il 1871. Sebbene il contesto sia radicalmente diverso, anche l’ex Ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski, in un discorso a Berlino nel novembre 2011 ha detto di essere meno spaventato dal potere tedesco di quanto sia spaventato dall’inazione tedesca, e ha spronato la Germania ad assumere il ruolo di leader in Europa.
Kundnani ha fatto osservare la tendenza dei tedeschi a considerarsi come le vere vittime della crisi dell’euro – una visione che è diametralmente opposta al modo in cui i paesi debitori vedono le cose. Il risultato è l’aggressione, come si vede nel nuovo “tono” politico della Germania, o nel giornale tedesco Bild-Zeitung, che non si stanca mai di definire i greci come “avidi”.
Riferimenti fuorvianti al nazismo. Sebbene la Germania abbia dominato economicamente l’Europa durante l’eurocrisi, è rimasta un nano dal punto di vista delle politiche estere. L’apice del suo rifiuto di giocare un qualsiasi ruolo politico significativo è stata la sua astensione, nel marzo 2011, al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per il voto sull’intervento NATO in Libia. Anche i partner europei come la Francia hanno visto questa posizione come un passo indietro della Germania. Dopotutto, il paese è stato coinvolto negli attacchi aerei in Kosovo e nella guerra in Afghanistan.
Ad uno sguardo superficiale, la richiesta di una maggiore leadership tedesca, che si è sentita negli ultimi anni da parte di molti paesi dell’Europa dell’est, è in forte contrasto con le lamentele sulla dominazione economica da parte della Germania. Ma le due cose sono collegate. La Germania cerca di essere una potenza economica, ma non una potenza militare. Il suo nazionalismo è basato sulla produzione economica e sulle statistiche delle esportazioni, non sul desiderio di diventare una potenza geopolitica. Lo stesso dilemma lo si vede nel ruolo che la Germania ha giocato nella crisi ucraina.
La Germania, scrive Kundnani, “è caratterizzata da uno strano mix di assertività economica e di astinenza militare”. Per questa sola ragione, i riferimenti al periodo nazista sono fuorvianti. Non si tratta di violenza e di razzismo. Si tratta di moneta. E c’è una grande differenza, sebbene anche le questioni monetarie possano essere problematiche.
Ma di un impero si tratta, quantomeno nel campo economico. L’eurozona è chiaramente governata dalla Germania, anche se Berlino non è privo di resistenze. Ha comunque una forte voce in capitolo nel determinare il destino di milioni di individui di altri paesi. Questo potere crea una grande responsabilità, ma il governo e gli altri decisori politici sembrano a volte comportarsi come se fossero alla guida diun piccolo paese.
La Germania, in effetti, non è abbastanza grande da risolvere i problemi di tutti gli altri con il denaro. Ma sarebbe talvolta importante mostrare più magnanimità, qualche volta con generosità. E sarebbe certamente più semplice fare dei progressi, in Europa, senza il nuovo tono polemico che arriva da Monaco e da Berlino. Il potere e la grandezza possono talvolta essere mostrati ignorando i confronti inopportuni, o rifiutandoli con eleganza.