Il velo nell’islam. Intervista a Renata Pepicelli

Intervista a Renata Pepicelli, ricercatrice all’Università di Bologna ed esperta di mondo islamico. È solo un pezzo di stoffa. Ma il velo islamico è al centro
di grandi dibattiti, in Italia e in Europa. Le proposte di legge si focalizzano
soprattutto sulla proibizione di quello integrale, ma anche
l’hijab – il foulard che copre la testa, lasciando visibile il
volto – spesso è preso di mira, come simbolo di oppressione delle donne
musulmane
.

 

Ma è proprio così? Nelle immagini dalle piazze durante l’ultimo anno di
rivoluzioni islamiche, di donne velate se ne sono viste parecchie. Cerchiamo di
capire cosa c’è dietro questa scelta con l’aiuto di Renata
Pepicelli
, ricercatrice all’Università di Bologna ed esperta di mondo
islamico, che ha appena pubblicato il saggio Il velo nell’Islam
(Carocci, € 14).

 

-Da dove nasce la consuetudine di indossare il velo? È una tradizione
esclusivamente islamica?

 

La consuetudine del velo riguarda l’area mediterranea ed è molto più antica
dell’Islam. Il velo femminile era utilizzato presso gli Assiri e i Greci e
indicava il grado sociale elevato di chi lo indossava. La tradizione passa anche
al Cristianesimo: San Paolo prescrive alle donne di indossarlo durante la
preghiera e nel III secolo Tertulliano invita le donne a coprirsi il capo quando
escono di casa. Il velo ha resistito nel Cristianesimo per le suore e anche
presso alcune chiese battiste e metodiste si utilizza anche oggi, in forma
leggera. L’Islam dunque si innesta su una tradizione preesistente.

 

-Le rivoluzioni dell’ultimo anno hanno visto un revival delle donne
velate in piazza. Come mai? E’ legato al successo dei movimenti
islamisti?

 

Facciamo un passo indietro. Il Novecento è stato il secolo dello svelamento.
Si è assistito a partire dagli anni Venti a un crescente abbandono del velo da
parte delle donne in Egitto, Tunisia, Marocco, Turchia. Dalla metà degli anni
Settanta, invece, è iniziato un processo di lento ritorno del velo femminile, in
relazione ai movimenti islamisti: il velo diventa bandiera politica. Ma non
solo. Anche donne della sinistra radicale tornano a indossarlo.

 

-Perché questa scelta?

 

I motivi sono molteplici. Da una parte, c’è un ritorno della religione. Poi,
fra le donne migranti, c’è l’esigenza di rappresentare la propria cultura di
provenienza. Il velo diventa così un simbolo di identità, è indossato con
orgoglio. È la difesa delle proprie origini, soprattutto dopo l’11 settembre:
molte donne musulmane con questo gesto vogliono dimostrare che esiste un Islam
diverso da Al Qaeda, un Islam pacifico. Infine, durante le rivoluzioni
dell’ultimo anno, mettere il velo non è stato solo una scelta di chi aderisce ai
Fratelli Musulmani, ma anche un modo di opporsi alle élite corrotte e filo
occidentali, lontane dal messaggio di Dio.

 

-Si può parlare di moda islamica legata all’uso del velo?

 

Sì. Non esiste un unico tipo di velo: c’è una grande differenziazione a
seconda delle aree geografiche. Comunque, il velo non è solo un’uniforme: ci
racconta molto della donna che lo indossa, la sua età, la sua estrazione
sociale… E consente di tenere insieme per le musulmane l’estetica, il piacere
del bello e la religione. Nel mondo islamico ci sono sfilate, ci sono shop
online per acquistare il velo e per avere consigli su come indosarlo. Lo stesso
hijab si può mettere in modi diversi a seconda delle occasioni, si possono
incrociare veli di colori diversi per ottenere effetti particolari. Riviste,
video, libri ne parlano. Il mercato della moda islamica, anche in Occidente, è
in crescita

Tratto da ELLE, di: Maria Tatsos

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