Eric Salerno
Rossi a Manhattan
Casa editrice Il saggiatore
Luglio 2010. Un fascicolo dell’Fbi arriva su una scrivania nel cuore di Roma. Seduto alla scrivania c’è Eric Salerno e quel plico beige contiene la storia della sua vita: i documenti riservati riguardanti Michele Salerno, giornalista italiano comunista cacciato dall’America dopo ventotto anni trascorsi a combattere capitalismo e imperialismo. Quell’uomo era suo padre. Eric ricostruisce, ricorda, annota e rilegge il passato.
Eric Salerno, giornalista, inviato speciale, esperto di questioni africane e mediorientali, vive tra Roma, Melbourne e Gerusalemme, dove, da oltre vent’anni, è corrispondente del quotidiano romano Il Messaggero. Tra le sue pubblicazioni: Guida al Sahara (SugarCo 1973), Fantasmi sul Nilo (SugarCo 1975), Israele, la guerra dalla finestra (Editori Riuniti 2002), Genocidio in Libia (Manifestolibri 2005), Mosè a Timbuctu (Manifestolibri 2006), Uccideteli tutti! (il Saggiatore 2008), Mossad base Italia (il Saggiatore 2010).
INTERVISTA AD ERIC SALERNO, LUNEDI’ 9 DICEMBRE 2013 (a cura di Luca Balduzzi)
Come mai suo padre, Michele Salerno, era un soggetto interessante per i Servizi segreti statunitensi?
Ci sono stati almeno due momenti in cui si sono interessati in lui e di cui parlo nel mio libro. Il primo, come risulta dal fascicolo dell’Fbi risale a prima della seconda guerra mondiale quanto la sua attività di comunista era stata probabilmente segnalata alle autorità di Washington dagli agenti della polizia fascista che operavano sia nell’ambasciata d’Italia sia nel consolato di New York. La polizia fascista lo teneva d’occhio da sempre. E se fosse rientrato in Italia allora l’avrebbero subito arrestato come si capisce dal timbro sul fascicolo che ho rintracciato all’Archivio generale dello Stato a Roma. Durante la guerra, i fascisti erano nemici e per l’Fbi i comunisti meno pericolosi. Le cose cambiarono subito dopo il conflitto quando il nuovo nemico degli Usa era l’Unione sovietica. E con l’Urss tutti quelli che credevano nel comunismo.
Altri elementi “da tenere d’occhio” li aggiunge l’incontro con Elizabeth Esbinsky, che diventerà sua madre…
Non ho mai trovato un fascicolo su mia madre anche se lei e Mike si erano incontrati in giro di comunisti e avevano frequentato assieme il movimento operaio, i sindacati, e molte delle riunione di partito. Pochi giorni fa sono stato rintracciato dalla figlia di un’amica di mia madre. Si erano conosciuti nel sindacato. La figlia, mia coetanea, si ricorda di quando sua madre usciva di casa per telefonare a mia madre da un apparecchio pubblico. Soltanto anni dopo avrebbe capito che lo faceva per paura di essere compromessa da una “pericolosa comunista”.
Alla fine, il 23 novembre del 1950, i Servizi segreti ebbero la meglio, e la sua famiglia fu costretta ad abbandonare gli Stati Uniti…
Fu un’esperienza traumatica. Soprattutto per mia madre. Con pezzi della sua famiglia aveva lasciato l’Urss a causa dei pogrom contro gli ebrei avvenuti prima della rivoluzione. Non è stato facile per lei lasciare l’America e a quaranta anni abituarsi a un paese nuovo da poco uscito dalla guerra, a imparare una lingua nuova. Oggi posso dire che mi considero fortunato di essere cresciuto a Roma ma i primi anni non sono stati facili.
Come le è venuto in mente di chiedere ai Servizi segreti il fascicolo dedicato alla sua famiglia?
Esiste una legge negli Stati Uniti che impone al governo di consegnare o rendere pubblico tutto ciò che è segreto. Dopo due richieste fatte, finalmente mi è arrivato il plico con le fotocopie. Di censurato c’erano soltanto i nomi di alcuni agenti e degli informatori di cui si era servito l’Fbi. A giudicare dalle loro relazioni, erano piuttosto mediocri.
C’è qualche episodio, magari degli anni della sua infanzia, che il fascicolo dei Servizi segreti interpreta in una maniera diversa da come lei lo ha vissuto realmente assieme alla sua famiglia?
Non mi sembra. Direi, invece, che mancano molti dettagli. Sono trascorsi tanti anni da allora e i comunisti, quei pochi che esistono, non fanno paura agli americani. Sono convinto che il fascicolo che ho ricevuto sia quello vero, completo. Eppure non c’è accenno a quando gli agenti in borghese dell’Fbi si piazzavano sotto casa per osservare chi veniva a trovare mio padre. Lui aveva avuto un infarto e dirigeva L’Unità del Popolo dal suo letto. I compagni lo venivano a trovare quasi tutti i giorni, allora. Eppure nemmeno un accenno.
E’ sicuro che il controllo da parte dei Servizi segreti statunitensi non si sia mai esteso anche a lei?!
Non ho mai chiesto il mio di fascicolo. Sicuramente ci sarà qualcosa. Per la legge americana sono stato anche io un pericoloso sovversivo. Ho lavorato per dieci anni a Paese Sera e ciò bastava, allora, per insospettirli anche se, leggendo il libro, si renderà conto che c’è una bella storia al riguardo.