Giuseppe Acconcia
Egitto-Democrazia militare
Casa editrice Exòrma
Un reportage di grande attualità (aggiornato a settembre 2014). Uno sguardo dall’interno su tre anni di eventi rivoluzionari che hanno cambiato l’Egitto. Ben oltre la cronaca, il libro rivela l’immagine di un Paese che in poco tempo ha visto il movimento di piazza trasformarsi in un colpo di stato militare ed è alle prese oggi con una condizione di severo e completo controllo sociale e politico. Il testo è accompagnato dalla prefazione di Sonallah Ibrahim*, uno dei più importanti scrittori egiziani.
Corrispondente dal Cairo de Il manifesto dal 2011 e ricercatore specializzato in Medio Oriente per le Università di Londra e Pavia, Giuseppe Acconcia ha scritto anche per The Independent, Al Ahram weekly, Xinhua e Opendemocracy. È laureato in Economia politica all’Università Bocconi di Milano con tesi sul movimento riformista iraniano. Ha conseguito un Master in Middle Eastern Politics alla School of Oriental and African Studies (Soas) con tesi sul ruolo dei militari in politica in Medio oriente. Ha insegnato all’Università americana de Il Cairo, lavorato nella sezione “Mediterraneo e Medio Oriente” dell’Istituto affari internazionali e nella cooperazione euro-mediterranea. Ha pubblicato saggi tra gli altri con Il Mulino, The International Spectator, Ispi e Oil. È autore di Egitto. Democrazia militare (Exorma, 2014), La primavera egiziana (Infinito, 2012) e Un inverno di due giorni (Fara, 2007). Vincitore dei premi Castellano e Giornalisti del Mediterraneo 2013, ha scritto con i migranti di Apollo 11, realizzato il documentario radiofonico per Radio3Rai Il Cairo dalle strade della rivoluzione e collaborato alla drammaturgia di Pictures from Gihan dei Muta Imago.
INTERVISTA A GIUSEPPE ACCONCIA, DOMENICA 26 OTTOBRE 2014 (a cura di Luca Balduzzi)
Rispetto alla precedente intervista (era l’inizio dello scorso anno), l’Egitto è cambiato molto velocemente, prima di tutto con la deposizione del Presidente Mohamed Morsi. Fin dalla sua elezione molti dei manifestanti di Piazza Tahrir avevano criticato i Fratelli musulmani per avere preferito la conquista del potere politico al riformismo… era stato veramente così? O qualcosa sarebbe potuto cambiare dopo la revoca del decreto con cui si era attribuito ampi poteri anche in campo giudiziario?
I Fratelli musulmani non hanno mai veramente conquistato il potere in Egitto. Il decreto presidenziale con cui l’ex presidente Mohammed Morsi estendeva i suoi poteri poteva essere l’unico atto rivoluzionario necessario per limitare il potere dei militari. I meccanismi dello Stato non rispondevano alle richieste del governo islamista, a partire dalla politica estera. Addirittura è stato semplicissimo per i militari arrestare Morsi perché neppure la guardia presidenziale ha voluto proteggerlo. Questo dimostra come i Fratelli musulmani non avessero alcun controllo sul ministero dell’Interno e sulle forze di sicurezza, forse il limite maggiore ad una attività politica concreta ed efficace. Evidentemente però i Fratelli musulmani hanno dimostrato di voler agire in continuità con i governi Mubarak, in particolare in riferimento alle politiche di liberalizzazione economica, non ascoltando in alcun modo le richieste di giustizia sociale che per mesi venivano dalle piazze egiziane.
Per due volte in pochi anni, le Forze armate si sono ritrovate al potere, prima per gestire il periodo di transizione fra le dimissioni di Hosni Mubarak e le elezioni presidenziali del 2012, poi per decretare la fine della presidenza di Morsi con il colpo di stato del 2013… che potere ha l’esercito in Egitto? Il suo rapporto/influenza sul potere politico è mai stato messo in discussione?
In Egitto élite militare e politica si sovrappongono. In passato il passaggio dall’uniforme alla giacca e cravatta è venuto senza traumi, dopo la rivoluzione degli Ufficiali liberi che ha incoronato presidente Gamal Abdel Nasser, con Anwar al Sadat e Hosni Mubarak tanto che quasi nessuno ricordava che questi ex presidente fossero tutti dei militari. Ora è stato necessario passare per un anno di Fratelli musulmani al potere per rendere necessario il ritorno della stabilità con il colpo di stato del 3 luglio 2013 e riprodurre il vecchio sistema di sovrapposizione tra esercito e politica, interrotto dalla presidenza di Morsi. L’esercito in Egitto controlla il 60% del Pil, è proprietario di fabbriche, resort turistici. è azionista di maggioranza delle principali aziende pubbliche e private: l’esercito è lo Stato. Per questo i militari sono molto preoccupati dagli scioperi nelle fabbriche mentre sanno gestire benissimo le manifestazioni di piazza, frammentando lo spazio pubblico e limitando il potenziale rivoluzionario dei movimenti.
In entrambe le occasioni, ma soprattutto con il colpo di stato, l’esercito ha sempre dichiarato di avere agito per il bene e in nome del popolo… sta veramente proteggendo la rivoluzione di Piazza Tahrir del 25 gennaio del 2011, o l’elezione a presidente del suo ex comandante in capo è il segno della costituzione di una dittatura militare a tutti gli effetti?
Con l’elezione di Abdel Fattah al-Sisi nel maggio scorso, l’Egitto è tornato indietro di decenni ad un sistema autoritario. Sono centinaia le condanne a morte di islamisti dopo il golpe del 2013, migliaia gli attivisti in prigione, molti di questi in sciopero della fame, i giornalisti critici verso il regime sono stati rimossi o arrestati, come nel caso dei giornalisti di Al Jazeera, l’attivismo universitario è represso e punito, non ci sono date certe per le elezioni parlamentari mentre il pluralismo politico conquistato negli ultimi anni è a serio rischio.
Che cosa è rimasto, dunque, della primavera araba egiziana?
E’ rimasto pochissimo della primavera egiziana. Di sicuro migliaia di giovani che vorrebbero cambiare il paese ma non trovano alcuna alternativa politica al dualismo militari-islamisti. E poi un grande fermento artistico, a partire da rapper e graffiti. Queste forme di contestazione sono rimaste, le mura del Cairo sono ancora piene di straordinari graffiti che denunciano la povertà delle classi disagiate e i soprusi di polizia ed esercito. Forse è troppo poco però.
In che modo si stanno ponendo/dovranno porsi i paesi occidentali nei confronti di questo Egitto? E l’Italia in particolare…
Italia, Europa e Stati Uniti in questo momento stanno appoggiando Sisi e la sua funzione di stabilizzatore del Medio oriente. Questa però è un’arma a doppio taglio perché permette al modello egiziano di essere considerato come vincente anche in altri contesti, per esempio in Libia, dove l’ex generale Khalifa Haftar sta tentando di riprodurre lo stesso modello di Sisi, ma anche in Siria con l’appoggio che l’Egitto assicura a Bashar al Assad e nel conflitto israelo-palestinese (in particolare nell’operazione Margine protettivo) in cui l’Egitto si è appiattito su posizioni israeliane.