28 settembre – Non più solo arabi (prima libici, poi siriani, poi iracheni) ma da oggi anche caucasici e addirittura cinesi. Avverte Thierry Meyssan: la composizione dei miliziani del Califfato Islamico rivela con precisione le intenzioni dei suoi segreti protettori atlantici. Di fatto, si arruolano combattenti e ufficiali provenienti dai paesi che saranno presto attaccati.
Mentre l’opinione pubblica occidentale viene imbevuta di informazioni sulla costituzione di una presunta coalizione internazionale volta a combattere l’Emirato Islamico, quest’ultimo cambia forma con discrezione: i suoi principali ufficiali non sono già più di origine araba, ma provengono dalla Georgia e dalla Cina. Per Meyssan, questa mutazione dimostra che la Nato si prepara a utilizzare l’Emirato Islamico contro Mosca e Pechino. Pertanto, russi e cinesi «devono intervenire adesso contro gli jihadisti, prima che tornino a seminare il caos nei loro paesi di origine». Lo si ricava da un’attenta analisi dell’identità dei combattenti, fornita da Meyssan in un servizio tradotto da “Megachip”.
Finora, riassume Meyssan, gli Stati Uniti «sono stati capaci di distruggere gli Stati solo in Afghanistan, in Iraq e in Libia, ossia in paesi la cui popolazione è Combattenti cinesi (uiguri) arruolati nell’Isisorganizzata in tribù», mentre «hanno fallito ovunque altrove». In Siria, la destabilizzazione si è fermata a metà strada: attraverso gli jihadisti, gli Usa hanno “conquistato” il nord-est del paese, attorno al distretto di Deir ez-Zor, prima “capitale” del Califfato, senza però riuscire a sottrarre ad Assad il grosso del territorio siriano. In prima battuta, il cosiddetto Emirato Islamico ha esibito la sua origine araba. Il primo nucleo si chiamava “Al-Qaeda in Iraq”: non combatteva contro gli invasori statunitensi, ma contro gli sciiti iracheni. Poi cambiò nome: prima “Emirato Islamico in Iraq” e poi Isil, “Emirato Islamico in Iraq e nel Levante”. Nell’ottobre 2007, l’esercito statunitense si impadronì nei pressi di Sinjar di 606 schedature di membri stranieri dell’organizzazione: schede studiate da esperti dell’accademia militare di West Point.
«Siamo solo 200 combattenti, tutti iracheni», dichiarò l’emiro Amir al-Baghdadi. «Questa menzogna – scrive Meyssan – è paragonabile a quella di altre organizzazioni terroristiche in Siria, che dichiarano di annoverare solo incidentalmente degli stranieri fra i propri ranghi». In realtà, l’esercito siriano stima in almeno 250.000 il numero degli jihadisti stranieri che hanno combattuto in Siria nel corso degli ultimi tre anni. Inoltre, il “califfo Ibrahim” (il nuovo nome di Amir al-Baghdadi) ora afferma che la sua organizzazione è composta in gran parte da stranieri, che il territorio siriano non è più per i siriani e il territorio iracheno non è più per gli iracheni, ma solo per i suoi jihadisti. «Secondo i documenti sequestrati a Sinjar – spiega Meyssan – il 41% dei terroristi stranieri membri dell’“Emirato Islamico dell’Iraq” erano cittadini sauditi, il 18,8% erano libici, e solo l’8,2% erano siriani. Se si rapportano queste cifre alla popolazione di ciascuno dei paesi coinvolti, la Tarkhan Batirashvili, sergente dell’intelligence militare georgiana, è diventato uno dei principali leader dell’Emirato islamico sotto il nome di Abu Omar al-Shishanipopolazione libica ha fornito in proporzione 2 volte più combattenti di quella dell’Arabia Saudita e cinque volte di più rispetto a quella della Siria».
Per quanto riguarda gli jihadisti siriani, la loro origine era dispersa nel paese, ma il 34,3% proveniva dalla città di Deir ez-Zor. Una città che, dopo il ritiro dell’“Emirato islamico” da Raqqa, è diventata la capitale del Califfato. In Siria, Deir ez-Zor ha la particolarità di essere popolata prevalentemente da arabi sunniti organizzati in tribù, e da minoranze curde e armene: proprio il carattere tribale del territorio ha permesso la penetrazione jihadista appoggiata dall’Occidente. Ora, ennesima svolta: «Una purga colpisce gli ufficiali del Maghreb». Per esempio, «i tunisini che hanno preso l’aeroporto militare di Raqqa il 25 agosto, sono stati arrestati per disobbedienza, giudicati e giustiziati dai loro superiori». E’ la prova, dice Meyssan, che l’“Emirato Islamico” intende «ridimensionare i suoi combattenti arabi e promuovere degli ufficiali ceceni gentilmente forniti dai servizi segreti georgiani», collegati con la Cia e ostili alla Russia, dopo la crisi dell’Ossezia del Sud.
Inoltre, un’altra categoria di jihadisti ha fatto la sua comparsa: i cinesi. «Da giugno, gli Stati Uniti e la Turchia hanno trasportato centinaia di combattenti cinesi e le loro famiglie nel nord-est della Siria», racconta Meyssan. «Alcuni di loro diventano immediatamente ufficiali: sono per lo più uiguri, cinesi della Cina popolare, ma musulmani sunniti e turcofoni». Diventa quindi evidente che il Califfato «estenderà le sue operazioni in Russia e in Cina, poiché questi due paesi rappresentano i suoi bersagli finali».
Secondo Meyssan, «stiamo sicuramente per assistere a una nuova campagna di comunicazione della Nato: la sua aviazione spingerà gli jihadisti fuori dall’Iraq e lascerà che si stabiliscano a Deir ez-Zor. La Cia fornirà denaro, armi, munizioni e informazioni ai “rivoluzionari siriani moderati” (sic) dell’Esl, l’“Esercito Siriano Libero”, che poi si cambieranno il cappello e lo useranno sotto la bandiera dell’“Emirato Islamico”», come già avvenne nel maggio del 2013. «All’epoca, il senatore John McCain si era recato illegalmente in Siria per incontrare lo stato maggiore dell’Esl. Secondo la Al centro della foto Abu al-Khazakhi Anisah, primo jihadista “cinese” dell’Emirato islamico ucciso in azione (era di origine kazaka)fotografia poi diffusa per attestare l’incontro, questo stato maggiore comprendeva un certo Abu Youssef, ufficialmente ricercato dal Dipartimento di Stato Usa con il nome di Abu Du’a, in realtà l’attuale “califfo Ibrahim”. Così, lo stesso uomo era – a seconda delle circostanze e contemporaneamente – sia un leader “moderato” dell’Esl, sia un leader estremista in seno all’“Emirato islamico”».
Una volta muniti di queste informazioni, continua Meyssan, apprezzeremo nel suo giusto valore il documento presentato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 14 luglio dall’ambasciatore siriano Bashar al-Jaafari. Si tratta di una lettera del comandante in capo dell’Esl, Salim Idriss, datata 17 gennaio 2014. Vi si legge:
«Con la presente vi comunico che le munizioni inviate dallo stato maggiore ai dirigenti dei consigli militari rivoluzionari della regione orientale devono essere distribuite, in conformità con quanto concordato, per due terzi ai signori della guerra del “Fronte al-Nusra”, il restante terzo da distribuire tra i militari e gli elementi rivoluzionari per la lotta contro le bande dell’“Emirato Islamico in Iraq e nel Levante”. Grazie per averci inviato le prove di consegna di tutte le munizioni, precisando i quantitativi e le McCain con, da sinistra, Ibrahim al-Badri (Isil-Isis) e il generale dell’Esl Salim Idris (con gli occhiali)qualità, debitamente firmate dai dirigenti e dai signori della guerra in persona, in modo che possiamo trasmetterle ai partner turchi e francesi».
In altre parole, sottolinea Meyssan, due potenze della Nato – la Turchia e la Francia – hanno fornito munizioni per due terzi al “Fronte Al-Nusra”, che l’Onu classifica come appartenente ad Al-Qaeda, e per un terzo all’Esl, al fine di lottare contro l’“Emirato Islamico”, guidato da uno dei suoi ufficiali superiori. «In realtà, l’Esl è scomparso dal campo e le munizioni erano dunque destinate per due terzi ad Al-Qaeda e per un terzo all’“Emirato Islamico”». Grazie a questo dispositivo con doppia funzione, conclude Meyssan, «la Nato continuerà a lanciare le sue orde di jihadisti contro la Siria con la pretesa di combatterle». Tuttavia, «quando la Nato avrà stabilito il caos in tutto il mondo arabo, compreso il suo alleato saudita», finirà per rivolgere il Califfato contro le due grandi potenze in via di sviluppo, la Russia e la Cina. «Ecco perché queste due potenze dovrebbero intervenire subito e stroncare sul nascere l’esercito privato che la Nato sta costruendo e addestrando nel mondo arabo. In caso contrario, Mosca e Pechino dovranno presto affrontarlo sul proprio suolo».