Un’altra esecuzione pubblica. Una donna è stata “giustiziata” in piazza a La Mecca, con sentenza eseguita tramite decapitazione.
Laila Bint Abdul Muttalib Basim, una donna birmana residente in Arabia Saudita, è stata condannata a morte per abusi sessuali ed omicidio della propria figliastra. Noi non sappiamo se la donna fosse colpevole o innocente, ma sappiamo invece che razza di processi e di giustizia ci sono in Arabia e come vengono trattati gli immigrati.
L’esecuzione, che ha suscitato le proteste delle associazioni per i diritti umani, è stata particolarmente brutale: la donna, che urlava disperata, è stata trascinata in strada e costretta a terra da quattro agenti di polizia e quindi decapitata con una spada. Inoltre, per rendere ancora più dolorosa la morte, le sono stati negati gli analgesici, somministrati invece a diversi condannati a morte.
Nel regno saudita, alleato delle potenze occidentali, il numero di esecuzioni è in continuo aumento. Nelle prime due settimane, racconta The Eye of Middle East, di quest’anno sono già quindici. Nel 2014 sono state 87, quattordici in più dell’anno precedente.
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