Una giustizia senza sanzioni e un governo non eletto: il modello europeo
di Cesare Sacchetti (Costituzione economica)
I processi decisionali degli stati appartenenti all’Unione Europea sono stati da tempo trasferiti nella mani dell’organismo sovranazionale, vero governo europeo, noto come Commissione Europea. In realtà, poco si sa della Commissione, delle procedure di nomina e dei poteri attribuiti ad essa.
La Commissione Europea, è strutturata come un governo nazionale, con 28 direzioni sul modello dei dicasteri degli stati membri, ad ognuno dei quali compete un settore di competenza; esteri, economia, ambiente, immigrazione, etc. I commissari europei non sono eletti dai cittadini degli stati membri, e l’ultima campagna elettorale andata in scena a Bruxelles per convincere i cittadini europei a preferire Juncker piuttosto che Schulz aveva un sapore grottesco, considerato che il potere di nomina del Presidente della Commissione avviene dentro il Consiglio Europeo, organo di rappresentanza degli stati membri.
L’assemblea rappresentativa del Parlamento Europeo, è eletta dai cittadini europei, ma essa non dispone di un potere di sfiducia cogente nei confronti della Commissione, che teoricamente è il Governo europeo. La struttura dell’Ue di fatto ha partorito un parlamento senza poteri di sorta, dalle proporzioni elefantiache , con una doppia sede, e privandolo di un potere fondamentale presente nelle repubbliche parlamentari, quello di sfiducia verso il suo governo e non introducendo l’obbligo dell’esecutivo europeo, di rispondere del proprio operato di fronte all’assemblea parlamentare. Una struttura, quella europea, priva delle basi delle democrazie costituzionali. Se la Commissione non risponde al Parlamento, abbiamo un caso di Governo con poteri legislativi permeanti per la vita dei cittadini europei, che sforna direttive e regolamenti capaci di superare gerarchicamente il diritto nazionale e disapplicare il diritto degli stati membri.
Quali sono le considerazione e i fattori che influenzano una direttiva o un regolamento europeo? Bruxelles è il luogo privilegiato del lobbismo internazionale insieme a Washington. La differenza tra i due tipi di lobbismo giace nella “ trasparenza” di quello statunitense, dove esiste un registro pubblico dei lobbisti per i quali è obbligatoria l’iscrizione, mentre per quello europeo, c’è un registro noto come il “ Registro della Trasparenza” (sic!) ma l’iscrizione è su base volontaria e il lobbista che opera a Bruxelles può decidere di rimanere anonimo. Sostanzialmente, il lobbismo USA è meno “ipocrita” di quello europeo, dove nel modello capitalistico anglosassone , il liberismo e la pressione esercitata dai gruppi finanziari e industriali non va celata, ma resa pubblica per trasmettere un’immagine di legalità che non contribuisce certo a tutelare e rendere effettivi gli interessi dei cittadini comuni.
Chi dispone del capitale in abbondanza, ha più probabilità di convincere e influenzare le istituzioni nella direzione desiderata. In questo “liberismo concorrenziale” si fissano regole in contraddizione con le reali capacità economiche e finanziarie dei membri della sua società. I gruppi, privi di potenza finanziaria saranno sempre esclusi o inascoltati dai vertici. Il lobbismo europeo non obbliga a far sapere chi fa parte dei conglomerati di potere che hanno il potere di influenzare il 75% delle decisioni prese dalla Commissione Europea, alla quale è stato dato un potere legislativo superiore alle fonti del diritto nazionale, che di fatto esprime gli interessi di altri gruppi di pressione.
Gli organismi di pressione che godono di maggiore considerazione nei corridoi di Bruxelles, dove si aggirano ben 30000 persone al servizio delle lobby, sono l’UNICE, il gruppo che rappresenta le confederazioni industriali dei paesi dell’Unione, e l’European Round Table of Industrialists (ERTI) formata da 50 presidenti e amministratori delle più importanti aziende europee. Un coacervo di interessi forti, dove le associazioni dei consumatori, dei lavoratori, e degli ambientalisti vengono sovrastati dalla potenza dei gruppi forti, e le direttive della Commissione sono di conseguenza l’espressione degli interessi che mirano alla globalizzazione economica, ossequiosi all’obbiettivo della deflazione salariale e della tutela delle megacorporation.
Gli interessi dei lavoratori europei sono interessi deboli di fronte a quelli dei produttori, basti pensare tra la numerosa casistica, ai produttori di scarpe che da tempo hanno spostato la loro produzione al di fuori dell’Europa, domandando e ottenendo parametri tecnici e di sicurezza inferiori agli standard europei. La teoria del commercio senza restrizioni e controlli, è favorita dalla Commissione che ha tutto l’interesse a far affluire sui mercati nazionali prodotti a basso costo importati dall’Est asiatico, in modo da poter ottenere la riduzione delle tutele del lavoro e abbassare il costo del lavoro in Europa. Quando si sente la reprimenda del Commissario europeo di turno all’Italia chiedendole più tagli alla stato sociale e meno tutele sindacali, va ricordato che il Commissario de facto ha solo la veste di un portavoce, applica l’agenda di un potere finanziario e industriale che nulla ha in comune con gli interessi del Paese.
Allo stesso Commissario è garantita “l’immunità di giurisdizione per gli atti da loro compiuti in veste ufficiale, comprese le loro parole e i loro scritti”( art.11 Protocollo 7 TFUE) . Di fatto, la Commissione che lancia l’allarme corruzione in Italia, forse dovrebbe guardare nei meandri dei suoi corridoi, poiché se un tale gruppo di lobby è presente a Bruxelles, ed esercita un’influenza determinante sulla direttiva da approvare più confacente agli interessi delle multinazionali, ci si domanda chi ha il potere di controllare che la Commissione stia agendo effettivamente negli interessi dei cittadini europei?
Chi può verificare e stabilire se un Commissario non abbia preso sovvenzioni per fare approvare un provvedimento a vantaggio di un gruppo di potere contro gli interessi collettivi? Esiste un precedente in cui la Commissione Europea, si dimise in blocco a seguito del sospetto di corruzione e fondi neri, ed è quello della Commissione Santer nel 1999 (della quale facevano parte anche Mario Monti ed Emma Bonino, ndr) quando due dei commissari membri, Edith Cresson e Manuel Marin, finirono nell’occhio del ciclone per malversazioni. In particolare il Commissario francese venne poi sottoposto al giudizio della Corte di Giustizia della Comunità Europee, che ha emesso una condanna nei confronti della Cresson, senza però sanzionare effettivamente la sua condotta, lasciando intatto il suo diritto alla pensione da commissario. Una giustizia senza nessuna sanzione e un governo non eletto. Un modello in stile UE.