24 febbr – L’Occidente torna a Kiev e Mosca, per il momento, lascia la capitale ucraina richiamando l’ambasciatore. Londra e Washington premono l’acceleratore sull’assistenza finanziaria all’Ucraina e l’Unione europea riprende il filo dell’integrazione con un viaggio di Catherine Ashton a Kiev.
Il ministro del Tesoro americano, Jack Lew, ha sollecitato Kiev ad avviare un negoziato con il Fondo monetario internazionale per un prestito una volta che sara’ in carica un governo di transizione. Lew ne ha parlato con il capo dell’opposizione mentre rientrava nella capitale dagli Stati Uniti dopo aver partecipato al G20 di Sydney. Ancora piu’ esplicito era stato ieri il Cancelliere dello Scacchiere, George Osborne: “Bisogna farsi trovare pronti con il libretto degli assegni per aiutare a ricostruire l’Ucraina“. “Certo siamo nelle prime ore, nei primi giorni”, ha aggiunto successivamente Osborne conversando con i cronisti a Singapore, “ma il popolo ucraino sembra aver dimostrato di tenere al proprio futuro, di volere forti legami con l’Europa e non credo che dobbiamo respingerli bensi’ abbracciarli. Dobbiamo fornire assistenza finanziaria attraverso organismo come il Fondo monetario internazionale”.
I temi dell’aiuto economico saranno al centro del viaggio che Catherine Ahston fara’ oggi a Kiev. Il responsabile della Politica estera dei Ventotto incontrera’ i protagonisti della rivolta Ucraina e “discutera’ con loro del sostegno dell’Ue per una duratura soluzione alla crisi politica e misure per stabilizzare l’economia”, si legge in una nota. Il primo filo da riprendere, per Kiev e Bruxelles, e’ l’accordo sul commercio, che ha rappresentato il punto di inizio della crisi ucraina a novembre scorso, quando l’ex presidente Viktor Yanukovych decise di ritirarsene perche’ solleticato dal ben piu’ consistente prestito di Mosca, 15 miliardi di dollari e la riduzione del prezzo del gas di fronte ai 610 milioni di euro di assistenza immediata offerti dall’Ue insieme alla prospettiva di ingresso nel club dei Ventotto.
La firma dell’accordo con Bruxelles, inoltre, consentirebbe a Kiev di ricevere subito 2 miliardi di euro e l’ingresso in un mercato di 500 milioni di consumatori, ma in realta’ l’Ucraina, spiegano gli analisti, oggi non ha molto da vendere. Sebbene Karel De Gucht, commissario europeo al Commercio, abbia sottolineato che “l’accordo non significa l’ingresso nell’Ue”, e’ stato il commissario agli Affari economici, Olli Rehn, a suggerire che per Kiev la strada da prendere e’ quella: “Da un punt di vista europeo”, ha detto nel corso di un meeting al G20 di Sydney, “e’ importante indicare una chiara prospettiva europea per il popolo ucraino, che ha mostrato il proprio impegno per i valori” del Vecchi Continente”.
Ma Kiev ha un altro fronte con cui fare i conti, ed e’ quello che guarda alla Russia. Ieri il presidente ad interim, lo speaker della Rada (Parlamento), Oleksandr Turcinov (fedelissimo della leader dell’opposizione appena tornata libera, Yulia Tymoshenko), aveva avvertito che Mosca dovra’ rispettare la “scelta europea” dell’Ucraina. Kiev, ha detto, intende riprendere il percorso di integrazione con Bruxelles dal 24 novembre scorso. Turcinov ha spiegato di essere pronto ad un dialogo con i vertici russi, ma sulla base di relazioni paritarie e di buon vicinato.
Mosca non l’ha presa bene: al termine di una giornata che aveva visto la nomina di un presidente a interim in Ucraina e l’annuncio della formazione di un nuovo governo dichiaratamente europeista entro martedi’, ha richiamato “per consultazioni” l’ambasciatore russo a Kiev. Si tratta di un segnale di protesta molto grave nel linguaggio diplomatico internazionale. La prassi diplomatica prevede che in caso di conflitto ma anche di semplice contenzioso internazionale il primo provvedimento che un Paese puo’ prendere nei confronti di un altro e’ la semplice protesta verbale o scritta. Il passo successivo, se la protesta resta inascoltata, e’ il richiamo dell’ambasciatore per consultazioni. Nella maggior parte dei casi, una volta che il contenzioso si sia risolto, l’ambasciatore riprende il suo posto. In caso contrario gli ulteriori passi sono la riduzione del rango della legazione, facendosi rappresentare da un diplomatico sempre piu’ di grado inferiore, fino alla chiusura dell’ambasciata. Alla rottura delle relazioni diplomatiche puo’ – ma non e’ sempre detto, basta ricordare il caso Usa/Iran – seguire la guerra. (AGI) .
Come prevedibile, ecco quale é il fine ultimo delle rivoluzioni, entra il FMI e ti presta i soldi a strozzo.