Il crimine della svalutazione del lavoro allo scopo di salvare l’euro

di Giuseppe PALMA

L’Euro rende necessaria – allo scopo di ridare competitività alle imprese – una sistematica e quasi totale svalutazione del lavoro,  una riduzione dei salari ed una violenta contrazione delle tutele contrattuali e di legge. A tal proposito ho già scritto più volte che, non potendo ciascuno Stato dell’Eurozona sfruttare la leva della svalutazione monetaria, non ha altre possibilità (al fine di tornare ad essere competitivo e quindi far riprendere le esportazioni) se non quella di svalutare il lavoro.

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Uno degli obiettivi di questa Unione Europea è quello di salvare l’Euro che conviene ai mercati dei capitali privati (per tutte le ragioni che ho già esposto nei miei precedenti articoli) a scapito dei sacrosanti principi sanciti in ciascuna delle Costituzioni nazionali degli Stati membri dell’UE. La nostra Costituzione, ad esempio, fondando la Repubblica sul lavoro (art. 1 co. I Cost.), non solo ammette la possibilità per lo Stato di fare ricorso all’indebitamento al fine di creare piena occupazione, ma rende addirittura inesistente la stessa Repubblica italiana se essa non può fondarsi sul lavoro!

Tale principio nobile, costato milioni di morti, è in forte contrasto con il progetto eurocratico e quindi con i Trattati dell’UE!

Dal Trattato di Maastricht al Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria (il cosiddetto Fiscal Compact) ciascun Governo firmatario e ciascun Parlamento che ne autorizzava la ratifica hanno volutamente esautorato le proprie Costituzioni nazionali (costate un numero elevatissimo di vite umane) per fare in modo che l’Ancien Régime – spodestato dalla Rivoluzione francese – tornasse, con forme e strumenti raffinatisi ed adeguatisi ai tempi, a governare il mondo senza alcuna – se non apparente e finta – legittimazione democratica! Tale nuova Aristocrazia sovranazionale è rappresentata proprio da questa Unione Europea, e ciò è dimostrato ampiamente in due miei libri che ho scritto e pubblicato negli ultimi anni (“La Rivoluzione francese e i giorni nostri. Dall’Ancien Régime alla nuova Aristocrazia europea […]” – Editrice GDS, ottobre 2013; e “Il Male Assoluto. Dallo Stato di Diritto alla modernità Restauratrice […]” – Editrice GDS, ottobre 2014). In pratica, i principi di Democrazia, Libertà, Lavoro e Stato di Diritto sono ormai lettera morta! Punto.

L’Italia, che ha la Costituzione più bella del mondo, fino al novembre del 2011 ha cercato di resistere – quanto meno apparentemente – al compimento del crimine eurocratico (anche se il nostro Parlamento ha sempre autorizzato a larghissima maggioranza – e in un caso anche all’unanimità – la ratifica di tutti i Trattati dell’UE), ma successivamente è stata costretta a piegarsi alle volontà del potere eurocratico che ha imposto al nostro Paese tre Governi presieduti da soggetti non eletti dal popolo (Monti, Letta e Renzi).

Chi ci ha governato dal 1992 in avanti sapeva (e sa) benissimo che la moneta unica, così com’è stata costruita, costringeva (e costringe) il nostro Paese a smantellare i diritti connessi al lavoro chiosati con il sangue sia nella Costituzione che, ad esempio, nello Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300/1970). Ma la circostanza che più mi lascia senza fiato è quella che sono stati proprio i Governi di centro-sinistra (o godenti fiducia da parte del centro-sinistra) a smantellare i diritti dei lavoratori e, più in generale, il lavoro.

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Gli eredi del Partito Comunista Italiano (il partito che contribuì in modo determinante a redigere la nostra Costituzione e ad ottenere conquiste epocali a tutela dei lavoratori) sono proprio quelli che – dopo la caduta del muro di Berlino e la nascita dell’Unione Europea – hanno iniziato una vera e propria azione mirata allo svuotamento sostanziale della Costituzione e allo smantellamento concreto dei diritti connessi al lavoro. Dal Partito Democratico della Sinistra (PDS) al PD (Partito Democratico), passando dai DS (Democratici di Sinistra), il centro-sinistra italiano ha sposato acriticamente ed incondizionatamente il progetto europeo distruggendo sia i principi supremi sui quali si fonda la nostra Costituzione, sia i diritti dei lavoratori. Ma anche il centro-destra ha le sue pesanti responsabilità, sicuramente minori rispetto a quelle della sinistra (che per tradizione dovrebbe anzitutto tutelare il lavoro e i lavoratori), ma non meno gravi.

Ecco – in breve – cosa è accaduto in tema di lavoro negli ultimi 18 anni:

  1. il Governo Prodi I introdusse le prime fattispecie di lavoro cosiddetto interinale (legge n. 196 del 24 giugno 1997) “dimenticandosi” di prevedere un adeguato sistema di ammortizzatori sociali a sostegno di chi perdeva il lavoro, generando in tal modo la terribile piaga della precarietà. E’ in questo periodo – o poco prima – che nascono i famigerati Co.co.co;
  2. il Governo Berlusconi II varò la cosiddetta Riforma Biagi [Legge delega 14 febbraio 2003 n. 30 e Decreto Legislativo (attuazione delle deleghe) 10 settembre 2003 n. 276)], la quale sostituì i Co.co.co. con i Co.co.pro ed introdusse altre fattispecie di lavoro precario come il “contratto di lavoro intermittente” (o a chiamata) e quant’altro. Bisogna tuttavia ammettere che i Governi presieduti da Silvio Berlusconi – benché ci avessero provato – non sono mai riusciti a riformare l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, e ciò per ferma e concreta opposizione sia del centro-sinistra che dei sindacati;
  3. dal novembre 2011 al dicembre 2012 il PD (che sosteneva, insieme all’allora PDL, il Governo tecnico presieduto dal prof. Mario Monti) votò in favore di una serie di misure che non avrebbero mai dovuto trovare asilo in una Repubblica democratica fondata sul lavoro: il Partito Democratico espresse infatti in Parlamento sia voto favorevole alla cosiddetta Riforma Fornero sulle pensioni (che da un lato ha innalzato l’età pensionabile e dall’altro ha generato il vergognoso problema degli “esodati”), sia voto favorevole alla parziale riforma del mercato del lavoro (targata sempre Elsa Fornero, il ministro del lavoro e delle politiche socialidel Governo Monti) avvenuta con Legge n. 92/2012, la quale diede inizio – come vedremo più avanti – allo smantellamento dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori;
  4. nel marzo 2012 l’Italia (insieme ad altri ventiquattro Stati membri dell’UE) sottoscrisse il Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria (il cosiddetto Fiscal Compact), e i parlamentari del Partito Democratico – insieme ai parlamentari dell’allora PDL – votarono in favore dell’autorizzazione alla ratifica del predetto Trattato (luglio 2012), spingendosi addirittura a votare – ancor prima di autorizzare la ratifica del Fiscal Compact – in favore dell’inserimento in Costituzione dello scellerato vincolo del pareggio di bilancio (nuova formulazione dell’art. 81 Cost. introdotta con Legge costituzionale 20 aprile 2012 n. 1). La costituzionalizzazione del predetto vincolo determina l’impossibilità per la Repubblica italiana di poter fare ricorso all’indebitamento al fine di creare piena occupazione (quindi la nuova formulazione dell’art. 81 Cost. è in aperto contrasto con gli artt. 1 co. I, 4, 35 e segg. Cost.). In pratica, auto-imponendosi il pareggio di bilancio, il Parlamento italiano ha vietato Keynes per legge condannando noi contemporanei e almeno due successive generazioni alla precarietà, allo sfruttamento e alla povertà. Chi era il nostro Presidente del Consiglio dei ministri nel 2012? Ovviamente Mario Monti;
  5. nel dicembre 2014 (Governo presieduto dal Segretario del PD Matteo Renzi sostenuto dal suo partito, da Scelta Civica di Monti, dall’UDC di Casini e dal NCD di Alfano fuoriuscito dal quello che era il PDL) il Parlamento ha approvato una legge con la quale delegava il Governo a riformare il mercato del lavoro (Jobs Act). Una delega “in bianco” che il Governo Renzi ha ampiamente utilizzato (emanando i relativi decreti attuativi) esautorando definitivamente sia la Costituzione che le tutele sancite dallo Statuto dei Lavoratori. Sia nel caso della Legge Fornero che del Jobs Act, il centro-sinistra e i sindacati non si mai seriamente opposti né al Governo Monti né al Governo Renzi (che hanno sostenuto e sostengono in Parlamento), anzi – come si è visto – il PD ha addirittura espresso voto favorevole sia nei confronti della Legge n. 92/2012 che nei confronti della Legge delega 10 dicembre 2014 n. 183 (Jobs Act).

 

Nello specifico cercherò di spiegare – in breve – cosa prevedono in linea di massima la riforma Fornero (Legge 28 giugno 2012 n. 92) e il Jobs Act (Legge 10 dicembre 2014 n. 183, più i decreti attuativi del 2015).

La Legge n. 92/2012 mette per la prima volta le mani sull’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori riducendo drasticamente lo spazio decisionale del giudice nelle ipotesi di reintegro del lavoratore illegittimamente licenziato per giustificato motivo oggettivo (cioè, ad esempio, per cause economiche). In pratica il giudice, di fronte ad un lavoratore di un’impresa con più di 15 dipendenti che ha presentato ricorso avverso un licenziamento per g.m.o., non potrà più ordinare all’impresa il reintegro del lavoratore ingiustamente licenziato se non esclusivamente nel caso in cui il motivo addotto sia manifestamente infondato e/o carente. Negli altri casi (sempre di licenziamento per g.m.o.) vige invece una mera tutela di tipo risarcitorio che prevede un indennizzo in favore del lavoratore che va da un minimo di 12 ad un massimo di 24 mensilità.

 Ma il peggio arriva con cosiddetto il Jobs Act voluto fortemente dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Benché sia prevista la graduale introduzione di un contratto unico a tempo indeterminato e a tutele crescenti (che andrebbe a sostituire quelle forme contrattuali che hanno dato origine alla piaga della precarietà), la caratteristica dell’indeterminatezza del nuovo contratto di lavoro è volutamente superata da norme che – sia formalmente che sostanzialmente – precarizzano maggiormente il lavoro e creano gli strumenti per lo smantellamento dei diritti dei lavoratori, generando un ampio squilibrio tra le posizioni contrattuali (lavoratore – datore di lavoro). In altre parole, l’art. 18 della Legge n. 300/1970 non esiste praticamente più!

Con il Jobs Act la tutela del reintegro viene mantenuta solo in pochissimi casi, vale a dire solo per le seguenti tipologie di licenziamenti ritenuti illegittimi:

  1. licenziamenti discriminatori (non esiste al mondo un solo imprenditore che si sognerebbe di scrivere sulla lettera di licenziamento che il motivo è, ad esempio, il sesso del lavoratore o il colore della sua pelle);
  2. licenziamenti nulli, cioè quelli intimati senza l’osservanza delle norme di legge (è sufficiente recarsi da un buon avvocato per non commettere errori);
  3. licenziamenti per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa (cioè quelli cosiddetti disciplinari) per i quali il giudice ritenga che il fatto materiale contestato al lavoratore sia insussistente.

 

Badate bene al tenore letterale della norma: “INSUSSISTENZA del fatto materiale contestato al lavoratore” (art. 3 co. II del Decreto Legislativo sul contratto a tutele crescenti)! In pratica, nel caso in cui il licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa sia ritenuto ad esempio sproporzionato (cioè il fatto contestato al lavoratore sussiste ma la sanzione del licenziamento è ritenuta sproporzionata), il giudice non potrà più disporre che l’imprenditore provveda alla reintegra del lavoratore nel suo posto di lavoro, bensì potrà riconoscere a quest’ultimo soltanto una tutela di tipo risarcitorio (di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione percepita dal lavoratore per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità).

Infine, per quel che concerne invece i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (vale a dire quelli cosiddetti economici), il Jobs Act prevede unicamente la sola tutela risarcitoria (anch’essa di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione percepita dal lavoratore per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità), infatti è stata eliminata ogni ipotesi di reintegro come ad esempio quella della manifesta infondatezza e/o carente motivazione del licenziamento per g.m.o. prevista dalla Legge Fornero!

Per di più, nonostante i dati futuri sul PIL e sull’occupazione potrebbero essere migliori rispetto a quelli che abbiamo visto negli ultimi anni, sappiate che il Jobs Act non serve affatto a creare nuovi posti di lavoro, bensì a “regolarizzare” i contratti di lavoro precari di coloro che un’occupazione già ce l’hanno!

Come ho già più volte evidenziato nei miei precedenti scritti, durante i periodi di crisi del passato il nostro Paese era solito utilizzare la leva della svalutazione monetaria allo scopo di far abbassare i prezzi delle merci da esportare (quindi senza intaccare né i salari né le tutele contrattuali e di legge in favore dei lavoratori) e far ripartire le esportazioni. Oggi, con questo Euro, tutti gli Stati dell’Eurozona non possono più sfruttare la leva della svalutazione monetaria , quindi sono costretti – per essere competitivi – a dover svalutare il lavoro!

Ciò detto, il vero obiettivo del Jobs Act è quello di ridurre i salari (attraverso la creazione di una concorrenza spietata tra i richiedenti lavoro) e di smantellare le tutele/garanzie contrattuali e di legge in favore dei lavoratori (facilitando ad esempio i licenziamenti o i demansionamenti), con lo scopo di far abbassare i prezzi dei prodotti da esportare e far riprendere le esportazioni senza far leva sulla svalutazione della moneta (il Quantitative Easing di Draghi ha, sì, prodotto una svalutazione dell’Euro nei confronti del dollaro che produrrà molto probabilmente un aumento dell’export, ma è anche vero che trattasi di uno strumento eccezionale e non convenzionale che la BCE – con ogni probabilità – non utilizzerà più).

Il lavoro, tuttavia, non si crea solo se aumentano le esportazioni (fattore comunque fondamentale), ma anche – e soprattutto – quando lo Stato crea le concrete condizioni per la ripresa dei consumi interni, i quali aumentano solo se un numero sempre maggiore di cittadini percepisce un reddito dignitoso che gli consenta di spendere [a tal proposito vi ricordo la formula della Domanda Aggregata di Keynes. AD (Aggregate Demand) = C (Consumi privati) + I (Investimenti privati) + G (Spesa Governativa) + EX (Esportazioni) – IM (Importazioni)].

 Tutto ciò premesso, capite adesso perché il PD è favorevole all’immigrazione clandestina travestita da un’ipocrita crociata di falsa integrazione? Un uomo disperato che scappa dal proprio Paese e arriva in Italia ha un bisogno impellente di sopravvivere, quindi accetta qualsiasi lavoro anche a 2-3 euro l’ora per 10-12 (se non di più) ore di lavoro giornaliero, compresi i sabati e le domeniche, e per di più senza alcuna pretesa di diritti o tutele. Allo stesso tempo un cittadino italiano, magari laureato, per poter lavorare e sfamare la sua famiglia si troverà costretto ad accettare le medesime condizioni, altrimenti rischia di restare senza lavoro.

A questo punto la domanda è d’obbligo: secondo voi un’impresa, di fronte ad un italiano diplomato/laureato ed un extracomunitario senza pretese, a chi offrirà il posto di lavoro? Ovviamente all’extracomunitario, il quale accetterà tutto quello che gli verrà proposto e non pretenderà nulla in cambio, se non un salario molto basso per poter sopravvivere! In pratica, e sono certo che accadrà, si creerà (e in parte si è già creata) una spietata concorrenza tra poveri che produrrà – tra le altre drammatiche conseguenze – anche una riduzione dei salari!

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Il tutto allo scopo di salvare l’Euro, una moneta costruita appositamente contro tutti i cittadini europei e in favore dei mercati dei capitali privati (es. banche private), delle multinazionali e delle Istituzioni politiche (nazionali e sovranazionali) che ne sono al soldo e che hanno quindi convenienza che l’Euro sopravviva.

Il crimine è già stato servito su un piatto d’argento!

I nuovi rampolli del neo-liberismo, per giustificare questi crimini, sono soliti mentire e nascondersi dietro frasi del tipo: “Ce lo chiede l’Europa”; “Il mondo è cambiato e noi non possiamo più restare ancorati a vecchi schemi del passato”; “Quello che conta è aumentare i posti di lavoro”; “L’Euro è irreversibile, quindi uscirne sarebbe una pazzia”; “Ci sono chiari segnali di ripresa”; “Con il Jobs Act ci saranno più posti di lavoro”; “Ci vuole più Europa”; “Dobbiamo cedere maggiore sovranità all’Europa”; “Senza l’Euro e senza l’Europa l’Italia sarebbe un Paese alla deriva”; “Tornare alla Lira significherebbe fare la spesa con la cariola”; “Chi dice di voler porre un freno all’immigrazione è un razzista”; “Ci vuole maggiore integrazione”; “Senza i contributi previdenziali pagati dagli immigrati gli italiani un domani non percepiranno una pensione” e così via… tutte falsità che neppure uno come Goebbels sarebbe stato in grado di concepire!

Le soluzioni per porre fine a questo crimine ci sono e, a mio parere, sono le seguenti:

  1. denunciare tutti i Trattati dell’UE (ipotesi consentita dall’art. 50 TUE) e riappropriarci della piena sovranità politica, legislativa ed economica;
  2. uscire dall’Euro e riappropriarci della piena sovranità monetaria (un’uscita pilotata e seriamente monitorata);
  3. abrogare – attraverso la procedura prevista dall’art. 138 Cost. – il vincolo del pareggio di bilancio inserito in Costituzione nel 2012;
  4. pianificare e realizzare un piano di piena occupazione;
  5. ripristinare le garanzie e le tutele previste dallo Statuto dei Lavoratori, quindi abrogare sia la Legge Fornero che il Jobs Act;
  6. in ogni caso, osservare ed applicare fedelmente i Principi Fondamentali e le disposizioni di cui alla Parte I della nostra Costituzione. In altre parole bisogna urgentemente ripristinare la democrazia e la legalità costituzionale.

Giuseppe PALMA