di Souad Sbai
L’asse si sposta lentamente ma progressivamente verso Est. Su questo giornale più di una volta ho messo a fuoco la strategia estremista che da sempre tenta di legare, con alterne fortune, il quadrante mediorientale con quello caucasico e orientale. Molti elementi ci dicono che il baricentro dell’azione terroristica legata ad elementi qaedisti e filo-Isis stia tentando il “grande passo”, quella campagna di Russia che in molti nei secoli hanno tentato senza mai riuscire nell’impresa; primo fra tutti l’attentato avvenuto il 29 Novembre scorso nella regione dello Xinjiang, regione cinese che vede la presenza da sempre turbolenta della minoranza islamica degli Uighuri. Bilancio quindici morti e quattordici feriti. Dal 2009, infatti, in quella zona è in corso una sorta di guerriglia costante, che miete vittime e rende il quadrante assai instabile; dopo un periodo di calma apparente e di schermaglie la regione cinese dello Xinjiang, al confine con il Caucaso e con le zone più calde dell’integralismo delle repubbliche ex sovietiche, torna a farsi vivo con fatti di sangue pesanti che destano più di un interrogativo.
Ed è proprio a Grozny, Cecenia, che il 4 Dicembre scorso si verifica uno scontro fra miliziani estremisti dell’Emirato del Caucaso, quello fondato dal (forse) morto Doku Umarov, e le forze di polizia cecene; bilancio dieci poliziotti, nove terroristi e un civile morti. Una recrudescenza forte e dalle tinte piuttosto chiare: la battaglia è ricominciata e guarda caso proprio a dieci anni esatti dalla strage di Beslan, in Ossezia. E sempre casualmente, laddove al caso si possa ancora credere in tema di geopolitica, mentre la Russia soffre la peggior crisi economica dalla caduta dell’Unione Sovietica per via delle sanzioni imposte dopo l’annessione della Crimea.
Un altro particolare dobbiamo segnalare a questo proposito, ovvero la recrudescenza dell’attività talebana in Pakistan e Afghanistan e il concomitante, quanto ignorato dai media, rallentamento dell’avanzata di Isis che ora rimane sostanzialmente fermo a parte di Iraq e Siria. L’estremismo, occorre dirlo preventivamente per capire cosa potrà succedere a breve, punta dritto verso Mosca e verso la Cina, e soprattutto verso lo sconfinato patrimonio energetico ed economico di cui dispongono; un’operazione che da tempo ormai è in corso ma non aveva mai potuto prendere corpo concretamente per due ragioni, la forza della Russia di Putin e l’impiego massiccio di miliziani nei teatri di guerriglia in corso, che toglievano uomini e mezzi alle rivolte caucasiche e orientali.
Il 2015 potrebbe dunque essere l’anno dell’offensiva estremista verso la Russia e la Cina, obiettivi di una caccia grossa in corso da decenni e sulle cui sorti ora dobbiamo necessariamente discutere. E a testimonianza del fatto che a quelle latitudini la cosa sia già piuttosto chiara, è di ieri la notizia dell’arresto del ceceno Hassan Zakayev, uno dei presunti organizzatori dell’attentato del 2002 al Teatro Dubrovka di Mosca, che fece più di 130 morti fra ostaggi e terroristi. Ma noi come sempre, in Occidente, di una guerra ci accorgiamo più o meno quando è già finita.