Il seguente articolo e’ stato inviato da un militante confederato attualmente presente in aree estere di crisi. Le affermazioni che compaiono nel testo riflettono la posizione della nostra organizzazione , la quale e’ integralmente responsabile dei suoi contenuti…
23 novembre 2014
03:00 del mattino , provincia settentrionale del Kenya presso il confine somalo, un territorio infame che si sviluppa per oltre settecento chilometri tra sabbia, arbusti spinosi e la totale assenza d’acqua. La direttiva stradale connette quasi in linea retta il settentrione del paese e la provincia costiera di Lamu che si affaccia sull’Oceano Indiano. Pochi villaggi polverosi dove la figura lugubre dei marabu’ scava tra la spazzatura, qualche donna coperta integralmente dal bui bui nero incede con lentezza esasperante. Pochi gli uomini con la futa somala stretta intorno ai fianchi, il turbante semplice avvolto intorno alla testa. L’autobus da 60 posti procede depositando nei rari villaggi i suoi passeggeri provenienti da Nairobi.
100 militanti di Al Shabab (giovani) su pick up armati attendono a bordo strada, un vento bollente muove le bandiere nere con i versi del Corano tracciati in bianco. L’autista intravede il blocco e forza l’andatura ma l’autobus pesante risponde male alla manovra nervosa, i pneumatici usurati toccano il bordo fangoso creato da una incidentale pioggia di alcuni giorni prima; l’autista e’ consapevole dei dislivelli della strada sterrata, frena il pesantissimo mezzo che affonda di poco nella fanghiglia coperta gia’ da una crosta polverosa e screpolata. Impossibile rientrare in carreggiata e fuggire.
I pick up armati arrivano veloci e scaricano il centinaio di militanti integralisti: magri, inferociti, allucinati, con gli AK 47 in posizione di tiro, con il caricatore di riserva unito a quello inserito nell’arma da nastro adesivo colorato. Alcuni di loro portano in spalla lanciagranate anticarro del 40 millimetri RPG. Un pick up ha montata nel cassone una 50 millimetri antiaerea.
I passeggeri dell’autobus vengono fatti scendere in fretta e selezionati in base alla loro apparenza. I nilotici di aspetto somalo da una parte, i bantu’ negroidi dall’altra. A questo gruppo, uomo per uomo, donna per donna, viene chiesto di recitare una sura del Corano . Alla minima esitazione vengono separati e fatti stendere lungo il bordo della strada. Sono 28, terrorizzati. Sono Cristiani o non sono nulla. Non hanno piu’ speranze e ne sono consapevoli.
Due miliziani passano lentamente alle spalle dei corpi stesi. Mirano alla nuca. Un solo colpo e’ in genere sufficiente, due per alcuni che si contorcono nello spasimo del terrore e della morte. Tutto Intorno, gli altri miliziani gridano: “Allah U Akbar”
Il governo promette di inseguire le milizie in profondita’ verso Nord e Nord-Est in quella terra di nessuno che e’ la Somalia meridionale. Un territorio di un milione e settecentomila chilometri quadrati privo di governo dal 1991 e terreno di addestramento per gli integralisti di mezzo mondo.
Il governo del Kenya, agli ordini di quello statunitense, ha nel 2011 attaccato le roccaforti costiere di Al Shabab, riuscendo a respingerle verso l’interno. Il prezzo di questa ingerenza sono stati i 67 morti del centro commerciale di proprieta’ ebrea “West Gate” di Nairobi nel 2013, le granate lanciate alle stazioni degli autobus, gli attacci ai villaggi costieri costati un centinaio di morti ammazzati e decapitati per la loro impossibilita’ a recitare una sura, i turisti abbattuti tra la folla nella citta’ vecchia di Mombasa.
All’ondata terroristica il governo ha risposto con la formula delle squadre della morte composte dagli uomini dell’unita’ speciale dell’antiterrorismo che seguono gli Imam piu’ estremisti ed esposti nel traffico caotico di Mombasa, i quali vengono giustiziati a colpi di kalashnikov senza arresti, detenzioni o gradi di giudizio. Insomma, la Coast Province del Kenya insieme a quella settentrionale con oltre 700 alberghi e una lunga tradizione di equilibrio interreligioso e culturale , e’ entrato in uno stato di guerra non convenzionale, essenzialmente di stampo religioso.
L’obbiettivo di Al-Shabab, e quindi dell’ISIS, e’ stato raggiunto e un’altro passo verso il califfato globale e’ stato compiuto. Le sacche cristiane vengono attaccate ovunque dalla Nigeria alla Sirya, dall’Iraq a Citta’ del Capo; i paesi con delle risorse naturali vengono destabilizzati e progressivamente infiltrati.
Uomini e donne addestrati in Somalia, Iraq, Pakistan, Libya e Sirya vengono imbarcati nel Golfo della Sirte per la Sicilia. Rimarranno dormienti, persi nella massa di clandestini, fino a quando non riceveranno una chiamata, cioe’ quando il Mediterraneo sara’ stato efficacemente circondato e inflitrato da forti contingenti jihadisti pronti a curare la logistica di supporto, l’armamento leggero necessario alle azioni, il reclutamento di massa. In proporzione appare piu’ semplice combattere il terrorismo islamico in Africa nera piuttosto che in metropoli europee gonfie di una massa allogena non identificata e confortevolmente ospitata da un suicidario e pare atavico senso di colpa.
Come Confederatio non abbiamo mai escluso che il fenomerno dell’ISIS sia da laboratorio statunitense, ma oggi siamo convinti che che tale esperimento sia totalmente sfuggito dalle capienti mani yankee e avanzi con una energia propria grazie a migliaia di reclutamenti su base giornaliera. Si tratta della replica di quanto gia’ accadde in Afghanistan con le milizie Pashtun contro gli invasori sovietici. La differenza consiste nel fatto che l’obbiettivo dichiarato e urlato dalle moschee fondamentaliste di mezzo mondo, nelle madrasse piene di minorenni, nelle “enclavi” islamiche integraliste fuse alle comunita’ musulmane di tutte le citta’ europee, consiste nel modello psicologicamente imbattibile di un Califfato globale che porterebbe l’Islam a dominare il mondo.
Il nostro assetto mentale, formato da una evoluzione di sette secoli piu’ avanzata, tende a rifiutare la possibilita’ fantascientifica, per noi quasi cinematografica, di un conflitto religioso globale, di una “Guerra Santa” estesa tra l’Indonesia e Capo Nord. Chi ha esperienza diretta di un Islam intollerante, assolutistico, intimamente integralista e sanguinario, si rende conto che il processo in corso portera’ ad un conflitto, la vittima illustre del quale sara’ l’Islam che non distorce le Sure, non spara alla nuca a chi non ne conosce le parole. L’Islam della grandiosa cultura essenzialmente a noi sconosciuta, delle strade illuminate di Granada e Cordoba all’epoca della cattolicissima Altezza Reale Isabella di Spagna. L’Islam dei poeti persiani, dei filosofi viaggiatori, degli artisti, dei sufi, degli uomini di Pace e Onore. Degli scrivani delle grandi biblioteche dedicate all’umanita’, degli astronomi e dei matematici… Ecco, quello sara’ l’Islam che soccombera’ sotto la bandiera nera dell’ISIS e sul quale dovremo, per impossibilita’ di discernimento, aprire il fuoco delle nostre armi automatiche un giorno o l’altro, semplicemente per sopravvivere.
Non abbiamo davanti un nemico che usa d’altronde le normali convenzioni di conflitto. Da Aleppo a Cape Town, nei rapporti allarmati delle intelligence di mezzo mondo traspare una disarmante semplicita’ nei termini di guerra: conversione o morte!
Puo’ sembrare incredibile. ma il numero di convertiti all’Islam in Europa, negli Stati Uniti, in Cina, in India, sale vertiginosamente e suggerisce che un giorno molti di noi si rivolgeranno al tramonto e all’alba verso la Mecca ad invocare un Dio del deserto, al richiamo struggente del Muezzin. Altri, sceglieranno la via dell’odio e del massacro e questo, di cuore, ci spiace perche’ per quasi sette decenni abbiamo sperato che l’Islam fosse un alleato prezioso contro la colonizzazione dello zio Sam, e non un nemico spietato da combattere fino all’ultimo uomo.
C.M. – “CONFEDERATIO – Comunita’ Resistente di Popolo Africa Orientale” – per ImolaOggi.it